Non c'è soccombenza reciproca se sono accolti solo alcuni motivi di gravame
In primo grado la domanda attorea viene accolta, mentre in secondo grado è rigettata e il giudice del gravame compensa le spese legali. L’appellante vittorioso ritiene che la sentenza sia errata e che le spese debbano seguire la soccombenza.
Se il giudice d’appello accoglie solo alcuni dei motivi di gravame ricorre un’ipotesi di soccombenza reciproca?
La Corte di Cassazione, Sezione III, con l’ordinanza del 23 giugno 2023, n. 18062 (testo in calce), risponde negativamente al quesito e si uniforma all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite nell’ottobre del 2022. In particolare, gli ermellini affermano che «quando il diritto di cui si domanda l'accertamento in giudizio sia ritenuto non provato, la parte convenuta resta integralmente vittoriosa, a nulla rileva che il giudice abbia escluso l'esistenza di quel diritto per una, per dieci o per tutte le ragioni dedotte dal convenuto». Infatti, non costituisce soccombenza reciproca il fatto che una domanda unitaria sia accolta solo in parte o in misura minore al richiesto.
Sommario |
La vicenda
Nel 2003, il rappresentante di una società di persone viene dichiarato fallito; tra i suoi beni, è presente un immobile concesso in comodato ai genitori. La curatela fallimentare, decorsi sei anni dall’apertura del fallimento, intima agli occupanti il rilascio del bene, che avviene solo nel 2011. L’anno seguente, la curatela conviene in giudizio i genitori e la sorella del fallito, chiedendo il risarcimento del danno per l’occupazione sine titulo dall’appartamento dal 2003 (anno di apertura del fallimento) al 2011 (data del rilascio). I convenuti si oppongono a tale ricostruzione, affermando la legittimità dell’occupazione in virtù del disposto dell’art. 47 c. 2 legge fallimentare a mente del quale “la casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all'abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività”. Inoltre, ove ciò non bastasse, affermano di aver occupato l’appartamento in forza del contratto di comodato concluso tra il figlio (fallito) e il padre.
- In primo grado, la domanda della curatela viene accolta.
- In secondo grado, viene rigettata e le spese sono compensate.
I genitori del fallito impugnano la decisione sotto il profilo della compensazione delle spese legali.
Prima di analizzare la decisione, ricordiamo brevemente la disciplina normativa.
Premessa: cosa prevede il codice di rito in materia di spese
La regola generale del codice di rito è rappresentata dal principio del victus victori, ossia al vincitore spetta la refusione delle spese di lite (art. 91 c.p.c.). La condanna alle spese trova fondamento nel principio di causalità, in base al quale i costi del processo vanno fatti gravare sulla parte che avrebbe potuto evitare la lite e che invece vi ha dato causa. In altre parole, gli oneri del processo devono essere sopportati dalla parte che, con il suo comportamento, ha reso necessaria l'attività del giudice.
Una prima eccezione a tale regola riguarda il caso in cui il giudice accolga la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa. La parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta viene condannata al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta (art. 91 c. 1 c.c.). Si tratta di una misura sanzionatoria diretta ad incentivare la parte ad accettare la proposta. La regola incontra altre deroghe (art. 92 c.p.c.) e non si applica:
- quando la parte vittoriosa abbia violato il dovere di correttezza,
- quando vi sia soccombenza reciproca,
- quando ricorrano “gravi motivi” (così in base a quanto stabilito dalla Corte Cost sent. 77/2018).
Secondo la giurisprudenza, la compensazione delle spese non ha carattere eccezionale e non è limitata ad ipotesi tassative ma è ammissibile anche in altre situazioni rimesse alla discrezionalità del giudice.
Ciò premesso, torniamo al decisum.
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Accolti solo alcuni motivi di gravame: non c’è soccombenza reciproca
Il ricorrente lamenta che il giudice di secondo grado abbia compensato le spese pur in assenza di una soccombenza reciproca o parziale. Inoltre, le spese sostenute dai ricorrenti nei due gradi di giudizio sono superiori all’importo che la controparte avrebbe ottenuto se avesse vinto la causa. Pertanto, una simile decisione appare irrazionale.
La Suprema Corte considera fondata la doglianza.
Il giudizio ha ad oggetto una richiesta di risarcimento danni, accolta il primo grado e rigettata nel secondo. Da ciò consegue che i ricorrenti risultino totalmente vittoriosi all’esito di due gradi di giudizio.
La circostanza che il giudice d’appello abbia accolto solo alcuni dei motivi di gravame non costituisce un’ipotesi di soccombenza reciproca né parziale del giudizio di secondo grado. Secondo gli ermellini:
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«quando il diritto di cui si domanda l'accertamento in giudizio sia ritenuto non provato, la parte convenuta resta integralmente vittoriosa, e nulla rileva che il giudice abbia escluso l'esistenza di quel diritto per una, per dieci o per tutte le ragioni dedotte dal convenuto».
Gli orientamenti contrapposti e l’intervento delle Sezioni Unite
In materia di spese di lite, si segnalano due contrapposti orientamenti.
- Secondo un indirizzo, l’attore che ottenga ragione per un importo inferiore al richiesto non può considerarsi soccombente ai sensi dell’art. 91 c.p.c. e non può essere condannato al pagamento delle spese di lite, neppure in minima parte. Ad esempio, se chiede 100 e ottiene 10, non è soccombente.
- L’orientamento contrapposto ritiene che sussista la soccombenza anche nel caso in cui l’attore abbia formulato una sola domanda che venga accolta in misura quantitativamente inferiore al richiesto.
In particolare, una delle questioni controverse riguarda se, nel caso di un rilevante divario tra quanto chiesto dall’attore (petitum) e quanto deciso dal giudice (decisum), sia possibile che l'attore parzialmente vittorioso possa essere condannato alla rifusione di un’aliquota delle spese di lite in favore della controparte. La Cassazione nella sua più autorevole composizione (Cass. SS. UU. 32061/2022), componendo il mentovato contrasto giurisprudenziale (Cass. Ord. 28048/2021), ha risposto negativamente e ha statuito che non rappresenta un’ipotesi di soccombenza reciproca il fatto che una domanda unitaria sia accolta solo in parte o in misura inferiore rispetto al richiesto.
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«In tema di spese processuali, l'accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un'unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ.».
Conclusioni: le spese seguono la soccombenza
Gli ermellini, stante l’erroneità della sentenza gravata, cassano la decisione senza rinvio e decidono la causa nel merito stabilendo quanto segue. Le spese del giudizio di primo grado vengono compensate per intero sia per l’oggettiva difficoltà per la curatela fallimentare di valutare ex ante la fondatezza della propria pretesa sia per l’esito alterno dei gradi di merito (
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Cass. 12222/2007). Invece, le spese del secondo grado seguono la soccombenza così come quelle di legittimità.
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