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Divieto di parcheggio nel cortile condominiale: valida la delibera assunta a maggioranza

La decisione di limitare la sosta nel cortile solo per il ''carico-scarico'' non costituisce una modifica della destinazione né un’innovazione (Cassazione n. 7385/2023)

Il cortile è un bene comune (art. 1117 c. 1 n. 1 c.c.) e l’assemblea condominiale può deliberare il divieto di usarlo come parcheggio al fine di regolarne l’uso in modo ordinato e razionale. La decisione di limitare l’uso del cortile al mero “carico-scarico” e, quindi, vietare il posteggio non costituisce una modifica della destinazione della cosa comune né un’innovazione, pertanto, non è necessaria la maggioranza qualificata. Parimenti, è legittima la multa irrogata alla condomina che non rispetti il suddetto divieto.

Così ha deciso la Corte di Cassazione, Sezione II, con la sentenza del 14 marzo 2023 n. 7385 (testo in calce). La pronuncia è interessante anche perché precisa che l’eventuale omessa convocazione di un condomino in assemblea (o la mancata comunicazione delle decisioni adottate) rappresenta un motivo di annullamento della delibera che può essere fatto valere solo entro 30 giorni ex art. 1137 c.c. Decorso tale termine, non si può invocare il vizio per opporsi all’ingiunzione presentata dall’amministratore. Inoltre, in tema di revoca dell’amministratore, viene chiarito che l’eventuale istanza proposta in sede contenziosa risulta inammissibile e non è possibile la traslazione del giudizio in sede non contenziosa. Infatti, un simile provvedimento «è diretto a gestire interessi (del condominio), non a risolvere controversie su diritti soggettivi (o status)».

Sommario

Immobili 2023, A cura di Busani Angelo, Ed. IPSOA, 2023. Disciplina catastale, urbanistica, imposte su redditi, trasferimenti e patrimoniali, contrattazione su trasferimento proprietà, diritti reali, utilizzo immobile.
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La vicenda

La proprietaria di un appartamento sito in Condominio impugna due delibere assembleari con le quali viene stabilito il divieto di parcheggio nel cortile comune e sono irrogate delle sanzioni nei suoi confronti per violazione del suddetto divieto. L’attrice chiede il risarcimento del danno patito in solido al Condominio e all’amministratore, chiedendo la revoca di quest’ultimo per irregolarità nello svolgimento del mandato. Il Condominio chiede l’ingiunzione ex art. 186 ter c.p.c. per il pagamento delle spese condominiali. In primo e secondo grado, viene accolta la domanda di ingiunzione, dichiarata inammissibile la richiesta di revoca dell’amministratore e rigettate le altre domande.

Si giunge così in Cassazione.

Sentenza scritta a mano: valida se comprensibile

Preliminarmente, la ricorrente eccepisce la nullità della sentenza gravata per essere stata scritta a mano dal giudice. La Suprema Corte rigetta tale doglianza, in quanto non può comminarsi la nullità della sentenza per il solo fatto che sia redatta di pugno. Ciò a patto che il testo sia comprensibile e sia idoneo a raggiungere il suo scopo ( Questo simbolo indica la disponibilità del documento su One LEGALE


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Cass. 5869/2018
). Infatti, secondo la giurisprudenza, la motivazione si considera assente solo allorché il testo risulti assolutamente indecifrabile, e anche quando «la sua scarsa leggibilità renda necessario un processo interpretativo del testo con esito incerto, tanto da prestarsi ad equivoci o anche a manipolazioni delle parti che possono, in tal modo, attribuire alla sentenza contenuti diversi […]» (Cass. 4683/2016). Pertanto, non è configurabile la nullità della sentenza nell'ipotesi in cui si manifesti una mera difficoltà di comprensione e di lettura del testo che sia stato vergato a mano dall'estensore, in quanto il provvedimento non può ritenersi privo dei requisiti di validità indispensabili per il raggiungimento del suo scopo.

Ciò premesso, veniamo ora al cuore della vicenda.

Divieto di parcheggio nel cortile: non è una modifica della destinazione d’uso

Secondo la ricorrente, la decisione di vietare il parcheggio nel cortile è immotivata e lede il suo diritto al godimento della cosa comune.

La Suprema Corte considera infondata la doglianza.

Innanzitutto, preme ricordare che il cortile rientra tra i beni comuni, unitamente a pilastri, travi portanti, tetti, lastrici solari, scale, portoni di ingresso, vestiboli, anditi, portici, facciate (ex art. 1117 c. 1 n. 1 c.c.), in quanto si tratta di una parte dell'edificio necessaria all'uso comune.

Secondo la legge (art. 1102 c. 1 c.c.), ogni condomino può servirsi della cosa comune purché:

a) non ne alteri la destinazione

b) e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

La giurisprudenza è costante nell’affermare che le decisioni dell’assemblea condominiale aventi ad oggetto la limitazione paritaria dell’uso del cortile come parcheggio non alterano la destinazione della cosa comune (sub a). Al contrario, le suddette decisioni rendono l’uso paritario più razionale, a seconda delle circostanze concrete (sub b). Infatti, simili statuizioni hanno un valore meramente organizzativo delle modalità d’uso delle cose comuni, senza menomare i diritti dei condomini di godere e disporre delle stesse. Per questa ragione, al fine di approvare siffatte determinazioni, non è richiesta una maggioranza qualificata ( Questo simbolo indica la disponibilità del documento su One LEGALE


Clicca il link verde per accedere alla piattaforma Cass. 6573/2015; Cass. 9877/2012). In mancanza di accordo tra i condomini o in difetto di delibera assembleare, la regolamentazione dell’uso della cosa comune può essere richiesta al giudice e da lui disposta ( Questo simbolo indica la disponibilità del documento su One LEGALE

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Cass. 3937/2008; Cass. 23118/2015
).

Nel caso di specie, il cortile condominiale è di piccole dimensioni, perciò i condomini hanno deciso di limitare la sosta al mero “carico e scarico” per la durata massima di mezz’ora. In tal modo, si intende evitare che la sosta prolungata di un condomino possa impedire agli altri di farne parimenti uso. Secondo i giudici di legittimità, una simile decisione appare legittima in quanto rientrante nel potere di regolamentazione dei beni comuni spettante all’assemblea.

La delibera assembleare può stabilire un uso turnario

Per completezza espositiva, esaminiamo la diversa fattispecie in cui l’area cortiliva sia adibita a posteggio.

Secondo la consolidata giurisprudenza ( Questo simbolo indica la disponibilità del documento su One LEGALE


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Cass. 6573/2015; Questo simbolo indica la disponibilità del documento su One LEGALE

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Cass. 12485/2012; Questo simbolo indica la disponibilità del documento su One LEGALE

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Cass. 5997/2008; Questo simbolo indica la disponibilità del documento su One LEGALE

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Cass. 26226/2006; Questo simbolo indica la disponibilità del documento su One LEGALE

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Cass. 1004/2004
), l'assemblea gode del potere di regolamentazione dell'uso delle cose comuni e può deliberare a maggioranza l'uso a parcheggio di spazi comuni. Tale decisione è volta a rendere più ordinato e razionale il godimento paritario, oppure, nel caso in cui sia impraticabile un godimento simultaneo in favore di tutti i comproprietari, è possibile prevedere il godimento turnario del bene. Ut supra ricordato, una siffatta delibera assembleare assume «un valore meramente organizzativo delle modalità d'uso delle cose comuni, senza menomare i diritti dei condomini di godere e disporre delle stesse» (Cass. 38468/2021). Al contrario, l'assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito (al di fuori, dunque, da ogni logica di turnazione), di posti macchina all'interno di un'area condominiale è illegittima, in quanto determina una limitazione dell'uso e del godimento degli altri condomini (Cass. 11034/2016; Cass. 1004/2004).

Riassumendo, la delibera non può:

  • stabilire l’assegnazione nominativa a favore di singoli condomini di posti fissi nel cortile comune per il parcheggio dell'autovettura,
  • trasformare l'originaria destinazione del bene comune rendendone inservibili talune parti dell'edificio all'uso o al godimento anche di un singolo condomino,
  • procedere alla divisione del bene comune con l'attribuzione di singole porzioni individuali, occorrendo a tal fine l'espressione di una volontà contrattuale e, quindi, l’unanimità (Cass. 38468/2021).

Multa per violazione del divieto

Il Codice civile stabilisce che per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l'amministratore dispone per le spese ordinarie. L'irrogazione della sanzione è deliberata dall'assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio (art. 70 disp. att. c.c.). La multa, quindi, costituisce oggetto di una decisione del consesso assembleare. Nel caso di specie, la condomina ha impugnato anche la delibera con cui le è stata comminata la sanzione, ritenendola illegittima, ma la sua doglianza viene rigettata sia in sede di merito che in sede di legittimità.

Ingiunzione di pagamento e omessa notifica dell’avviso di convocazione

Secondo la ricorrente, il credito vantato dal Condominio non è certo, liquido ed esigibile in quanto l’ingiunzione di pagamento delle spese condominiali difetta della notifica dell’avviso di convocazione dell’assemblea nonché del verbale della stessa.

Anche tale doglianza risulta infondata.

Infatti, affinché il credito abbia i requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, è sufficiente la presenza del riparto delle spese approvato in assemblea e l’accertamento della morosità. L’eventuale omessa convocazione di un condomino in assemblea o la mancata comunicazione delle decisioni adottate rappresenta un motivo di annullamento della delibera che può essere fatto valere solo entro 30 giorni ex art. 1137 c.c. Tale termine decorre:

  • dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti
  • e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti

Decorso il suddetto termine, i vizi non possono essere eccepiti per opporsi all’ingiunzione di pagamento.

Revoca dell’amministratore: inammissibile istanza in sede contenziosa

La ricorrente lamenta che la sentenza gravata non abbia traslato in sede di volontaria giurisdizione il giudizio di revoca dell’amministratore presentato in sede contenziosa.

Anche tale censura va rigettata.

La revoca dell’amministratore è un provvedimento da adottare in sede non contenziosa dal momento che è volto a gestire gli interessi del Condominio e non a risolvere controversie sui diritti soggettivi. Pertanto, l’eventuale istanza proposta in sede contenziosa risulta inammissibile e non è possibile la traslazione del giudizio in sede non contenziosa. Spetta all’istante adire ex novo l’autorità giudiziaria ed incoare un giudizio autonomo.

Per completezza espositiva, si ricorda che uno o più condomini possono rivolgersi al Tribunale e chiedere la revoca per giusta causa, se l’amministratore:

  • non dà notizia all’assemblea della ricevuta notifica di un atto di citazione o di un provvedimento amministrativo che esorbitino dalle sue attribuzioni (art. 1131 c. 4 c.c.),
  • non rende il conto della gestione,
  • in caso di gravi irregolarità elencate, a titolo esemplificativo, nell’art. 1129 c. 12 c.c.

In tali circostanze, il Tribunale (art. 64 disp. att. c.c.):

  • dispone all’audizione dell’amministratore in contraddittorio con i ricorrenti,
  • emette un decreto motivato, di accoglimento o di rigetto, reclamabile entro dieci giorni.

Una volta revocato, l’amministratore non può essere nuovamente nominato dall’assemblea (art. 1129 c. 13 c.c.).

Conclusioni: ricorso rigettato

In conclusione, il ricorso è rigettato integralmente e la ricorrente è condannata al pagamento delle spese di giudizio liquidate in 3 mila euro oltre oneri. È altresì condannata al pagamento dell’ulteriore somma pari al contributo unificato per il ricorso (ex art. 13 c. 1 bis DPR 115/2002).

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