Società Benefit: un nuovo modo di fare impresa

Tale strumento giuridico è stato voluto fortemente dal primo firmatario della legge, on. Mauro Del Barba, perché convinto che il For Benefit e la sostenibilità non siano più un’alternativa ma un nuovo modo di fare impresa. Con questa nuova qualifica giuridica un’impresa, oltre ai propri obiettivi di profitto, si impegna a perseguire anche scopi di beneficio comune atti ad avere un impatto positivo a lungo termine sulla società civile e sull’ambiente.
Come si evince dal 376° comma dell’art. 1, le finalità perseguite dal legislatore sono quelle di promuovere la costituzione, nonché la diffusione, di società che perseguono un duplice fine; da una parte, la realizzazione di attività lucrative dirette a distribuire gli utili ai soci e, dall’altra, perseguire iniziative benefiche a favore di una vasta pluralità di portatori di interesse. Finalità perseguita da Assobenefit, l’associazione nazionale per le società benefit nata nel dicembre 2018, anche per promuovere l’affermazione e la diffusione di buone prassi nell’esercizio di quanto previsto dalla legge istitutiva delle SB anche nella tutela degli interessi collettivi delle associate.
La Società Benefit si caratterizza, dunque, per la duplice finalità e l’individuazione del beneficio comune nelle clausole statutarie. L’art. 1, comma 376, L. n. 208/2015 statuisce che tale società nell’esercizio di un’attività economica, “oltre” allo scopo lucrativo o mutualistico, persegue “anche” una o più finalità di beneficio comune che intende perseguire da indicare nel proprio oggetto sociale, operando in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di tutti gli stakeholders. La normativa Benefit definisce i portatori di interesse in: persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse, che sono comunque coinvolti dall’attività di impresa. La normativa prevedendo altresì l’obbligo per gli amministratori di bilanciare l’interesse dei soci (shareholder) con gli interessi degli stakeholders (comma 380 dell’a art. 1, L. n. 208/2015).
Sommario 1. Origini della Società Benefit |
1. Origini della Società Benefit
Dal 2016, l’Italia è il primo Paese in Europa e il primo al mondo dopo i trenta Stati Americani cui ci si è ispirati, a essersi dotato di una legge che prevede la possibilità per le aziende di operare come Società Benefit.
Le società con scopo di beneficio comune hanno iniziato a diffondersi negli Stati Uniti d’America a partire dalla seconda metà dello scorso decennio. In diversi Stati federali dell’Unione sono state approvate leggi che sostengono e favoriscono la nascita e lo sviluppo di tali società, meglio conosciute come «Benefit Corporation». Nell’Aprile 2010 il Maryland è stato il primo Stato federale ad approvare la legislazione per le Benefit Corporation. In seguito, California, Hawaii, Illinois, Louisiana, Washington, Massachusetts, New Jersey, New York, Pennsylvania, South Carolina, Vermont, Virginia, Delaware, Colorado, Washington DC e Arkansas hanno a loro volta approvato la legislazione permettendo anch’esse la creazione di Benefit Corporation.
2. Definizione di Beneficio Comune
Per "beneficio comune", ai sensi dell’art. 1 co. 378 lett. a) della L. 208/2015, deve intendersi il perseguimento, nell'esercizio dell'attività economica, di uno o più effetti positivi, o la riduzione degli effetti negativi, su una o più delle categorie sopra elencate. II beneficio comune generato deve essere reale e tangibile e rispondere alle esigenze concrete della realtà nella quale l'azienda si colloca così come agli obiettivi dell'azienda stessa. Per tale motivo, la definizione del beneficio comune non può esulare dalla mission dell'azienda e dal ruolo che questa ricopre all'interno della realtà che la circonda, ma deve essere fortemente connesso a tali elementi.
3. Elementi essenziali
La Società Benefit si caratterizza per il duplice scopo, riconosciuto da shareholder e stakeholder:
- lo scopo di lucro tipico di dividere gli utili e
- lo scopo di beneficio comune volto ad ottenere un impatto positivo sull'ambiente e sulla società civile operando in modo sostenibile e trasparente.
La SB è una società tradizionale ed ente profit, con maggiori obblighi che impegnano il management e gli azionisti a standard più elevati, oltre che di scopo, di sostenibilità, responsabilità e trasparenza.
Con riferimento all’ambito soggettivo, possono assumere tale qualifica giuridica i tipi societari previsti dal Libro V del Codice civile, con esclusione delle società a responsabilità limitata semplificate poiché l'atto costitutivo è redatto in conformità al m modello standardizzato, che non ne consente la modifica con l'inserimento delle previsioni previste dalla L. 208/2015.
Da escludersi anche le società cooperative sociali e le imprese sociali: le prime perché sono società non profit il cui oggetto esclusivo è quello di "perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale, le seconde perché sono anch'esse senza scopo di lucro e hanno un oggetto sociale specifico al fine di realizzare finalità di interesse generale.
L’acquisizione della qualifica giuridica di società benefit è vincolata dalle specifiche indicazioni statutarie; pertanto per le società costituente è necessario attenersi alla normativa che disciplina tali società con le specifiche indicazioni da prevedere nello statuto. Per quanto riguarda invece le società già esistenti, qualora si voglia assumere la qualifica giuridica è necessario modificare appositamente lo statuto con le clausole statutarie previste dalla normativa della Benefit.
L’Atto costitutivo e/o le clausole statutarie devono tener conto di quanto segue:
- Denominazione sociale con l'inserimento (non obbligatorio) delle parole “Società Benefit” o l’abbreviazione “SB” da utilizzare nei titoli emessi, nella documentazione e nelle comunicazioni verso terzi (Comma 379).
- Oggetto sociale con l’indicazione accanto all’attività propria dell’impresa, le finalità di beneficio comune ossia il perseguimento, nell’esercizio dell’attività economica, di uno o più effetti positivi, o la riduzione degli effetti negativi, nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni e gruppi di soggetti coinvolti, direttamente o indirettamente, dall’attività delle società quali lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori, PA e società civile (Commi 377, 378).
- Soggetto responsabile del perseguimento del beneficio comune con l’impegno nello Statuto di individuare il soggetto o i soggetti responsabili a cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle finalità di beneficio comune. L’obiettivo è la gestione volta al bilanciamento con l’interesse dei soci e con l’interesse di coloro sui quali attività sociale possa avere un impatto È lasciata ampia discrezionalità sia nelle modalità con cui debba essere condotto il bilanciamento sia sull’identificazione del responsabile del beneficio comune e delle funzioni e compiti da svolgere (Comma 380).
- Relazione annuale e pubblicità disciplinando, con apposita clausola, gli obblighi degli amministratori per la redazione e la pubblicazione della relazione annuale riguardante il perseguimento del beneficio comune (Comma 382). Nella relazione occorre anche indicare la descrizione degli obiettivi specifici, delle modalità e delle azioni attuate dagli amministratori per il perseguimento delle finalità di beneficio comune e delle eventuali circostanze che lo hanno impedito o rallentato. Inoltre, la relazione deve includere una sezione dedicata alla descrizione dei nuovi obiettivi che la Benefit intende perseguire nell’esercizio successivo. Inoltre, la normativa prevede all’art.1 comma 383 della L. n. 208/2015 che la relazione di impatto venga resa pubblica sul sito internet della società, qualora esistente, permettendo ai soggetti terzi di prendere conoscenza della gestione della società e del raggiungimento del beneficio comune e quindi del perseguimento dei loro interessi.
Ulteriore elemento essenziale che caratterizza la Benefit è la valutazione degli impatti generati con il perseguimento delle finalità di beneficio comune. È previsto in tal caso che la Benefit rediga una relazione annuale di impatto concernente il perseguimento del beneficio comune da allegare al bilancio societario. La valutazione degli impatti deve essere eseguita utilizzando lo standard di valutazione sviluppato da un ente terzo ed essere esauriente comprendendo le 5 aree previste dall’allegato alla normativa; ovvero:
- la governance, per valutare il grado di trasparenza e responsabilità della società nel perseguimento delle finalità di beneficio comune, con particolare attenzione allo scopo della società, al livello di coinvolgimento dei portatori d’interesse, e al grado di trasparenza delle politiche e delle pratiche adottate dalla società;
- i rapporti con i lavoratori, per valutare le relazioni con i dipendenti e i collaboratori in termini di retribuzioni e benefit, formazione e opportunità di crescita personale, qualità dell’ambiente di lavoro, comunicazione interna, flessibilità e sicurezza del lavoro;
- i rapporti con gli altri portatori d'interesse, per valutare le relazioni della società con i propri fornitori, con il territorio e le comunità locali in cui opera, le azioni di volontariato, le donazioni, le attività culturali e sociali, e ogni azione di supporto allo sviluppo locale e della propria catena di fornitura;
- l’ambiente, per valutare gli impatti della società, con una prospettiva di ciclo di vita dei prodotti e dei servizi, in termini di utilizzo di risorse, energia, materie prime, processi produttivi, processi logistici e di distribuzione, uso e consumo e fine vita.
Infine, altro elemento essenziale è il Controllo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La società benefit che non persegua le finalità di beneficio comune è soggetta alle disposizioni di cui al decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145, in materia di pubblicità ingannevole e alle disposizioni del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Comma 384). L’obiettivo è di garantire una corretta comunicazione al mercato in merito al reale perseguimento delle finalità ulteriori rispetto al mero profitto, onde evitare che chi non realizzi tali obiettivi possano beneficiare di un vantaggio competitivo e reputazionale nei confronti di altre imprese, nonché erroneamente condizionare le scelte dei consumatori.
4. La Società Benefit e l'inerenza dei costi
Uno dei punti di criticità della L. 208/2015 che disciplina la società Benefit riguarda il trattamento fiscale, ovvero la possibile deducibilità, dei costi e degli oneri afferenti alla sfera delle attività benefiche, che la società benefit è obbligata a perseguire. Manca una disposizione fiscale sul trattamento dei costi afferenti alla sfera delle attività di beneficio comune cui la SB è obbligata. In mancanza di una disposizione fiscale in tal senso, ci si chiede come si possa conciliare il principio di inerenza con l’obbligo di operare in modo sostenibile bilanciando gli interessi dei soci, quello degli altri portatori di interessi e il perseguimento delle finalità di beneficio comune.
Il principio di inerenza non è mai stato esplicitamente enunciato dal legislatore. La nozione si ricava implicitamente in due norme in particolare:
- dall’art. 53 Cost. il quale statuisce che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Il dovere di concorrere a sostenere la spesa statale è espressione di un generale dovere di solidarietà (art. 2 Cost.), dell'obbligo di contribuire ad assicurare eguaglianza (art.3 Cost.) ed a creare un sistema in grado di prevedere dei servizi per tutti, anche i meno abbienti.
- dall’art. 109 co5 TUIR: il quale afferma che “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.
Ne discende, pertanto, una nozione di un principio generale di inerenza implicita nel concetto di reddito, poiché la deducibilità è condizionata da una stretta inerenza dei costi sostenuti nell’ambito dell’attività svolta dall’impresa e pertanto funzionali alla formazione del reddito.
Nella prassi l’amministrazione finanziaria ha chiarito, in diverse occasioni, che l’inerenza di un costo è legata alla riferibilità dello stesso all’attività dell’impresa (risoluzione 16 maggio 2008 n. 196/E), ovvero si intende necessaria una correlazione tra costo sostenuto e reddito imponibile, il cui ambito di operatività va valutato necessariamente in relazione a tutte le attività indicate nell’oggetto sociale e in vista delle quali la società è stata costituita e al cui esercizio i soci sono tenuti a concorrere.
Sono numerose le risoluzioni e le circolari ministeriali che confermano questo collegamento, tra cui:
- Risoluzione n. 196/E del 16/05/2008: l’inerenza di un costo è legata alla riferibilità dello stesso all’attività dell’impresa, ovvero si intende necessaria una correlazione tra costo sostenuto e reddito imponibile, il cui ambito di operatività va valutato necessariamente in relazione a tutte le attività indicate nell’oggetto sociale e in vista delle quali la società è stata costituita e al cui esercizio i soci sono tenuti a concorrere.
- Circolare Ministeriale 7/7/1983 n.30/9/944 e R.M. n.158/E del 28/10/1998: il concetto di inerenza non è più legato ai ricavi dell’impresa, ma all’attività della stessa, con la conseguenza che si rendono deducibili tutti i costi relativi all’attività dell’impresa e riferiti ad attività ed operazioni che concorrono a formare il reddito d’impresa
- «Il principio di inerenza implica che detti componenti negativi, per poter essere deducibili, devono essere connessi, anche se indirettamente, alla produzione di ricavi o proventi che concorrono a formare reddito d’impresa. Più precisamente, l’inerenza non è legata ai ricavi dell’impresa ma all’attività da questa esercitata (...)
- Un costo (...) assume rilevanza ai fini della quantificazione della base imponibile non tanto per la sua esplicita connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili (...)»
Anche la giurisprudenza si è espressa più volte in tal senso affermando il principio secondo il quale l’inerenza va intesa come “accostamento concettuale tra due entità (la spesa, o costo, e l’impresa) che determina un’imprescindibile e indissolubile correlazione fra le entità medesime”. Pertanto, il componente negativo del reddito “assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile non tanto per la sua esplicita e diretta correlazione a questa o quella specifica componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili per l’impresa”. Di seguito alcune sentenze che confermano ciò:
- Cassazione sentenza n. 6502/2000: l’articolo 109 del Tuir consente «la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito (...) all’attività di impresa in senso ampio, il cui ambito di operatività deve necessariamente essere valutato in rapporto a tutte le attività indicate nell’oggetto sociale e in vista delle quali la società è stata costituita e al cui esercizio i soci sono tenuti a concorrere». Corte di Cassazione sentenze 21 gennaio 2009, n. 1465, e 24 novembre 2011, n. 24930: l’inerenza va intesa come «accostamento concettuale tra due entità (la spesa, o costo, e l’impresa) che determina un’imprescindibile e indissolubile correlazione fra le entità medesime». Pertanto, l’elemento negativo del reddito «assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile non tanto per la sua esplicita e diretta correlazione a questa o quella specifica componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili per l’impresa» Corte di Cassazione sentenze n.23551/2012 e n.10319/2015: «in tema di imposte sui redditi affinché un costo sostenuto dall’imprenditore sia fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa non è necessario che esso sia stato sostenuto per ottenere una ben precisa e determinata componente attiva di quel reddito, ma è sufficiente che esso sia correlato in senso ampio all’impresa in quanto tale, e cioè sia stato sostenuto al fine di svolgere una attività potenzialmente idonea a produrre utili»
4.1 Evoluzione di un concetto dinamico dell’inerenza
Il concetto di inerenza risulta essere un concetto dinamico poiché negli anni ha subito un’evoluzione con diverse interpretazioni.
Si è passati da una nozione restrittiva che considerava i costi ed oneri deducibili dal reddito d’impresa solo in presenza di un collegamento funzionale tra il sostenimento di un costo e l’acquisizione di beni, ricavi o proventi fiscalmente rilevanti nella determinazione del reddito d’impresa, e comunque dimostrabili, ad una meno restrittiva che valorizzi le libere scelte organizzative dell’imprenditore. La nozione di inerenza può essere estesa a tutte le spese che l’imprenditore, nella sua discrezionalità, ritenga utili ai fini della ottimizzazione dei risultati dell’impresa, anche se non immediati.
Dal punto di vista fiscale, è imprescindibile l’esistenza della correlazione tra componenti negativi e attività e, pertanto, si ammette la deducibilità di quelle spese che non sono immediatamente produttive di ricavi, ma che si presume lo siano in futuro.
Vi è la necessità di un ulteriore estensione del concetto di inerenza in corrispondenza alle esigenze in atto nel mondo imprenditoriale come quelle di oggi, in cui emerge un “Quarto Settore” fatto di nuove forme ibride di fare impresa, orientate non solo ai profitti ma anche ad attività di interesse generale.
Nel Quarto Settore, l’impresa assume un ruolo sociale in quanto non più mero strumento per perseguire la sola massimizzazione dei profitti ma anche strumento di risposta a bisogni nuovi o latenti della collettività.
Da molti anni il Welfare state è in crisi: lo Stato da solo non è più in grado di assicurare il sistema di assistenza e previdenza pubblici, di tutelare l’ambiente, di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale, e in generale il bene comune. È necessario quindi passare ad un sistema in cui l’intera società civile, e non solo lo Stato, si faccia carico del benessere collettivo e dei beni comuni: occorre orientarsi verso il c.d. Welfare generativo/sociale.
Tale sistema, detto di sussidiarietà sociale o circolare, richiede una sinergia sistematica e permanente tra:
- la sfera politico-istituzionale;
- la sfera imprenditoriale;
- la sfera della società civile.
Si tratta di un’innovazione sociale che richiede una necessaria cooperazione tra profit, non profit e enti pubblici, per condividere non solo mezzi ma anche fini, sia nella fase di progettazione sia nella fase esecutiva.
Le risorse necessarie, inoltre, possono essere reperite dal mondo imprenditoriale per essere indirizzate verso la fornitura di servizi di welfare; e l’ente pubblico a sua volta svolge un ruolo fondamentale di vigilanza per garantire l’universalismo ed evitare l’esclusione di alcuni gruppi sociali dalla fruizione dei servizi.
Parimenti, nell’ambito ambientale a seguito dei cambiamenti climatici, si rende necessaria un’azione di cooperazione tra i vari soggetti sia pubblici sia privati.
La transizione verso uno sviluppo sostenibile comporta dei costi che il solo Stato non è in grado di affrontare. Ecco che anche in questo ambito il ruolo delle imprese for profit e degli enti non profit risulta fondamentale per affrontare e superare i rischi legati ai cambiamenti climatici.
Tale nuova funzione sociale dell’impresa può essere tratta da una nuova interpretazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 della Costituzione Italiana. Per rafforzare dunque le dinamiche del sistema di welfare generativo si rende così necessario rivalutare il principio di sussidiarietà ampliandone la portata per ricomprendere il principio di sussidiarietà circolare più che verticale.
4.2 Evoluzione e nuova interpretazione del Principio di sussidiarietà “circolare”
Il principio di sussidiarietà è un principio relativamente recente introdotto, con la riforma prevista nella L. Cost. n. 3/2001, con la riformulazione dell’art. 118 Cost., comma 4.
Il nuovo testo dell’art. 118 della Cost. recita:<<Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.
Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
Il principio di sussidiarietà è visto sotto due aspetti:
- In senso verticale: da un lato, le funzioni amministrative, laddove possibile e conveniente, devono essere attribuite agli enti più prossimi ai cittadini e, dall’altro, tali funzioni verranno attratte dal livello territorialmente superiore solo laddove questo sia in grado di svolgerle meglio di quello di livello inferiore.
- In senso orizzontale: il cittadino, sia come singolo sia attraverso i corpi intermedi, deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire gli interventi che incidono sulle realtà sociali a lui più vicine.
Dal principio di sussidiarietà orizzontale scaturisce una sorta di alleanza tra pubblico e privato nella realizzazione delle finalità di carattere collettivo. La società civile può prendersi cura del bene comune mediante attività benefiche non guidate da finalità lucrativa ma da una forma di libertà, solidale e responsabile, che ha come obiettivo la realizzazione non di interessi privati, bensì dell'interesse generale, inteso come tutto ciò che contribuisce alla pienezza dell’essere umano.
Ciò è rafforzato anche dall’art. 3 Cost. il quale statuisce che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Inoltre, occorre anche soffermarsi sull’espressione “cittadini, singoli e associati” “e loro formazioni” al fine di precisare che tale espressione annovera tra i soggetti della sussidiarietà anche quelli appartenenti all’ambito economico-imprenditoriale, pertanto anche un’impresa in quanto tale può essere soggetto parte attiva ipotizzata dal 4° co dell’art.118 Cost.
In dottrina, infatti, le società commerciali, di cui agli artt. 2247 e segg. c.c. sono considerate parte del fenomeno associativo di cui agli artt. 11 e segg. c.c. Sono da annoverare nella stessa categoria in cui sono ricomprese fondazioni e associazioni, anche se dotate di peculiarità rispetto all’oggetto (esercizio di attività economica) e alla finalità (il perseguimento dello scopo di lucro).
Inoltre, la Costituzione assegna alle imprese non solo il fine di lucro, ma anche altre funzioni declinate esplicitamente e potenzialmente al perseguimento «dell’interesse generale» ai sensi dell’art. 43 Cost. o altresì indirizzandone l’azione verso «fini sociali» come si evince dall’art. 41 u.c. Cost.
Dal combinato disposto tra quest’ultimo articolo e l’art. 118 4° co emerge una similitudine collegata all’iniziativa privata consentendo di applicare alla sussidiarietà i limiti dell’attività economica.
Ne consegue che le imprese in qualità di corpi intermedi, qualora diventino parte attiva nel perseguire attività di interesse generale, debbano poter beneficiare della stessa tutela prevista dal principio di sussidiarietà orizzontale, oltre che assumersi la relativa responsabilità.
Si dovrebbe, pertanto, ampliare la portata del principio di sussidiarietà comprendendo anche quello circolare che è alla base della cooperazione tra enti pubblici e società civile.
Dalla sussidiarietà circolare derivano dei benefici, in termini di:
- maggior efficienza ed efficacia nell’affrontare i problemi della collettività;
- la corresponsabilità di tutti nei confronti dei beni comuni;
- nuova funzione degli enti pubblici che è pubblica non perché è «interesse dello Stato» ma perché è «utile alla società» rispondendo in modo migliore alle esigenze della collettività.
Partendo dalle precedenti considerazioni si potrebbe affermare che una Società Benefit dovrebbe poter essere tutelata dal principio di cui al 4°comma dell’art.118 Cost., in quanto parte attiva nel perseguire un interesse generale (prendersi cura del bene comune) mediante le sue attività per il perseguimento di finalità di beneficio comune.
Altresì ne deriva, con una nuova visione estensiva del Principio di inerenza “circolare”, la possibilità per le Società Benefit di poter dedurre i costi derivanti dalle attività con finalità di BC; attività che sono previste in modo imperativo dal legislatore, essendo condicio sine qua non per la costituzione stessa della SB (art.1 comma 376 L,208/2015).
Il perseguimento di finalità di beneficio comune, con indubbia utilità pubblica nei confronti degli stakeholders, rappresenta, al pari dell’attività commerciale, il core business della società stessa poiché contemplata nell’oggetto sociale del proprio statuto.
I costi sostenuti dalla società benefit per l’attività con finalità di benefico comune sono da considerarsi pertanto idonei a creare benefici, diretti e indiretti all’attività di impresa nel suo complesso, valorizzando le libere scelte imprenditoriali.
4.3 Considerazioni finali
L’attività di beneficio comune:
- genera delle utilità in termini reputazionali per l’impresa, con potenziale incremento dei ricavi,
- genera anche dei vantaggi a carico della collettiva,
- una minor spesa a carico dello Stato.
Pertanto, non può essere condivisibile:
- la tesi secondo cui alle finalità di beneficio comune concorrano i contribuenti per effetto del minore reddito di impresa dichiarato dalle società benefit, e con conseguente lesione degli artt. 3 e 53 Cost. e conseguente minor gettito fiscale;
- la contestazione da parte dell’Amministrazione finanziaria di mancata inerenza dei costi sostenuti per l’attività di beneficio comune.
Sarebbe auspicabile, pertanto, che sia l’Amministrazione finanziaria sia le istituzioni politiche prendano atto del “ruolo sociale” assunto dalla società benefit prevedendo nel proprio statuto di integrare lo scopo di lucro con finalità di beneficio comune per prendersi cura del bene comune, contribuendo così all’interesse generale richiamato da una nuova interpretazione del principio di sussidiarietà "circolare".
