Abuso di posizione dominante
Una impresa abusa della propria posizione dominante quando può sfruttare a proprio vantaggio una potenza economica tale da essere in grado di impedire od ostacolare il persistere di concorrenza effettiva sul mercato, in quanto essa si trova nella condizione di poter significativamente agire in modo del tutto indipendente rispetto ai propri concorrenti, clienti e consumatori.
Sommario
|
1. Premessa
La normativa antitrust riserva un'attenzione particolare alle imprese che detengono una posizione dominante all'interno del mercato poiché esse possono falsare e distorcere la libera concorrenza qualora vengano poste in essere condotte di sfruttamento di tale situazione ritenute abusive.
La normativa antitrust non vieta però di per sé che un'impresa si trovi ad esercitare una posizione dominante, dal momento che è l'abuso di questa situazione ad essere ritenuta pericolosa e quindi vietata.
L'abuso di posizione dominante si concretizza quando l’impresa sfrutta il proprio potere impedendo ai concorrenti di operare sul mercato con conseguente danno anche per i consumatori.
L'impresa in posizione dominante ha dunque la responsabilità di non tenere un comportamento che ostacoli lo svolgimento di una concorrenza effettiva all'interno del mercato.
2. La normativa di riferimento
La fattispecie trova la propria principale fonte di regolamentazione nell'art. 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) (ex articolo 82 del TCE) in forza del quale è incompatibile con il mercato interno, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.
Lo sfruttamento abusivo di una posizione dominante ai sensi dell'art. 102 TFCE deve pertanto ritenersi tassativamente vietato.
La norma elenca poi quattro ipotesi tipiche di pratiche abusive che possono consistere:
- nell'imporre direttamente od indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque;
- nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico a danno dei consumatori;nell'applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza;
- nel subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi.
La normativa UE in materia è particolarmente articolata e complessa visto che accanto alla disposizione generale contenuta nell'art. 102 TFUE sono stati emanati sia regolamenti attuativi sia orientamenti e linee guida tra cui si ricordano:
- il Regolamento (CE) 16 dicembre 2002, n. 1/2003 concernente l'applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del trattato (G.U.C.E. 4 gennaio 2003);
- il Regolamento (CE) del 7 aprile 2004, n. 773/2004 relativo ai procedimenti svolti dalla Commissione a norma degli articoli 81 e 82 del Trattato CE (G.U.U.E. 27 aprile 2004, n. L 123);
- la Comunicazione della Commissione del 27 aprile 2004 che definisce le “Linee direttrici la nozione di pregiudizio al commercio tra Stati membri di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato (2004/C 101/07);
- la Comunicazione della Commissione del 5.12.2008 che richiama gli “Orientamenti sulle priorità della Commissione nell'applicazione dell'articolo 82 del Trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all'esclusione dei concorrenti” (COM 2008/832);
- la Direttiva (CEE) del 26 novembre 2014, n. 2014/104/UE che definisce le norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell'Unione europea (G.U.U.E. 5 dicembre 2014, n. L 349);
L'art. 102 TFUE trova poi il proprio speculare corollario nell'art. 3 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Gazz. Uff. 13 ottobre 1990, n. 240) che ricalca sostanzialmente quanto previsto dalla norma europea.
La legge italiana considera difatti vietato l'abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.
È espressamente vietato:
- imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;
- impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori;
- applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
- subordinare la conclusione dei contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l'oggetto dei contratti stessi.
Si segnala sin d'ora che il nostro legislatore ha recentemente emanato il D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, dando così attuazione della Direttiva 2014/104/UE (Gazz. Uff. 19 gennaio 2017, n. 15)
3. La ratio della norma
L'art. 102 TFUE e l'art. 3 della Legge n. 287/1990 si preoccupano di regolare i casi in cui un'impresa, in possesso di una quota molto alta nel mercato rilevante, si trovi nella condizione di poter tenere un comportamento indipendente rispetto a quello dei concorrenti potendosi sottrarre alla loro concorrenza[1].
L'impresa può abusare in questi casi della propria posizione nei confronti sia dei consumatori sia dei concorrenti, visto che può esercitare un potere senza controllo, impedendo la formazione o la conservazione della concorrenza effettiva all'interno del mercato rilevante.
La normativa antitrust si propone in definitiva di garantire che le imprese dominanti non impediscano lo svolgimento di una concorrenza effettiva, precludendo il mercato ai propri concorrenti in modo anti-concorrenziale con conseguenti effetti negativi per il benessere dei consumatori[2].
I comportamenti vietati possono tradursi in due diversi tipi di abusi:
- abuso di sfruttamento, quando la condotta è lesiva della clientela (consumatori od imprese intermedie);
- abuso di impedimento, quando la condotta è posta a danno dei concorrenti;
La normativa antitrust disciplina peraltro in modo diverso le posizioni dominanti nuove rispetto a quelle già esistenti all'interno del mercato.
Il Regolamento (CE) n. 139/2004 del 20 gennaio 2004, nonché l'art. 5 e l'art. 6 della Legge 287/1990, si propongono infatti di esercitare un controllo sulla conclusione delle operazioni di concentrazione tra imprese, al fine di impedire la creazione od il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato in quanto si tratta di iniziative che possono eliminare o ridurre in modo sostanziale e duraturo la concorrenza.
Le posizioni dominanti esistenti non sono invece di per sé precluse, ma è imposto uno specifico obbligo di comportamento all'impresa che si trova in questa condizione.
L'impresa in posizione dominante ha infatti l'obbligo di astenersi dall'esercitare il proprio potere di mercato attraverso l'adozione di condotte abusive in quanto lesive dei concorrenti e dei consumatori.
4. La nozione di posizione dominante
La normativa antitrust non offre una definizione di “posizione dominante”.
Con tale nozione si vuole in genere identificare una situazione di potenza economica grazie alla quale l'impresa che la detiene è in grado, da un lato, di impedire od ostacolare il persistere di una concorrenza effettiva sul mercato e, dall'altro, di agire in maniera significativamente indipendente rispetto ai suoi concorrenti, ai suoi clienti ed ai consumatori[3].
L'impresa che si trova in posizione dominante può dunque tenere un comportamento indipendente, avendo la possibilità di beneficiare di un considerevole potere di mercato durante un certo periodo di tempo.
Le eventuali azioni e reazioni dei concorrenti, dei clienti e dei consumatori risultano in questo caso del tutto ininfluenti rispetto alle decisioni che vengono assunte dall'impresa[4].
Ciò che appare dunque rilevante risiede in altri termini nel fatto che l'impresa ha la possibilità di incidere notevolmente sulle modalità con cui si svolge la concorrenza e di tenere, in determinate circostanze, comportamenti senza dover tener conto degli altri concorrenti.
L'impresa in posizione dominante ha in definitiva il potere economico di:
- escludere dal mercato i concorrenti;
- rendere gravoso od impedire l'accesso al mercato da parte di nuovi concorrenti;
- influenzare il processo concorrenziale nei mercati collegati;
La valutazione della posizione dominante deve tenere inoltre conto delle caratteristiche e della struttura concorrenziale del mercato e del comportamento tenuto dalle imprese oltre che dall'emersione di diversi indizi rilevatori concomitanti aventi ad oggetto:
- la posizione di mercato dell'impresa dominante e dei suoi concorrenti;
- l'espansione e l'ingresso sul mercato da parte dei concorrenti;
Un ulteriore aspetto da tenere in considerazione risiede nel fatto che la posizione dominante può essere peraltro detenuta non solo da una unica impresa, ma anche da più imprese tra loro indipendenti che però si presentano sul mercato nei confronti dei terzi come una unica entità sia da un punto di vista giuridico che economico.
Si tratta del caso della c.d. posizione dominante collettiva che si verifica quando imprese tra loro autonome tengono durevolmente nel tempo una condotta sostanzialmente equivalente nei confronti dei consumatori, dei clienti e dei fornitori, in ragione di pregressi legami societari o contrattuali[5].
4.1. La posizione di mercato dell'impresa dominante e dei suoi concorrenti
Un primo indizio rivelatore è sicuramente rappresentato dal possesso da parte dell'impresa di una rilevante quota di mercato per un periodo di tempo significativo [6].
Si tratta di un indice che va tuttavia interpretato alla luce delle condizioni e delle dinamiche di mercato, oltre che del grado di differenziazione dei prodotti e dei servizi.
Il possesso di ridotte quote di mercato è generalmente un indicatore di assenza di una posizione dominante.
È infatti considerato inverosimile che l'impresa possa ritenersi in possesso di una posizione dominante quando detenga una quota di mercato inferiore al 40%.
Non si può a priori escludere che possano sussistere singoli casi in cui i concorrenti non siano nella condizione di poter limitare il comportamento di una impresa dominante anche quando questa fosse in possesso di una quota inferiore alla soglia del 40% del mercato.
Si è tuttavia osservato che sussiste in genere una posizione dominante laddove una impresa detenga per un periodo di tempo significativo una quota di mercato indicato nella misura pari al 70%.
Nel caso in cui una impresa possegga invece una quota di mercato compresa tra il 40% ed il 70%, è necessario che emergano altri elementi di fatto per poter affermare che l'impresa si trovi in posizione dominante, visto che resta comunque necessario compiere pur sempre una valutazione caso per caso[7].
Gli indizi più rilevanti in questo caso sono rappresentati da:
- una polverizzazione elevata tra le quote di mercato detenute dalle altre imprese concorrenti;
- una particolare efficienza della struttura organizzativa dell'impresa dominante (che potrebbe, ad esempio, avvalersi di cicli di produzione e distribuzione estremamente efficienti);
- la possibilità di avere a disposizione ampie risorse produttive con conseguente capacità di fronteggiare l'incremento di domanda;
- la possibilità di avvalersi di una rete commerciale molto avanzata ed efficiente;
- la possibilità di offrire una gamma di prodotti o di servizi estremamente ampia (ciò consentirebbe non solo di differenziare l'offerta rispetto ai concorrenti, ma anche di applicare e mantenere prezzi più elevati);
- è necessario altresì chiarire che per mercato rilevante si intende quella zona geograficamente individuata dove, dato un prodotto o una gamma di prodotti considerati tra loro sostituibili, le imprese fornitrici di quel medesimo tipo di prodotto si pongono in rapporto di reciproca concorrenza[8].
4.2. La questione dell'espansione o dell'ingresso sul mercato da parte dei concorrenti
Un ulteriore fattore da prendere in considerazione al fine di compiere la valutazione circa la sussistenza di una posizione dominante riguarda:
- la capacità e la forza da parte dei concorrenti effettivi di potersi espandere, togliendo quindi quote di mercato all'impresa dominante;
- la possibilità di ingresso di nuovi potenziali concorrenti all'interno del mercato;
Per poter avere una espansione o l'ingresso di nuovi concorrenti è necessario che essi siano:
- probabili, perché devono essere sufficientemente redditizi per il concorrente o il nuovo operatore;
- tempestivi, perché devono essere sufficientemente rapidi da scoraggiare od impedire l'esercizio di un potere di mercato considerevole;
- sufficienti, perché devono essere di entità tale da scoraggiare qualsiasi tentativo di aumentare i prezzi da parte dell'impresa che si presume dominante sul mercato;
Gli ostacoli all'espansione o all'ingresso sul mercato possono inoltre avere forme differenti, visto che si può trattare di barriere giuridiche (ad esempio: la possibilità di beneficiare di tariffe o vantaggi), finanziarie (ad esempio: l'accesso sovvenzioni pubbliche), tecniche (ad esempio: la titolarità di brevetti o di un know how di particolare rilevanza; il possesso di un elevato livello del settore di ricerca e sviluppo; la possibilità di utilizzare tecnologie importanti) o commerciali (ad esempio: la possibilità di affrontare spese pubblicitarie importanti; la titolarità di marchi affermati; la possibilità di avere accesso privilegiato a fattori di produzione o risorse naturali essenziali; la titolarità di una consolidata rete di distribuzione e di vendita).
5. La posizione dominante delle imprese titolari di un monopolio legale
Le imprese che operano in una situazione di monopolio legale e quelle che esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale si trovano senza dubbio in una posizione dominante all'interno del mercato.
Esse pertanto risultano particolarmente esposte al rischio di abusare della propria posizione.
Secondo quanto previsto dall'art. 106 TFUE (ex art. 86 TCE) le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle normativa antitrust nei limiti in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata
è possibile che uno Stato membro possa violare i divieti previsti dal combinato disposto ex art. 102 ed art. 106 TFUE quando l'impresa a cui sono stati concessi diritti speciali o esclusivi è indotta, con il mero esercizio dei diritti che le sono stati attribuiti, a sfruttare abusivamente la sua posizione dominante; o quando questi diritti sono idonei a creare una situazione in cui l'impresa è indotta a commettere simili abusi.
Il fatto di creare una posizione dominante attraverso la concessione di diritti speciali o esclusivi ai sensi dell'art. 106 TFCE non è però di per sé incompatibile con quanto disposto dall'art. 102 TFCE[9].
L'art. 8, comma 2, della Legge n. 287/90 dispone, parallelamente, che la normativa in materia antitrust non trova applicazione per le imprese che, per disposizione di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati.
L'impresa che opera pertanto in regime di monopolio legale o in forza di un sistema di concessioni è tenuta a rispettare, in principalità, la normativa istitutiva del monopolio o della concessione che prevale in caso di contrasto con il diritto antitrust.
Ciò nondimeno si è però avvertita la necessità di limitare la sottrazione di questa tipologia di imprese rispetto alla normativa antitrust.
Si è dunque ritenuto necessario verificare con attenzione la normativa istitutiva del monopolio legale, al fine di individuare tra le attività esercitate dall'impresa quelle riconducibili allo svolgimento delle funzioni pubblicistiche che risultano sottratte alle regole sulla concorrenza rispetto invece a quelle che vanno svolte in osservanza della normativa antitrust.
È stata inoltre prevista la possibilità di controllare i comportamenti delle imprese operanti in regime di monopolio legale, visto che esse sono escluse dall'obbligo di rispettare le disposizioni in materia di concorrenza solamente quando sono in grado di dimostrare che le condotte dalle medesime tenute risultano indispensabili per lo svolgimento delle missioni e degli obiettivi loro affidati dalla legge.
6. Le ipotesi tipiche di abuso di posizione dominante
L'art. 102 TFUE e l'art. 3 della Legge n. 287/90, che riecheggia sostanzialmente la norma europea, impongono degli obblighi di comportamento all'impresa che si trova in posizione dominante.
Entrambe le disposizioni si articolano in due parti visto che il legislatore ha previsto una clausola generale ed un elenco, non tassativo, composto da quattro fattispecie tipiche di abuso
La clausola generale vieta lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato o su una parte sostanziale di questo, senza tuttavia fornire alcun elemento per poter individuare esattamente quando possa prospettarsi la fattispecie rilevante che configura l'ipotesi di abuso.
È quindi possibile fare ricorso alla clausola generale anche per impedire la perpetrazione di comportamenti abusivi atipici non espressamente elencati.
6.1. L'imposizione di prezzi o condizioni contrattuali inique
La prima fattispecie tipica prevista dalla normativa antitrust ha ad oggetto l'imposizione, diretta od indiretta, di prezzi di acquisto, di vendita od altre condizioni contrattuali non eque (norma TFUE) od ingiustificatamente gravose (norma italiana)
è difatti vietata l'adozione da parte dell'impresa in posizione dominante di prezzi o condizioni contrattuali c.d. “predatori”.
Si può in questi verificare una ipotesi vietata quando l'impresa applica:
- prezzi eccessivamente elevati a danno dei consumatori;
- prezzi troppo bassi a danno dei concorrenti;
L'impresa può ricorrere all'uso di prezzi c.d. predatori al fine di massimizzare la situazione di monopolio nel mercato rilevante oppure per rafforzare od espandere la posizione dominante in un mercato differente.
Una impresa sfrutta abusivamente la sua posizione dominante quando attua una politica dei prezzi finalizzata ad estromettere dal mercato concorrenti che possono essere altrettanto efficienti, ma che, a causa delle loro più limitate capacità tecniche o finanziarie, non sono in grado di resistere alla concorrenza esercitata nei loro confronti[11].
La norma fa inoltre parallelamente divieto di applicare prezzi sottocosto trattandosi anche in questo caso di una pratica pericolosa, giacché può annullare la concorrenza con consequenziale nocumento per i consumatori stessi[12].
Il prezzo può dirsi sottocosto quando è inferiore ai costi variabili medi: il carattere di iniquità va valutato attraverso il raffronto tra il prezzo ed i costi, tenendo anche conto dei prezzi e costi di mercati differenti ma omogenei.
L'applicazione di prezzi sottocosto rappresenta dunque uno strumento finalizzato ad eliminare o impedire l'ingresso di potenziali concorrenti dato che questi ultimi non potrebbero sostenere prezzi non remunerativi[13].
Dopo aver eliminato la concorrenza ed acquisito una posizione assoluta di monopolio a danno dei consumatori, l'impresa in posizione dominate non farebbe successivamente altro che aumentare nuovamente i prezzi
Una impresa in posizione dominante può, ad esempio, commettere un abuso quando applica un sistema di sconti o premi condizionati al raggiungimento di obiettivi d'acquisto individuali (c.d. sconti o premi obiettivo)[14].
L'abuso di posizione dominante può in questo caso verificarsi quando il sistema:
- sia atto a produrre un effetto escludente, rendendo difficoltosi od addirittura impossibili, l'accesso al mercato per i concorrenti e la scelta tra più fonti d'approvvigionamento o controparti commerciali per i clienti;
- non sia obiettivamente giustificato sul piano economico[15].
6.2. Le limitazioni alla produzione, agli sbocchi od allo sviluppo tecnico
L'impresa che si trova in posizione dominante tiene un comportamento abusivo non consentito quando pone altresì in essere comportamenti finalizzati a limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori.
Si tratta di condotte che, anche in detto frangente, sono dirette a creare delle barriere all'ingresso all'interno di un determinato mercato con l'obiettivo di ostacolare possibili imprese concorrenti.
Un'impresa dominante può, ad esempio provare a precludere il mercato ai suoi concorrenti impedendo loro di vendere ai clienti attraverso il ricorso ad obblighi di acquisto esclusivo o sconti che prendono il nome di accordi di esclusiva[16].
Per effetto di un obbligo di acquisto esclusivo, un cliente è pertanto costretto su un determinato mercato ad acquistare esclusivamente o in larga misura solamente dall'impresa dominante che si propone attraverso questa politica di impedire l'ingresso o l'espansione dei propri rivali che non sarebbero nella condizione di poter competere[17].
6.3. Le condotte anti-concorrenziali discriminatorie
Un'ulteriore ipotesi tipica di condotta non consentita ha ad oggetto le c.d. condotte discriminatorie.
Si tratta di una fattispecie che si verifica quando l'impresa titolare di una posizione dominante applica condizioni dissimili per prestazioni equivalenti nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, determinando per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza.
Si tratta di una fattispecie che può verificarsi quando il comportamento discriminatorio tenuto dall'impresa in posizione dominante sia diretto a falsare la relazione concorrenziale, vale a dire ad ostacolare la posizione concorrenziale di alcune delle controparti commerciali dell'impresa rispetto alle altre[18].
È, ad esempio, il caso in cui l'impresa in posizione dominante preferisce favorire alcuni acquirenti del prodotto o del servizio che non ritiene pericolosi o comunque non concorrenti, sfavorendo invece le imprese concorrenti nel medesimo mercato rilevante ovvero in un altro contiguo[19].
Costituiscono, ad esempio, un abuso di posizione dominante i c.d. sconti "target" o sconti obiettivo quando risultano idonei a fidelizzare i soggetti destinatari, sottraendoli di fatto ai rivali e riducendo il residuo grado di concorrenza conseguente.
Non sono pertanto consentiti gli sconti concessi ai propri clienti-grossisti da parte dell'impresa dominante, laddove siano finalizzati a ridurre o ad escludere la presenza sul mercato di uno o più concorrenti[20].
Un'altra situazione rilevante per la normativa antitrust si verifica nel caso di rifiuto a contrarre da parte dell'impresa in posizione dominante senza che la stessa abbia alcuna valida giustificazione oggettiva per tenere un simile comportamento[21].
Si verifica ad esempio il caso di sfruttamento abusivo quando una impresa che detenga una posizione dominante sul mercato delle specialità medicinali, si rifiuti di soddisfare ordinativi aventi un carattere normale, al fine di impedire le esportazioni parallele effettuate da alcuni grossisti da uno Stato membro verso altri Stati membri[22].
Non sussiste poi una giustificazione oggettiva laddove l'impresa in posizione dominante non intenda fornire prodotti o servizi essenziali allo svolgimento dell'attività di una impresa operante in un mercato contiguo in cui essa stessa è presente ovvero operano imprese ad essa collegate.
Un caso particolare riguarda il rifiuto a contrarre da parte di un'impresa che è in possesso di una c.d. essential facility, vale a dire una risorsa, infrastruttura o struttura, il cui impiego è indispensabile da parte di altre imprese per lo svolgimento della propria attività in un settore differente, ma comunque contiguo rispetto a quello in cui opera il detentore del bene[23].
La risorsa deve però essere essenziale cioè non facilmente sostituibile e quindi unica all'interno del mercato rilevante (ad esempio un'area aeroportuale oppure un gasdotto) ovvero non può essere duplicabile per ragioni giuridiche od economiche (ad esempio perché il bene è soggetto ad una concessione in esclusiva oppure l'operazione non sarebbe conveniente da un punto di vista economico).
L'impresa che detiene una c.d. essential facility può dunque essere ritenuta titolare di una posizione dominante all'interno del mercato e per questo motivo essa è obbligata a consentire l'accesso alla risorsa essenziale, poiché in caso di rifiuto si verrebbe a configurare la fattispecie di abuso sanzionata dalla normativa antitrust[24].
6.4. I contratti con prestazioni supplementari
L'ultima ipotesi tipica di abuso si verifica nel caso in cui l'impresa in posizione dominante subordini la conclusione dei contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l'oggetto dei contratti stessi.
Un'impresa dominante può, ad esempio, tentare di precludere l'accesso al mercato da parte dei suoi concorrenti ricorrendo alla pratica delle c.d. vendite abbinate o aggregate ("tying" e "bundling") dei propri prodotti.
Con il termine "vendita abbinata" si intende generalmente la situazione in cui i clienti che acquistano un prodotto (prodotto principale) debbono acquistare anche un altro prodotto dall'impresa dominante (prodotto abbinato).
La "vendita aggregata" si riferisce invece alle modalità con cui l'impresa dominante offre i prodotti fissandone il prezzo.
Un'impresa dominante può danneggiare i consumatori attraverso la vendita abbinata o aggregata precludendo il mercato degli altri prodotti offerti dai concorrenti che fanno parte dell'insieme abbinato o aggregato (mercato del prodotto abbinato).
La norma antitrust può dunque dirsi violata quando:
- un'impresa è dominante nel mercato del prodotto principale;
- i prodotti principali e i prodotti abbinati sono prodotti distinti;
- la pratica di vendita abbinata può determinare una preclusione anti-concorrenziale;
Un'ulteriore ipotesi ricorrente è rappresentata dal caso in cui l'impresa propone un pacchetto inscindibile contenente prodotti o servizi in rapporto al quale per un prodotto o servizio si trova in posizione dominante, mentre gli altri potrebbero essere acquistati separatamente presso un'altra impresa.
L'acquirente si troverebbe nella condizione di non poter reperire agevolmente sul mercato il prodotto venduto dall'impresa in posizione dominante, donde si vedrebbe invogliato ad acquistare l'intero pacchetto.
7. Il regime sanzionatorio
Secondo quanto previsto dall'art. 4 del Regolamento (CE) n. 1/2003, la Commissione ha la competenza ad applicare quanto disposto dall'art. 102 TFCE nei casi di abuso di posizione dominante di rilevanza comunitaria.
L'art. 7 del Regolamento (CE) n. 1/2003 dispone che la Commissione ha in particolare funzione di:
- accertare, in seguito a denuncia o d'ufficio, la consumazione di un'infrazione all'art. 102 TFC;
- obbligare le imprese interessate a porre fine all'infrazione accertata;
- imporre alle imprese l'adozione di tutti i rimedi comportamentali o strutturali, proporzionati all'infrazione commessa e necessari a far cessare effettivamente la violazione contestata;
La Commissione ha altresì la possibilità di:
- adottare misure cautelari in caso di urgenza dovuta al rischio di un danno grave ed irreparabile per la concorrenza allorquando abbia sommariamente accertato la consumazione di un'infrazione, così come disposto dall'art. 8 del Regolamento (CE) n. 1/2003;
- infliggere ammende ai sensi di quanto disposto dall'art. 23 del Regolamento (CE) n. 1/2003;
Le ammende - che non hanno carattere di sanzione di rilevanza penale - possono trovare applicazione quando le imprese intenzionalmente o per negligenza:
- commettono un'infrazione alle disposizioni di cui all'art. 102 TFCE;
- contravvengono a una decisione che disponga misure cautelari;
- non rispettano un impegno reso obbligatorio dalla Commissione mediante decisione ai sensi dell'art. 9 del Regolamento (CE) n. 1/2003;
La misura dell'ammenda non può superare il 10% del fatturato totale realizzato dall'impresa durante l'esercizio sociale precedente ed ai fini della sua quantificazione la Commissione tiene conto oltre che della gravità dell'infrazione anche della sua durata.
La Corte di giustizia europea ha la competenza giurisdizionale in materia per decidere sui ricorsi presentati avverso le decisioni assunte dalla Commissione con cui ha provveduto ad irrogare sanzioni o penalità di mora ai sensi dell'art. 23 ed art. 24 del Regolamento (CE) n. 1/2003.
A livello invece nazionale, secondo quanto previsto dall'art. 3 del Regolamento (CE) n. 1/2003, le Autorità garanti della concorrenza dei singoli Stati membri e le giurisdizioni nazionali sono tenute ad applicare quanto disposto dall'art. 102 TFCE.
L’Autorità garante ed il giudice nazionale applicano dunque la normativa comunitaria quando l’abuso di una posizione dominante determina un pregiudizio per il commercio tra più Stati membri dell'Unione europea, vale a dire quando la condotta abusiva assume una rilevanza comunitaria.
L'art. 1 della Legge n. 287/90 dispone in particolare che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato è tenuta ad applicare, anche parallelamente in relazione a uno stesso caso, quanto disposto dall'art. 102 TFCE e dall'art. 3 della legge italiana in materia di abuso di posizione dominante.
L'interpretazione di quanto previsto dall'art. 3 della Legge n. 287/90 va peraltro effettuata in base ai principi dell'ordinamento dell'Unione europea in materia di disciplina della concorrenza.
Secondo quanto poi previsto dall'art 5 del Regolamento (CE) n. 1/2003, le Autorità garanti dei singoli Stati membri possono adottare le seguenti decisioni:
- ordinare la cessazione di un'infrazione;
- disporre misure cautelari;
- accettare impegni;
- comminare ammende, penalità di mora o qualunque altra sanzione prevista dal diritto nazionale;
L'Autorità garante per la concorrenza ed il mercato ha il potere di fissare un termine per l'eliminazione dell'infrazione quando all'esito dell'istruttoria venga accertata la sussistenza di un comportamento abusivo della posizione dominante, così come previsto dall'art. 15 della Legge n. 287/90.
Nei casi di infrazioni gravi, tenuto conto della gravità e della durata dell'infrazione, l'Autorità garante può disporre l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10% del fatturato realizzato dall'impresa nell'ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida per l'eliminazione della violazione.
L’'art. 31 della Legge n. 287/90 dispone peraltro che per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione delle norme in materia di concorrenza “si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della Legge 24 novembre 1981, n. 689”.
L'art. 11 della Legge n. 689/1981 prevede che nel determinare l’importo della sanzione si deve avere riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche.
L'Autorità garante ha la possibilità di definire con proprio provvedimento generale i casi in cui la sanzione amministrativa pecuniaria può essere non applicata ovvero ridotta nelle fattispecie previste dal diritto comunitario, in virtù della qualificata collaborazione prestata dalle imprese nell'accertamento di infrazioni alle regole di concorrenza[25].
L'Autorità garante può altresì ordinare la sospensione dell'attività d'impresa fino a 30 giorni nel caso di reiterate inottemperanze.
La politica sanzionatoria è finalizzata non solo a punire coloro che hanno posto in essere condotte illecite, ma anche a scongiurare la reiterazione di comportamenti abusivi e quindi dissuadere le altre imprese dal porre in essere atti non consentiti.
Ai sensi di quanto disposto dall'art. 14 – bis della Legge n. 287/90, l'Autorità garante ha infine il potere di:
- disporre l'adozione di misure cautelari nei casi di urgenza dovuta al rischio di un danno grave e irreparabile per la concorrenza quando venga constatata la sussistenza di una infrazione[26];
- infliggere una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 3% del fatturato quando l'impresa non adempie alla misura cautelare;
Si precisa infine che, a livello di tutela giurisdizionale, la competenza è riservata al giudice amministrativo visto quanto previsto dall'art. 33 del D.lgs. n. 287/90.
Le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza vanno invece promossi davanti al Tribunale competente per territorio presso cui è istituita la sezione specializzata di cui all'art. 1 del D.lgs. 26 giugno 2003, n. 168 e sm.i. (c.d. Tribunale delle imprese)
8. L'azione per il risarcimento del danno (cenni)
Con l'emanazione della Direttiva n. 2014/104/UE (G.U.U.E. 5.12.2014, n. L 349), il legislatore europeo ha introdotto alcune norme ritenute necessarie per garantire la possibilità di proporre una azione risarcitoria da parte di chiunque abbia subito un danno a causa di una violazione del diritto della concorrenza.
Il nostro legislatore ha provveduto a dare attuazione alla direttiva attraverso l'introduzione nel nostro ordinamento del D.lgs.19 gennaio 2017, n. 3 (Gazz. Uff. 19 gennaio 2017, n. 15) che riconosce appunto il diritto al risarcimento in favore di chiunque abbia subito un danno a causa di una violazione del diritto della concorrenza da parte di un'impresa o di un'associazione di imprese.
Il risarcimento del danno deve comprendere il danno emergente, il lucro cessante oltre agli interessi e non determina sovracompensazioni.
Esso è inoltre determinato secondo le disposizioni di cui all'art. 1223 c.c., art. 1226 c.c. ed art. 1227 c.c.
9. Bibliografia
Andrea Montanari, “Il danno antitrust”, CEDAM, 2020
Ubertazzi Luigi Carlo, “Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza”, CEDAM, 2019
Floridia Giorgio, “Il Diritto industriale”, IPSOA, 2019
Mangini Vito, Toni Anna Maria, “Manuale Breve di Diritto Industriale”, CEDAM, 2019
Catricalà Antonio, Cassano Giuseppe, Clarizia Renato, “Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori”, UTET Giuridica, 2018
Pappalardo Aurelio, “Il diritto della concorrenza dell'Unione Europea”, UTET Giuridica, 2018
Scuffi Massimo, Franzosi Mario, “Diritto industriale italiano”, CEDAM, 2013
![]() Pluris, CEDAM, UTET Giuridica, Leggi d'Italia, IPSOA ti presentano One LEGALE: la nuova soluzione digitale per i professionisti del diritto con un motore di ricerca semplice ed intelligente, la giurisprudenza commentata con gli orientamenti (giurisprudenziali), la dottrina delle riviste ed i codici commentati costantemente aggiornati. |
[1] Corte di giustizia Comunità Europee, 11/12/1980; Cons. Stato Sez. VI Sent., 29/01/2013, n. 548; Cons. Stato Sez. VI, 10/03/2006, n. 1271
[2] Corte giustizia Unione Europea Grande Sez., 06/09/2017, n. 413/14
[3] Corte di giustizia Comunità Europee, 03/10/1985; Corte di giustizia Comunità Europee, 13/02/1979, n. 85/76; Corte di giustizia Comunità Europee, 14/02/1978, n. 27/76; Cons. Stato Sez. VI Sent., 15/05/2015, n. 2479; Cons. Stato Sez. VI, 14/03/2000, n. 1348
[4] Corte giustizia Unione Europea Sez. I Sent., 06/12/2012, n. 457/10
[5] Corte di giustizia Comunità Europee Sez. V, 16/03/2000, n. 395
[6] Comm. Comunità Europee, 21/12/1988
[7] Autorità garante per la concorrenza Sent., 04/08/2011; Comm. Comunità Europee, 07/10/1981
[8] Cons. Stato Sez. VI Sent., 08/04/2014, n. 1673; Cons. Stato Sez. VI Sent., 01/03/2012, n. 1192
[9] Corte giustizia Unione Europea Sez. V, 26/10/2017, n. 347/16; Corte di giustizia Comunità Europee, 22/05/2003, n. 462/99; Corte di giustizia Comunità Europee, 23/05/2000, n. 209/98
[11] Corte giustizia Unione Europea Sez. I Sent., 17/02/2011, n. 52/09
[12] Corte di giustizia Comunità Europee Sez. V, 16/03/2000, n. 395
[13] Corte di giustizia Comunità Europee, 03/07/1991, n. 62/86
[14] Corte di giustizia Comunità Europee, 09/11/1983, n. 322/81; Cons. Stato Sez. VI, 10/03/2006, n. 1271
[15] Corte di giustizia Comunità Europee Sez. III Sent., 15/03/2007, n. 95/04
[16] Corte di giustizia Comunità Europee, 13/07/1966, n. 32; Corte di giustizia Comunità Europee, 13/07/1966, n. 56/64
[17] Autorità garante per la concorrenza, 27/11/2003, n. 12634
[18] Corte giustizia Unione Europea Sez. II, 19/04/2018, n. 525/16
[19] Corte di giustizia Comunità Europee, 22/05/2003, n. 462/99; Comm. Comunità Europee, 05/12/1988
[20] Cons. Stato Sez. VI, 19/07/2002, n. 4001
[21] Corte di giustizia Comunità Europee Sez. V, 29/04/2004, n. 418; Corte di giustizia Comunità Europee, 06/03/1974, n. 6/73; Comm. Comunità Europee, 29/07/1987
[22] Corte di giustizia Comunità Europee Grande Sez., 16/09/2008, n. 476/06; Corte di giustizia Comunità Europee Grande Sez. Sent., 16/09/2008, n. 469/06; Corte di giustizia Comunità Europee Grande Sez., 16/09/2008, n. 473/06
[23] Autorità garante per la concorrenza, 08/02/2006, n. 15175; Autorità garante per la concorrenza, 06/06/1996, n. 3953
[24] Cons. Stato Sez. VI, 29/01/2013, n. 548
[25] Si rinvia sul tema alle “Linee Guida sulle modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90” (c.d. Linee guida sulla compliance Antitrust) consultabili sul sito web dell'ente www.agcm.it
[26] Per un approfondimento è possibile consultare la comunicazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato relativa all'applicazione dell'art. 14 bis della Legge 10 ottobre 1990 n. 287 reperibile sul sito istituzione dell'ente www.agcm.it