Avvocati, nicchie di mercato ''sicuro'' da conoscere a inizio carriera

La legge offre al neo-avvocato varie possibilità per ''farsi le ossa'' in determinati ambiti giuridici, svolgendo funzioni a supporto del Tribunale o dei più deboli

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Conseguire il titolo di avvocato non è sinonimo di immediata clientela: non è infatti sufficiente iscriversi all'albo per fatturare nell'immediato, mantenersi e riuscire a pagare le spese.

La legge offre al neo-avvocato varie possibilità per “farsi le ossa” in determinati ambiti giuridici, svolgendo funzioni a supporto del Tribunale o dei più deboli: avvocato d'ufficio, mediatore, arbitro, amministratore di sostegno, custode giudiziario e professionista delegato alle operazioni di vendita, gestore della crisi di impresa.

Scopriamo insieme quali sono i requisiti per poter svolgere questo tipo di attività.

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Sommario

  1. Difensore d'ufficio
  2. Il mediatore civile o commerciale
  3. L'arbitro
  4. L'amministratore di sostegno
  5. Il custode giudiziario e professionista delegato alle operazioni di vendita
  6. Il gestore della crisi d’impresa: curatore, commissario giudiziale e liquidatore
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1. Difensore d'ufficio

L'art. 97 del codice di procedura penale contiene la disciplina del difensore d'ufficio.

L'imputato che non ha nominato un difensore di fiducia o ne è rimasto privo, infatti, è assistito da un difensore d'ufficio, nominato tra gli iscritti ad un apposito elenco nazionale.

Il difensore d'ufficio garantisce all'imputato privo di difensore di fiducia la difesa tecnica, che nel processo penale è obbligatoria.

La difesa d'ufficio è caratterizzata da specifici obblighi e diritti; l'avvocato nominato d'ufficio, infatti:

a) ha l'obbligo di prestare il proprio patrocinio;
b) non può rifiutarsi di prestare il patrocinio o interromperlo;
c) deve informare il suo assistito della facoltà di nominare un difensore di fiducia e del fatto che la difesa d'ufficio non è gratuita, ma deve essere retribuita;
d) se inserito nei turni giornalieri per l'assistenza a detenuti e/o arrestati, deve garantire la reperibilità;
e) ha il diritto ad essere retribuito dall'assistito.

Per quanto concerne la retribuzione, molti neofiti spesso confondono, sbagliando, il concetto di difensore d'ufficio e quello di gratuito patrocinio o patrocinio a spese dello Stato.

Spesso questi due concetti vanno a braccetto, ma non è un obbligo.

In linea di principio il difensore d'ufficio deve essere retribuito dall'assistito a sue spese, salvo che ricorrano i requisiti per l'accesso al patrocinio a spese dello Stato.

Per poter accedere al patrocinio a spese dello Stato è richiesto che l'assistito sia titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, così come risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.746,68; nell'ipotesi in cui il soggetto conviva con il coniuge o con altri familiari, ai fini del calcolo del reddito per accedere al gratuito patrocinio devono computarsi anche i redditi conseguiti nello stesso periodo da ogni componente della famiglia.

Il limite di euro 11.746,68 è aumentato, per ogni familiare a carico, di euro 1.032,91.

Questi importi non sono fissi, ma sono soggetti ad annuale revisione sulla base del costo della vita.

Non possono accedere al gratuito patrocinio i soggetti condannati con sentenza definitiva per alcuni tipi di reati, come l'associazione mafiosa, l'associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, per i reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

In ogni caso, se l'assistito non può accedere al gratuito patrocinio e, dopo aver usufruito della prestazione del difensore d'ufficio non lo retribuisce, il pagamento dell'avvocato è comunque garantito dallo Stato.

In ogni caso, ai sensi degli artt. 116 e ss. del Testo Unico sulle Spese di Giustizia (D.P.R. n. 115/2002), l'onorario del difensore d'ufficio è liquidato dal magistrato e posto a carico dello Stato:

a) quando il difensore dimostra di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti professionali nei confronti dell'indagato/imputato/indagato inadempiente;
b) quando l'indagato/imputato/condannato è irreperibile;
c) quando l'indagato/imputato/condannato è un minore d'età.

In parole povere, il pagamento della prestazione professionale del difensore d'ufficio è sempre garantito.

Si tratta, perciò, di un'opportunità di reddito che potremmo definire “sicura”, molto importante per chi muove i primi passi nel mercato dell'avvocatura.

Per potersi iscrivere all'albo nazionale dei difensori d'ufficio, tenuto dal Consiglio Nazionale Forense, l'avvocato deve, alternativamente:

a) aver partecipato a un corso biennale di formazione e aggiornamento professionale in materia penale (il c.d. Corso per difensore d'ufficio) organizzato dal Consiglio dell'Ordine o da una Camera penale territoriale o dall'Unione delle Camere penali, della complessiva durata di almeno 90 ore e con superamento della prova d'esame finale;
b) essere iscritto all'albo da almeno cinque anni e aver maturato una comprovata esperienza in materia penale;
c) aver conseguito il titolo di avvocato specialista in diritto penale.

Il sistema più rapido, per il neo-avvocato, di accedere all'albo dei difensori d'ufficio è sicuramente quello di frequentare il Corso per difensore d'ufficio, superando l'esame finale.

Una volta iscritto all'albo dei difensori d'ufficio, l'avvocato è soggetto alla verifica annuale sulla permanenza dei requisiti, per il cui superamento è richiesto:

a) di non aver riportato sanzioni disciplinari definitive superiori all'ammonimento;
b) di aver esercitato attività nel settore penale in maniera continuativa, partecipando ad almeno dieci udienze camerali/dibattimentali per anno, escluse quelle di mero rinvio.

Sia la domanda di iscrizione che quella di permanenza nell'elenco nazionale dei difensori d'ufficio si presenta al Consiglio dell'Ordine di appartenenza, unitamente alla documentazione comprovante il possesso dei requisiti per l'iscrizione; il C.O.A. Curerà la trasmissione degli atti al C.N.F.

Se la domanda di iscrizione viene rigettata, l'avvocato può presentare opposizione al provvedimento del C.N.F., secondo la procedura di cui all'art. 7 del D.P.R. n. 1199/71.

Difensore d'ufficio

2. Il mediatore civile o commerciale

Il mediatore è la persona che svolge la funzione di mediazione: si tratta di un terzo imparziale che durante la procedura di mediazione cerca di far raggiungere a due o più soggetti un accordo amichevole per la composizione della controversia, anche formulando una proposta per la sua risoluzione.

La riforma Cartabia ha incrementato l'ambito di applicabilità della cosiddetta mediazione obbligatoria, il cui esperimento, dal 25 giugno 2023, diverrà condizione di procedibilità per poter avviare una controversia in materia di:

  • condominio,
  • diritti reali,
  • divisione,
  • successioni ereditarie,
  • patti di famiglia,
  • locazione,
  • comodato,
  • affitto di aziende,
  • risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria,
  • risarcimento del danno derivante da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità,
  • contratti assicurativi, bancari e finanziari,
  • associazione in partecipazione,
  • consorzio
  • franchising,
  • opera,
  • rete,
  • somministrazione,
  • società di persone e subfornitura.

L'avvocato, in quanto iscritto all'albo, è mediatore di diritto, per cui, a differenza di altre tipologie di professionisti, non è soggetto ad alcun obbligo formativo particolare.

Tuttavia, per potersi iscrivere ad un organismo di mediazione, all'interno del quale esercitare l'attività, l'avvocato deve essere adeguatamente formato in materia di mediazione, e aggiornarsi periodicamente tramite la frequenza di corsi di aggiornamento teorico-pratici tenuti da appositi formatori per la mediazione, iscritti in un apposito elenco del Ministero della Giustizia.

Il mediatore viene retribuito dall’organismo di mediazione presso cui esercita la propria attività.

mediatore civile o commerciale

3. L'arbitro

Gli articoli 806 e ss. del codice di procedura civile recano la disciplina dell'arbitrato, una forma di Alternative Dispute Resolution (A.D.R.) cui le parti possono ricorrere per risolvere, appunto, le controversie tra di loro insorte che non abbiano ad oggetto diritti indisponibili.

Presso ogni Consiglio dell'Ordine possono essere costituite camere arbitrali, di conciliazione e organismi di risoluzione alternativa delle controversie, cui l'avvocato che intenda esercitare la funzione di arbitro può chiedere di essere iscritto.

In alternativa, l'avvocato può chiedere di iscriversi a una qualunque camera arbitrale per esercitare la funzione.

Ciascuna camera arbitrale può richiedere all'avvocato il rispetto di determinati requisiti formativi, come ad esempio aver frequentato un apposito corso o essere docente/ricercatore in materia arbitrale, effettuare una formazione periodica.

In ogni caso, al fine di poter esercitare la funzione di arbitro, l'avvocato deve innanzitutto essere in possesso dei requisiti di onorabilità, per cui:

a) non deve aver riportato condanne penali definitive per delitti non colposi o a pena detentiva non sospesa;
b) non deve essere stato oggetto di interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici;
c) non deve essere stato sottoposto a misure di prevenzione o di sicurezza;
d) non deve aver riportato sanzioni disciplinari definitive più gravi dell'avvertimento.

L'Avvocato che svolge la funzione di arbitro, nel rispetto del codice deontologico, deve improntare il suo comportamento a probità e correttezza, vigilando affinché il procedimento di arbitrato si svolga in maniera indipendente e imparziale.

L'avvocato non deve versare in situazione di conflitto di interessi con le parti, perciò non deve assumere la funzione di arbitro quando abbia in corso, ovvero abbia avuto negli ultimi due anni, rapporti professionali con una delle parti ovvero se ricorre una delle ipotesi di ricusazione previste dall'art. 815 c.p.c.:

  1. se l'arbitro non ha le qualifiche espressamente convenute dalle parti;
  2. se egli stesso, o un ente/associazione/società di cui si amministratore abbiano interesse nella causa;
  3. se egli stesso o il coniuge è parente fino al quarto grado o convivente o commensale abituale di una delle parti, di un rappresentante legale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
  4. se egli stesso o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia con una delle parti, un suo rappresentante legale o con alcuno dei suoi difensori;
  5. se è legato ad una delle parti, a una società da questa controllata, al soggetto che la controlla, a società sottoposta a comune controllo, da un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettano l'indipendenza;
  6. se è tutore o curatore di una delle parti;
  7. se ha prestato consulenza, assistenza o difesa ad una delle parti in una precedente fase della vicenda o vi ha deposto come testimone;
  8. se sussistono altre gravi ragioni di convenienza tali da incidere sull'indipendenza o sull'imparzialità dell'arbitro.

La violazione di questo divieto costituisce illecito disciplinare e comporta l'applicazione della sanzione della sospensione dall'esercizio dell'attività di avvocato da sei mesi a un anno.

È inoltre fatto divieto all'avvocato di accettare la nomina ad arbitro se una delle parti del procedimento sia assistita, o sia stata assistita negli ultimi due anni da altro professionista suo socio o con lui associato, ovvero che eserciti negli stessi locali.

L'avvocato deve comunicare per iscritto alle parti ogni ulteriore circostanza di fatto e ogni rapporto con i difensori che possa influire sulla sua indipendenza e imparzialità, al fine di ottenere il consenso delle stesse parti all'espletamento dell'incarico di arbitro.

Durante il procedimento, l'avvocato arbitro deve comportarsi in modo da preservare la fiducia che in lui ripongono le parti, rimanendo immune da influenze e condizionamenti esterni di qualsiasi tipo.

L'avvocato arbitro è soggetto all'obbligo di riservatezza nell'esercizio delle sue funzioni, perciò:

a) deve mantenere la riservatezza sui fatti di cui venga a conoscenza in ragione del procedimento arbitrale;
b) non deve fornire notizie su questioni riguardanti il procedimento;
c) non deve rendere nota la decisione prima che questa sia formalmente comunicata a tutte le parti.

L'avvocato arbitro è soggetto al rispetto di determinati obblighi deontologici anche dopo aver espletato le sue funzioni, e nello specifico non deve intrattenere rapporti professionali con una delle parti:

a) se non siano decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento arbitrale;
b) se l'oggetto dell'attività non sia diverso da quello del procedimento arbitrale stesso.

Tale divieto è esteso ai professionisti che siano soci, associati dell'avvocato arbitro o che esercitino negli stessi locali.

La violazione dei divieti e dei doveri sopra elencati costituisce illecito deontologico, con applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività di avvocato da due o sei mesi.

L’arbitro ha diritto al rimborso delle spese e all’onorario per l’opera prestata, salvo che vi abbia espressamente rinunciato al momento dell’accettazione dell’incarico o con atto scritto successivo.

Il pagamento dell’onorario e del rimborso spese grava sulle parti dell’arbitrato solidalmente.

Le spese possono essere liquidate direttamente dall’arbitro in proprio favore, però in tal caso la liquidazione non è vincolante per le parti se esse non l’accettano espressamente. In tal caso, l’ammontare delle spese e dell’onorario spettante all’arbitro è determinato con ordinanza del presidente del tribunale su ricorso dell’arbitro e sentite le parti.

L’ordinanza di liquidazione delle spese dell’arbitro costituisce titolo esecutivo.

4. L'amministratore di sostegno

L'amministratore di sostegno è una figura posta a tutela del soggetto affetto da infermità ovvero da una menomazione fisica o psichica, che si trovi nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.

Il giudice tutelare, con il provvedimento di nomina, fissa l'oggetto dell'incarico e gli atti che l'amministratore di sostegno può compiere in nome e per conto dell'amministrato, nonché quelli che, invece, l'amministrato può compiere da solo.

A norma dell'art. 408 del codice civile il giudice tutelare, nello scegliere il soggetto da nominare come amministratore di sostegno, dovrà previamente valorizzare e tener conto l'eventuale designazione già effettuata dal beneficiario in previsione di una sua futura incapacità; in mancanza di previa designazione, la scelta può cadere sul coniuge non separato legalmente, sulla persona stabilmente convivente, sul padre, la madre, il figlio, il fratello, la sorella, il parente entro il quarto grado, il soggetto designato dal genitore superstite dell'amministrato.

In caso di opportunità (ad esempio nelle ipotesi di grave conflittualità tra i parenti dell'amministrato) o comunque in presenza di gravi motivi, il giudice tutelare può nominare un amministratore di sostegno scegliendolo tra un soggetto terzo di propria fiducia, attingendo anche dagli appositi elenchi istituiti preso i singoli Tribunali, all'interno del quale sono inseriti i nominativi degli avvocati disponibili a svolgere tale tipologia di incarico.

Per poter essere iscritti in questo elenco, al di là dell'iscrizione all'albo degli avvocati, non sono richiesti requisiti di legge particolari; è fatta salva, tuttavia, la facoltà per ciascun Presidente di Tribunale di richiedere dei requisiti formativi particolari.

In ogni caso, è bene che l'avvocato iscritto in tale elenco si sia previamente formato, da autodidatta o attraverso un corso di formazione dedicato, in materia di amministrazione di sostegno.

L'attività dell'amministratore di sostegno terzo è, in linea di principio gratuita: tuttavia, il Giudice Tutelare, considerando l'entità del patrimonio del beneficiario e la difficoltà dell'amministrazione, può liquidare in favore dell'amministratore un'equa indennità, dietro apposita richiesta da parte dell'amministratore.

amministratore di sostegno

5. Il custode giudiziario e professionista delegato alle operazioni di vendita

Il custode giudiziario e il professionista delegato alle operazioni di vendita sono due figure fondamentali all’interno del processo esecutivo immobiliare.

All’inizio del processo esecutivo, precisamente entro quindici giorni dal deposito nel fascicolo della documentazione ipocatastale da parte del creditore procedente, il giudice dell’esecuzione nomina il custode giudiziario del bene immobile pignorato.

Il custode si sostituisce al debitore nella custodia del compendio pignorato.

Esso, nel rispetto delle direttive fornite dal giudice dell’esecuzione ha il compito di:

  • collaborare con l’esperto di stima per verificare la correttezza e la completezza della documentazione posta a base del pignoramento, al fine di evitare che il processo vada avanti sulla base di atti incompleti,
  • rendere il conto della gestione al giudice dell’esecuzione,
  • -vigilare affinché il debitore e il nucleo familiare che occupino il bene pignorato lo conservino con la diligenza del buon padre di famiglia, mantenendone e tutelandone l’integrità,
  • amministra e gestisce l’immobile pignorato, esercitando le azioni previste dalla legge e quelle occorrenti a conseguirne la disponibilità, dietro le direttive del giudice dell’esecuzione,
  • relaziona periodicamente al giudice dell’esecuzione circa l’attività di custodia.

Il professionista delegato si occupa di esperire i tentativi di vendita dell’immobile pignorato, nonché della successiva fase di distribuzione delle somme tra i creditori e di trasferimento della proprietà del bene pignorato all’aggiudicatario, attenendosi alle disposizioni di cui al codice di procedura civile e alle specifiche direttive del giudice dell’esecuzione.

Sia il custode che il professionista delegato vengono nominati dal giudice dell’esecuzione, che – seguendo il criterio della rotazione degli incarichi – li seleziona all’interno dell’apposito elenco istituito ai sensi dell’art. 179 ter disp. att. c.p.c. presso ogni tribunale.

La disciplina di accesso agli elenchi è stata recentemente riformata dalla riforma Cartabia, entrata in vigore il 28 febbraio 2023.

Possono essere iscritti all’elenco, previa apposita domanda al presidente del tribunale del circondario in cui il professionista ha la residenza, i soggetti che siano di condotta morale specchiata, iscritti all’albo degli avvocati (o dei commercialisti o dei notai), che rispettino, alternativamente, uno dei seguenti requisiti:

  1. aver svolto nel quinquennio precedente non meno di dieci incarichi di professionista delegato alle operazioni di vendita, senza che alcuna delega sia stata revocata in conseguenza del mancato rispetto dei termini o delle direttive stabilite dal giudice dell’esecuzione;
  2. essere in possesso del titolo di avvocato specialista in diritto dell’esecuzione forzata;
  3. aver partecipato in modo proficuo e continuativo a scuole/corsi di alta formazione organizzati dal Consiglio nazionale forense o da quello nazionale dei commercialisti o del notariato, ovvero dai consigli degli ordini locali o da associazioni forensi specialistiche maggiormente rappresentative o da università, che prevedano il superamento di una prova d’esame finale.

È evidente che per il neo-iscritto all’albo il requisito della previa esperienza è assolutamente inaccessibile, mentre la strada per conseguire il titolo di avvocato specialista è troppo lunga e attualmente incerta; l’opzione da prediligere per iscriversi all’elenco dei professionisti delegati è, quindi, quella di seguire il corso di formazione di cui al punto 3).

Questi corsi, al momento dell’entrata in vigore della riforma Cartabia (28 febbraio 2023) erano inesistenti, poiché la Scuola Superiore per la Magistratura non aveva ancora elaborato le linee guida generali contenenti la definizione dei programmi.

Le linee guida sono state pubblicate solo nel mese di aprile 2023, per cui è prevedibile e auspicabile – anche per evitare il blocco su scala nazionale delle procedure esecutive immobiliari – che sia i consigli nazionali che quelli locali dei rispettivi ordini organizzino, nel breve periodo, i suddetti corsi, che devono avere una durata minima di 20 ore e prevedere il superamento di una prova finale.

L’elenco dei professionisti delegati è soggetto a revisione triennale, e una volta iscritto il professionista, a meno che non si possa fregiare del titolo di avvocato specialista in diritto dell’esecuzione forzata, deve seguire dei percorsi formativi ad hoc durante il triennio, conseguendo un numero di crediti non inferiore a 60 nel triennio di riferimento e comunque a 15 per ciascun anno.

Per chiedere la prima iscrizione all’elenco, il professionista deve fare apposita domanda al presidente del tribunale, depositando la seguente documentazione:

  1. certificato generale del casellario giudiziario di data non anteriore a tre mesi dalla presentazione,
  2. certificato o dichiarazione sostitutiva di certificazione di nascita,
  3. certificato o dichiarazione sostitutiva di certificazione di residenza nel circondario del tribunale,
  4. titoli e documenti idonei a dimostrare la competenza tecnica specifica del professionista.

È consentita l’iscrizione in un solo elenco di professionisti delegati.

Il mancato rispetto dei termini per le attività delegate, delle direttive stabilite dal giudice dell’esecuzione o dagli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti comporta la sospensione fino a un anno e, in caso di gravi o reiterati inadempimenti, la cancellazione dall’elenco dei professionisti.

Il compenso del custode giudiziario è sempre dovuto, e viene liquidato alla fine del processo di esecuzione dal giudice dell’esecuzione in virtù del decreto ministeriale del 15 maggio 2009 n. 80, recante il regolamento in materia di determinazione dei compensi spettanti ai custodi dei beni pignorati.

Il compenso del custode è liquidato unitariamente, in base al valore di aggiudicazione o di assegnazione di ciascun lotto immobiliare, ed è soggetto ad un aumento del 20% nel caso di eccezionali difficoltà nello svolgimento dell’incarico; al custode, inoltre, è dovuto il rimborso forfetario in ragione del 10% del compenso liquidato, per le spese generali di organizzazione e studio, corrispondenza, viaggi e comunicazione, nonché il rimborso delle spese vive documentate diverse da quelle comprese nel rimborso forfetario.

Per quanto concerne la liquidazione del compenso del professionista delegato alle operazioni di vendita, questo viene determinato ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, ai sensi dell’art. 179 bis co. 1 disp. att. c.p.c.

Il provvedimento normativo di riferimento per la liquidazione dei compensi del professionista delegato, attualmente, è il decreto del Ministero della Giustizia del 15 ottobre 2015, n. 227 e ss. mm. (ultima modifica del 2021).

Il professionista delegato viene retribuito in base al prezzo di aggiudicazione o al valore di assegnazione del bene pignorato, ed è liquidato per fasi, in base alle attività svolte:

  1. tra il conferimento dell’incarico e la redazione dell’avviso di vendita,
  2. successivamente alla redazione dell’avviso di vendita e fino all’aggiudicazione o assegnazione,
  3. nel corso della fase di trasferimento della proprietà,
  4. nel corso della fase di distribuzione della somma ricavata.

Al professionista delegato, così come al custode, spetta un rimborso forfetario in misura pari al 10% dell’importo del compenso, nonché il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, compresi i costi di eventuali ausiliari incaricati (ad esempio per l’aggiornamento della documentazione ipotecaria e catastale).

Di norma, la figura del professionista delegato e quella del custode giudiziario coincidono; le due figure, tuttavia, vengono retribuite singolarmente, per cui i compensi si vanno a cumulare e vengono liquidati con differenti provvedimenti.

custode giudiziario e professionista delegato alle operazioni di vendita

6. Il gestore della crisi d’impresa: curatore, commissario giudiziale e liquidatore

Il decreto legislativo n. 14/2019 ha introdotto il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, che è andato a sostituire la vecchia disciplina del fallimento.

La normativa prevede che, nell’ambito delle varie procedure di gestione della crisi di impresa, il Tribunale assegni le funzioni di curatore, commissario giudiziale o liquidatore a soggetti iscritti nell’Albo dei gestori della crisi e insolvenza delle imprese, istituito presso il Ministero della Giustizia.

L’albo è unico per tutta Italia e non prevede né sezioni né suddivisioni di alcun tipo per distretto giudiziario.

La domanda di iscrizione si presenta esclusivamente in via telematica, accedendo all’apposita sezione dedicata sul Portale dei Servizi Telematici del Ministero della Giustizia, alla voce Albo dei gestori della crisi d’impresa.

È consentita l’iscrizione all’albo dei gestori della crisi di impresa, oltre che ai commercialisti e ai consulenti del lavoro, agli avvocati iscritti all’albo, purché vengano soddisfatti degli specifici requisiti di onorabilità e formativi.

Per quanto concerne l’aspetto formativo, è richiesta:

  1. la frequenza, con profitto, di un corso di perfezionamento organizzato da un’università pubblica/privata, dai Consigli dell’Ordine in convenzione con un’università, oppure dalle Camere di commercio, in materia di crisi di impresa e insolvenza, della durata di 40 ore effettive;
  2. un tirocinio non inferiore a 6 mesi presso organismi da sovraindebitamento, curatori fallimentari, commissari giudiziali, professionisti indipendenti ai sensi della vecchia legge fallimentare (R.D. n. 267/42), professionisti delegati per le operazioni di vendita nelle procedure esecutive immobiliari, professionisti nominati per svolgere compiti e funzioni dell’organismo o del liquidatore nella procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Il tirocinio può essere svolto contestualmente ad altra attività, come ad esempio l’esercizio della professione di avvocato, e deve essere documentato attraverso apposita certificazione resa ai sensi dell’art. 4 comma 2 lett. d) del D.M. n. 75/2022 ovvero mediante dichiarazione sostitutiva ai sensi del comma 4 dello stesso articolo.

Sotto il profilo dell’onorabilità, il soggetto che aspira ad iscriversi all’albo dei gestori della crisi di impresa:

  1. non deve versare in una delle condizioni di ineleggibilità o decadenza previste dall'articolo 2382 del codice civile;
  2. non deve essere stato sottoposto a misure di prevenzione disposte dall’autorità giudiziaria ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;
  3. non deve essere stato condannato con sentenza passata in giudicato, salvi gli effetti della riabilitazione: 1) a pena detentiva per uno dei reati previsti dalle norme che disciplinano l'attività bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di mercati e valori mobiliari, di strumenti di pagamento; 2) alla reclusione per uno dei delitti previsti nel titolo XI del libro V del codice civile o nel presente codice; 3) alla reclusione per un tempo non inferiore a un anno per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, contro l'ordine pubblico, contro l'economia pubblica ovvero per un delitto in materia tributaria; 4) alla reclusione per un tempo superiore a due anni per un qualunque delitto non colposo;
  4. non deve avere riportato negli ultimi cinque anni una sanzione disciplinare più grave di quella minima prevista dai singoli ordinamenti professionali.

L’albo dei gestori della crisi e insolvenza, il cui popolamento è avvenuto per la prima volta nell’anno 2023, è soggetto a revisione biennale; entro il 2025, perciò, il professionista iscritto dovrà acquisire uno specifico aggiornamento biennale, sempre della durata non inferiore a quaranta ore, in materia di crisi dell’impresa e sovraindebitamento.

A differenza del corso necessario per la prima iscrizione all’albo, i corsi di aggiornamento necessari per la revisione biennale possono essere erogati, oltre che da università pubbliche/private, anche dagli ordini professionali degli avvocati, commercialisti, senza la necessità di un’apposita convenzione con un’università.

Il compenso e le spese dovuti al curatore, al commissario giudiziale sono liquidati dal Tribunale secondo le norme stabilite con apposito decreto del Ministero della Giustizia.

Attualmente il D.M. di riferimento per i compensi del curatore è il D.M. n. 30/2012, secondo il quale il curatore viene retribuito con una somma calcolata in percentuale sull’ammontare dell’attivo, sulla base di alcuni scaglioni economici di riferimento.

Al curatore/commissario giudiziale spetta anche un rimborso forfetario pari al 5% dell’importo del compenso liquidato, nonché il rimborso delle spese vive effettivamente sostenute e autorizzate dal Giudice delegato, purché documentate.

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