Contratti

Truffa contrattuale e dolo: il contratto è annullabile

In una serie di vendite a catena, l’ulteriore vendita conclusa dal primo acquirente è legittima se non viene impugnata entro il termine di prescrizione

Il contratto concluso per effetto della truffa, penalmente accertata, di uno dei contraenti in danno dell'altro non è radicalmente nullo ma annullabile, poiché il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente diverso, neppure sotto il profilo dell'intensità, da quello che vizia il consenso negoziale.

Entrambi si risolvono infatti in artifici o raggiri usati dall’agente per indurre in errore l'altra parte e viziarne il consenso.

Riguardo alla vendita, quindi, il soggetto attivo che riceve la cosa col consenso, sia pur viziato, dell'avente diritto, ne diventa effettivo proprietario, con il connesso potere di trasferirne il dominio ad un terzo.

Quest'ultimo, se acquista in buona fede e a titolo oneroso, resta quindi al riparo dagli effetti dell'azione di annullamento da parte del "deceptus", ai sensi e nei limiti di cui all'art. 1445 c.c.

Questo, in sintesi, quanto ribadito dalla Corte d’Appello di Milano con la sentenza in commento, respingendo il ricorso degli originari proprietari di un veicolo che, truffati da un terzo cui avevano venduto l’auto, contestavano la legittimità dell’ulteriore vendita da questi disposta.

Secondo la Corte il mancato esercizio dell’azione di annullamento entro i termini, relativamente al primo contratto, rendeva valido ed efficace il successivo trasferimento del bene, proprio perché disposto da chi risultava legittimo proprietario al momento della vendita.

Sommario

Il caso

Due persone vendevano l’auto di loro proprietà ad un terzo, ricevendo in pagamento un assegno circolare rivelatosi poi falso.

Denunciavano quindi per truffa l’acquirente, che nel frattempo aveva rivenduto il veicolo ad una concessionaria ad un prezzo notevolmente inferiore.

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. gli originari proprietari convenivano quindi in giudizio il titolare della concessionaria, deducendo gli fosse nota la provenienza delittuosa del veicolo, sia perchè operatore qualificato del settore che per la significativa differenza tra il prezzo a cui il terzo aveva acquistato l’auto (risultante dalla visura Aci) e quello a cui l’aveva rivenduta.

Chiedevano quindi di sentirsi dichiarare unici proprietari del veicolo e la condanna del convenuto al pagamento delle spese di custodia dell’auto - nel frattempo oggetto di sequestro penale – oltre al risarcimento dei danni per la perdita di valore e il mancato utilizzo del mezzo dal sequestro.

Il titolare della concessionaria si costituiva in giudizio, deducendo di essere il legittimo proprietario del bene in quanto legittimamente acquistato, per un prezzo conforme ai listini, dal terzo che, come risultava dalle annotazioni al Pra, ne era divenuto proprietario.

I Contratti, Direzione scientifica: Breccia Umberto, Carnevali Ugo, D'Amico Giovanni, Macario Francesco, Granelli Carlo, Ed. IPSOA, Periodico. Rivista di dottrina, giurisprudenza e pratiche contrattuali nazionali e internazionali, arbitrato e mediazione.
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La pronuncia di primo grado e l’appello

Per il Tribunale di Monza il trasferimento del diritto di proprietà dell'auto dagli attori al terzo è valido e così quello a favore del titolare della concessionaria che, in difetto di prova contraria, era da presumere in buona fede al momento dell’acquisto.

Gli attori appellavano la pronuncia, invocando la violazione dell'art. 1153 c.c. e dunque l'invalidità dell'acquisto del diritto di proprietà dell'auto da parte del concessionario, proprio per la malafede del terzo al momento dell’acquisto.

Il Tribunale avrebbe infatti omesso di considerare che l'auto, in seguito alla denuncia per truffa sporta dagli appellati, era già sottoposta a sequestro e che il concessionario era (o avrebbe dovuto essere) consapevole della significativa discrepanza fra il prezzo di acquisto - riportato nel certificato del Pra - e quello di vendita.

L’annullabilità del contratto concluso per truffa

Secondo la Corte d’appello il gravame è infondato.

I giudici osservano, in primo luogo, che gli appellanti non hanno mai contestato - se non tardivamente, nella comparsa conclusionale - la validità del contratto di vendita intercorso tra loro e il terzo, per cui quest’ultimo, nel momento in cui ha trasferito a sua volta il bene, lo ha fatto in veste di proprietario.

In ogni caso, osserva la Corte, il primo contratto di vendita non era nullo bensì annullabile per dolo.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità è chiara nell’affermare che il contratto concluso per effetto della truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro è annullabile, ex art. 1439 c.c., posto che il dolo costitutivo di tale fattispecie non è ontologicamente diverso da quello che vizia il consenso negoziale, neanche sotto il profilo dell'intensità. Entrambi si risolvono infatti in artifici o raggiri, usati dall'agente e volti a indurre in errore l'altra parte e dunque a viziarne il consenso (in tal senso Cass. n. 18930 del 27/09/2016).

Le norme astrattamente applicabili al vaglio della Corte d’appello

Peraltro, osservano i giudici, l'invocato art. 1153 c.c. non trova applicazione nel caso di specie, stante l’espressa previsione contraria dell’art. 1156 c.c.

Tuttalpiù potrebbe astrattamente operare l'art. 1162 c.c., che tuttavia nemmeno è applicabile alla fattispecie in esame, trattandosi di un acquisto da proprietario, mentre la norma contempla l’ipotesi opposta.

Ciò rende anche irrilevante accertare se l’appellato fosse o meno in buona fede nel momento in cui ha acquistato l’auto.

Gli appellanti avrebbero invece potuto ottenere tutela convenendo in giudizio il primo acquirente - chiedendo l'annullamento per dolo del contratto di vendita con questi concluso - e contestualmente il titolare della concessionaria, provandone la mala fede al momento dell'acquisto e opponendogli l’annullamento del contratto, ex art. 1445 c.c., per ottenere la restituzione dell'auto.

Conclusioni

Muovendo dalle su esposte considerazioni la Corte conclude che, riguardo alla vendita, il soggetto attivo che riceve la cosa col consenso, sia pur viziato, dell'avente diritto, ne diventa effettivo proprietario, con il connesso potere di trasferirne il dominio al terzo e con la conseguenza che se questi, a sua volta, acquista in buona fede e a titolo oneroso, resta “salvo” dagli effetti dell'azione di annullamento da parte del "deceptus", ai sensi e nei limiti di cui all'art. 1445 c.c..

Il giudizio sulla sussistenza o meno della buona fede implica peraltro un apprezzamento di fatto, sottratto al sindacato di legittimità se sorretto da esauriente motivazione e ispirato a esatti criteri giuridici.

Per questi motivi la Corte ha rigettato l’appello, confermando l’ordinanza del Tribunale di Monza e condannando gli appellanti a rifondere all’appellato le spese del giudizio e a pagare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

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