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Azione proposta da più condomini: il soccombente in primo grado non appellante può ricorrere in cassazione?

Il condomino non può dedurre nel ricorso per cassazione questioni che abbiano formato oggetto di motivi specifici di appello proposti da altri condomini

Alcuni condomini agiscono in giudizio contro il proprietario del piano terra che gestisce un ristorante. Gli attori chiedono la cessazione delle immissioni moleste e la riduzione in pristino della facciata dell’edificio, alterata in seguito al posizionamento delle canne fumarie. In primo grado, le domande attoree vengono rigettate e ricorrono in appello solo due dei nove attori originari. La sentenza di secondo grado impone lo spostamento delle canne fumarie e uno dei condomini non appellanti si sente pregiudicato da tale decisione, pertanto, ricorre in Cassazione.

La Suprema Corte, con la sentenza 27 ottobre 2022, n. 31827 (testo in calce), dichiara inammissibile il ricorso in cassazione del condomino soccombente in primo grado, che non ha proposto appello. Infatti, quando più condomini agiscono nello stesso processo verso un altro condomino o verso un terzo (ad esempio, per la cessazione delle immissioni a tutela della propria unità immobiliare oppure a difesa della cosa comune) si determina un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo in cause scindibili. Pertanto, qualora la sentenza di primo grado rigetti tutte le domande e l’appello sia proposto soltanto da alcuni degli attori originari, “trova applicazione l’art. 332 c.p.c. e le pronunce non impugnate nei termini di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. divengono irrevocabili”. Quindi, il condomino, rimasto soccombente in primo grado e che non abbia proposto appello, “non può dedurre quali motivi di ricorso per cassazione questioni che abbiano formato oggetto di motivi specifici di appello proposti da altri condomini; peraltro, allorché detto appello sia accolto, tanto meno egli può ricorrere per cassazione, stante il difetto di soccombenza”. Laddove la sentenza di secondo grado, pronunciata tra le parti rimaste in causa, abbia pregiudicato i diritti del condomino in questione, questi potrà proporre l’opposizione di terzo (ex art. 404 c. 1 c.p.c.) oppure, nel caso in cui l’esecuzione del titolo formatosi inter alios incida sulla sua posizione, può formulare un’opposizione di terzo all'esecuzione (ex art. 619 c.p.c.).

Sommario

La vicenda

I nove proprietari di distinti appartamenti siti in un condominio convenivano in giudizio la proprietaria del locale posto a piano terra, in cui ella svolgeva la propria attività di ristorazione. Gli attori chiedevano che venissero dichiarate illegittime le due aperture praticate dalla convenuta sulla facciata del palazzo per l’installazione della canna fumaria.

In primo grado, le domande attoree venivano rigettate e, avverso tale decisione, proponevano appello solo due dei nove originari attori, mentre gli altri rimanevano contumaci. In sede di gravame, veniva parzialmente accolto l’appello dei due condomini e la proprietaria del piano terra veniva condannata ad eseguire opere di adeguamento relativamente alle due canne fumarie che si diramavano sino al terrazzo. Le opere da compiere erano indicate dal CTU al fine di rendere conformi le canne fumarie al regolamento comunale.

Uno dei condomini rimasto contumace in grado d’appello ricorre in Cassazione contro la pronuncia di secondo grado ma, come vedremo, la Suprema Corte considera inammissibile il ricorso.

Inammissibilità del ricorso del condomino non appellante

Il condomino ricorrente in cassazione e rimasto contumace in appello lamenta che la sentenza gravata abbia previsto una diversa localizzazione delle canne fumarie, in tal modo pregiudicando la sua proprietà. Infatti, il suo appartamento avrebbe subito un nocumento sia per la presenza della canna fumaria già esistente, sia per la collocazione aggiuntiva della canna fumaria dall’altro lato del fabbricato.

Secondo il ricorrente, gli appellanti hanno introdotto una domanda nuova, relativa alle distanze legali delle canne fumarie, violando il divieto di novum. Inoltre, il condomino lamenta che il giudice di merito sia incorso nel vizio di ultrapetizione, stabilendo la ricollocazione delle canne fumarie. Infine, sostiene che sia stata violata la distanza legale di 10 metri tra le canne fumarie e le finestre stabilita nel regolamento comunale.

La Suprema Corte considera inammissibili tutti e tre i motivi di ricorso. Infatti, il condomino, rimasto soccombente in primo grado, ma non appellante in ordine alla domanda da lui spiegata, non può dedurre quali motivi di ricorso per cassazione questioni che abbiano formato oggetto di motivi specifici di appello proposti da altri condomini.

Immobili & Proprietà

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Legittimazione ad agire dei singoli condomini

Ogni condomino può agire in giudizio singolarmente senza litisconsorzio con gli altri comunisti:

  • nelle azioni a tutela della propria unità immobiliare di proprietà esclusiva,
  • nelle azioni a difese del bene comune,
  • sia nei confronti dei terzi che verso gli altri condomini (Cass. 734/1982; Cass. 3435/2003).

Orbene, nel caso di specie, gli attori hanno agito contro la condomina del primo piano per la cessazione delle immissioni moleste provenienti dal suo ristorante (azione a tutela della propria unità immobiliare) e per il ripristino del muro condominiale alterato dall’apertura effettuata per le canne fumarie (domanda di natura reale ex art. 1102 c.c.).

Cosa succede quando più condomini agiscono, nello stesso processo, contro un altro condomino?

Nel caso in cui essi agiscano a tutela dei diritti di proprietà esclusiva (per l’eliminazione delle immissioni moleste) e di quelli comuni sull’edificio (per il ripristino della facciata condominiale) si determina un litisconsorzio facoltativo (ex art. 103 c.p.c.). Ciò comporta che le singole cause siano autonome, in quanto non sussiste un rapporto unico e indivisibile (Cass. 4758/1985; Cass. 41490/2021).

Per completezza espositiva, si ricorda che il litisconsorzio (o comunanza della lite) si verifica quando le parti del processo siano più di due.

  • Qualora la presenza di più parti sia imposta dalla legge, si ha litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.);
  • qualora per ragioni di opportunità più azioni, anziché essere svolte separatamente, vengano proposte nello stesso processo, si ha litisconsorzio facoltativo (art. 103 c.p.c.); tali azioni possono riguardare lo stesso bene (connessione per oggetto) oppure lo stesso rapporto giuridico (connessione per titolo).

Litisconsorzio processuale in cause scindibili

Nel caso di specie, ricorre un litisconsorzio facoltativo, in quanto ciascun condomino avrebbe potuto agire singolarmente per far valere la propria pretesa contro il proprietario del piano terra. Inoltre, si tratta di cause scindibili, ossia separabili, benché siano state trattate insieme nel medesimo processo di primo grado.

La sentenza che definisce le singole cause scindibili è solo formalmente unica, in quanto tali cause conservano la propria autonomia, anche in sede di impugnazione (Cass. 12703/1993). Può accadere che la stessa sentenza passi in giudicato per alcune parti, nonostante l’impugnazione proposta dalle altre. Quando vi sono cause scindibili e l’impugnazione è proposta solo da alcune delle parti coinvolte in primo grado, non è prevista un’integrazione del contraddittorio – come accadrebbe nel caso del litisconsorzio necessario – ma la notifica alle altre parti.

In particolare, l’art. 332 c.p.c. prevede che il giudice ordini la notifica dell’impugnazione alle parti che, a loro volta, potrebbero proporre impugnazione e fissi un termine entro cui provvedere a tale incombente. Dopodiché, se necessario, viene fissata un’udienza di comparizione. La ratio della norma consiste nell’impedire che, verso la stessa sentenza, siano promosse diverse impugnazioni. Le parti destinatarie della notifica possono rimanere contumaci oppure possono costituirsi in giudizio.

Nella fattispecie in esame, sono state rigettate le richieste formulate dai nove attori in primo grado e l’appello è stato proposto solo da due dei soccombenti. Pertanto, trova applicazione il mentovato art. 332 c.p.c. e le pronunce sulle domande non impugnate sono divenute irrevocabili (ex art. 325 e 326 c.p.c.), essendo irrilevante che la prosecuzione del giudizio di secondo grado porti ad un esito favorevole potenzialmente idoneo a riflettersi anche nella sfera giuridica di chi non abbia impugnato (Cass. 41490/2021; Cass. 2446/1975; Cass. 552/1977).

Immobili 2022, A cura di Busani Angelo, Ed. IPSOA, 2022. Disciplina catastale, urbanistica, imposte su redditi, trasferimenti e patrimoniali, contrattazione su trasferimento proprietà, diritti reali, utilizzo immobile.
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No al ricorso in Cassazione

Da quanto sopra emerge che il condomino rimasto soccombente in primo grado e che non abbia proposto appello non possa dedurre come motivi di ricorso in cassazione questioni che abbiano formato oggetto dei motivi di appello proposti da altri condomini. Infatti, in sede di legittimità, tali questioni sono nuove rispetto al condomino non appellante e, quindi, inammissibili (Cass. 14700/2010).

Qualora venga accolto il gravame presentato da alcuni degli attori originari nei confronti del convenuto comune in un processo relativo a cause scindibili, la pronuncia non impugnata passa in giudicato per gli altri attori. Questi ultimi non possono proporre ricorso in Cassazione verso la sentenza che abbia accolto l’appello stante il difetto di soccombenza sostanziale. Infatti, tali parti non sono destinatarie dell’accoglimento delle domande avverse o del rigetto delle domande da loro formulate.

Il condomino ricorrente in Cassazione non lamenta la soccombenza conseguente ad una domanda da lui svolta verso la condomina del piano terra, ma intende contestare le modalità di condanna alla riduzione in pristino, il riposizionamento e l’adeguamento delle canne fumarie.

Invero, il condomino non avendo proposto appello «era quindi soggetto al giudicato sostanziale maturato rispetto alla sentenza di primo grado, mentre la sentenza di appello è suscettibile di acquisire il valore di cosa giudicata soltanto nell’ambito del distinto rapporto processuale intercorrente» tra i condomini appellanti e la proprietaria del ristorante posto al primo (Cass. 13607/2011).

Sì ad opposizione di terzo o opposizione di terzo all’esecuzione

La Suprema Corte considera inammissibile il ricorso proposto dal condomino non appellante, tuttavia rileva che, ove la sentenza di secondo grado pregiudichi i suoi diritti, egli sia legittimato a proporre l’opposizione di terzo (ex art. 404 c. 1 c.p.c.).

Oppure, nel caso in cui l’esecuzione del titolo che si sia formato inter alios (ossia tra i condomini appellanti e l’appellata) possa incidere sulla proprietà del condomino non appellante, questi può formulare un’opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c. (Cass. SS. UU. 1238/2015; Cass. 29850/2018).

Conclusioni: il principio di diritto

La Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal condomino rimasto soccombente in primo grado che non abbia proposto appello ed enuncia il seguente principio di diritto:

  • «allorché più condomini agiscono nello stesso processo verso altro condomino o verso un terzo sia per la cessazione delle immissioni a tutela della rispettiva unità immobiliare di proprietà esclusiva, sia a difesa della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c.c., si determina una ipotesi di litisconsorzio facoltativo in cause scindibili, sicché, ove l’appello avverso la sentenza di primo grado, che abbia rigettato tutte le domande, sia proposto soltanto da alcuni degli attori originari, trova applicazione l’art. 332 c.p.c. e le pronunce non impugnate nei termini di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. divengono irrevocabili. Ne consegue che il condomino, rimasto soccombente in primo grado e che non abbia avanzato gravame in ordine alla domanda da lui spiegata, non può dedurre quali motivi di ricorso per cassazione questioni che abbiano formato oggetto di motivi specifici di appello proposti da altri condomini; peraltro, allorché detto appello sia accolto, tanto meno egli può ricorrere per cassazione, stante il difetto di soccombenza, restando eventualmente legittimato, ove la sentenza pronunciata nei rapporti tra le parti rimaste in causa abbia pregiudicato i suoi diritti, a proporre l’opposizione di terzo ai sensi dell'art 404, comma 1, c.p.c., oppure a proporre l'opposizione di terzo all'esecuzione, ai sensi dell'art. 619 c.p.c., ove lamenti che sia l’esecuzione del titolo formatosi inter alios ad incidere sulla sua posizione».

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