Codice della crisi e direttiva Insolvency
1. Inquadramento storico normativo
Il 12 gennaio 2019 è stato emanato, il D.Lgs. 14/2019, ossia il “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza” (di seguito “CCII”). Il Codice, con esclusione di limitati articoli entrati in vigore nel 2019, diviene efficace soltanto il 15 luglio 2022 nel testo largamente modificato ad opera del D.Lgs. 83/2022, che ha recepito la Direttiva insolvency (Dir. 2019/1023)[1].
Il testo, presentato come epocale modifica organica e sistematica della disciplina delle procedure concorsuali, sin dall’inizio ha sollevato diverse polemiche in ordine alla sua idoneità ad attuare quella autonomia, snellezza ed efficacia delle procedure che costituivano l’obiettivo della legge delega n. 155/2017.
La consapevolezza dell’esigenza di rimaneggiare l’impianto del 1942 non è affatto nuova. Già la riforma del 2005 (in cui chi scrive ha avuto qualche parte) modificava in modo sostanzioso le norme della Legge Fallimentare, abbandonando definitivamente il concetto di “economia nazionale”, l’idea che lo Stato ne sia il gestore, nonché la concezione che l’impresa insolvente vada “punita”. Le sanzioni al fallito vengono, dunque, rimosse e viene operata quella che qualcuno ha definito “privatizzazione del fallimento”.
In realtà non c’è mai stata una privatizzazione vera e propria, ma certamente l’obiettivo delle procedure di insolvenza è stato spostato dall’asse Stato-Curatore/fallito a quello debitore\creditori, affidando a quest’ultima dialettica la nuova regolamentazione della crisi, espungendo l’interesse nazionale e limitando, nell’ambito regolatorio, il potere del giudice, considerato ancora dal Regio Decreto (267/1942) la longa manus del potere sanzionatorio dello Stato.
2. La spinta comunitaria alla riforma del diritto della crisi
Della spinta riformatrice si è fatto portatore anche il legislatore europeo con il Regolamento 2015/848, avente ad oggetto specificamente le procedure di insolvenza ed il loro ruolo nel mercato interno in relazione ai rapporti e alle relazioni transfrontaliere, e con la Raccomandazione 135/2014 della Commissione che ha introdotto due importanti concetti:
- l’emersione tempestiva della crisi e la conseguente opportunità di ristrutturazione in fase precoce;
- l’idea di offrire al debitore una “seconda chance”, molto cara alla cultura anglosassone e quasi sconosciuta all’esperienza italiana.
Quello che l’Europa ha chiesto di recuperare è la nozione secondo cui il rischio di impresa non può coincidere né con il rischio penale, né con il rischio di pregiudizievoli conseguenze civili quasi indelebili.
Se tutti gli imprenditori avessero successo, vivremmo nel paradiso terrestre: fare impresa è per sua natura correre un rischio, diversamente il legislatore non si sarebbe preoccupato di approntare strumenti come le società di capitali e la responsabilità limitata.
L’obiettivo è quello di “normalizzare” la situazione di difficoltà dell’impresa, considerandola una condizione possibile e fisiologica dell’attività economica, prevedendo strumenti idonei alla sua emersione tempestiva e alla risoluzione concordata e bonaria, con l’effetto di riservare il fallimento – adesso denominato liquidazione giudiziale – solo ai casi più estremi. Infatti, il debitore e i creditori sono i più interessati – e, perciò, anche i migliori risolutori – a trovare la via d’uscita dalla situazione di crisi, possibilmente evitando l’insolvenza.
Il mondo economico si è evoluto con una dinamica propria: il mercato deve avere regole rispettose dell’autonomia delle parti, della libertà degli interessi in gioco, della flessibilità e dell’agibilità. Ciò vale, in primo luogo, per l’impresa in bonis, ma la stessa logica deve trovare applicazione anche per l’impresa in crisi. Lo stato di difficoltà non fa venir meno la natura di impresa dell’attività economica svolta dal debitore, non ne modifica il DNA: la pretesa che – in assenza di un reale interesse pubblicistico – all’insorgenza della crisi lo Stato divenga l’unico soggetto legittimato a stabilire quale sia la migliore composizione degli interessi in gioco e la miglior soluzione per il soddisfacimento dei crediti, è del tutto impropria.
3. La prima stesura del CCII disattende i propositi della delega
Lo scopo della Riforma è stato (o doveva essere) proprio quello di limitare la presenza diretta – e paternalistica – dello Stato, restituendo un ruolo di dignità all’iniziativa economica privata e allo stesso imprenditore il quale, anche nella “cattiva sorte”, rimane il capo dell’impresa.
Il legislatore inizialmente non sembrava però aver fatto fino in fondo buon uso di questi principi ispiratori – nonché degli obiettivi posti dalla normativa europea – muovendosi piuttosto in una logica di controriforma in cui la gestione della crisi tornava, per lo più, nelle mani pubbliche (emblematici, in proposito, erano gli artt. 47 e 48 CCII – nel testo ante modifiche prima del recepimento della direttiva insolvency – che in tema di concordato attribuiva al tribunale il compito di verificare l’ammissibilità (giuridica) della proposta e la fattibilità economica del piano di risanamento, sia in fase di apertura che di omologazione.
In maniera analoga, non sembrava lasciare molto spazio all’autonomia privata la procedura di composizione assistita, disciplinata dal previgente Capo I, del Titolo II, Parte I del CCII, in base alla quale l’imprenditore doveva avviare spontaneamente, o obbligatoriamente dopo la segnalazione degli organi di controllo societari, del revisore e dei creditori pubblici qualificati, la composizione assistita presso l’OCRI, finalizzata a trovare una soluzione allo stato di crisi. In caso di esito negativo, il collegio doveva invitare il debitore a presentare, entro il termine di 30 giorni, la domanda di accesso ad una delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Lo strumento della composizione assistita, dunque, invece di stimolare la libera discussione tra i soggetti interessati dallo stato di crisi, quali l’imprenditore e i suoi creditori, imponeva di risolvere la situazione di difficoltà con il coinvolgimento di un soggetto terzo quale l’OCRI.
4. Segnali di inadeguatezza del CCII: il DL 118/2021 inverte la rotta
La congiuntura economica, profondamente deteriorata dalla pandemia, ha comportato effetti dolorosi sulle imprese, parzialmente attenuati dai vari interventi di sostegno pubblico. Ne è conseguita la necessità di introdurre strumenti giuridici di supporto alle imprese in difficoltà e l’esigenza di evitare il salto nel buio rappresentato da molte delle nuove misure normative in materia di crisi
Si era fatto strada il dubbio che le disposizioni contenute nel codice non fossero le più idonee a favorire il risanamento delle imprese in difficoltà ma che, al contrario, potessero finire per renderlo, all’atto pratico, meno agevole. E ciò anche a prescindere dall’emergenza epidemiologica.
Basti pensare all’oggettiva “macchinosità” e all’eccessiva “invasività” della procedura di allerta, ad alcune serie criticità del procedimento unitario, all’eccessivo ridimensionamento del concordato preventivo, a previsioni contrastanti con il pur declamato favor per la continuità aziendale come il criterio della prevalenza di cui all’art. 84 del Codice, nonché ad alcune delle nuove disposizioni del codice civile in materia societaria.
Come si legge nella Relazione illustrativa al Decreto Liquidità il sistema dell’allerta “è stato concepito nell'ottica di un quadro economico stabile e caratterizzato da oscillazioni fisiologiche, all'interno del quale, quindi, la preponderanza delle imprese non sia colpita dalla crisi, e nel quale sia possibile conseguentemente concentrare gli strumenti predisposti dal codice sulle imprese che presentino criticità. In una situazione in cui l'intero tessuto economico mondiale risulta colpito da una gravissima forma di crisi, invece, gli indicatori non potrebbero svolgere alcun concreto ruolo selettivo, finendo di fatto per mancare quello che è il proprio obiettivo ed anzi generando effetti potenzialmente sfavorevoli”.
Lo stesso Presidente della Commissione di riforma Rordorf ha osservato: “Non posso nascondere l’impressione che queste istanze di rinvio sottintendano un certo scetticismo, se non proprio una netta ostilità, nei confronti del nuovo codice”.
E altri studiosi hanno rilevato come “con il gioco dei rinvii e delle anticipazioni ha preso corpo un processo al CCII che fino all’esplosione della pandemia serpeggiava ma che non era però salito alla ribalta con tanta decisione[2].”
Quello che finalmente viene meso in discussione è l’impianto schiettamente dirigista sul piano dell’eterotutela del debitore, con conseguente, significativa, riduzione dei suoi margini di manovra: il tutto sull’altare della necessità di reprimerne gli abusi, sembra aver condizionato oltre misura il legislatore del codice, secondo alcuni addirittura non immune da un certo “pregiudizio anti-imprenditoriale”. Peraltro, la persistente “specialità” di trattamento (anche sotto il profilo della sedes materiae) dell’amministrazione straordinaria, conferma la non compiuta organicità della riforma,
L’interrogativo di fondo, non da oggi, è se lo strumento migliore per affrontare il drammatico frangente attuale e i tempi a venire (e in generale le situazioni di crisi del sistema economico) sia rappresentato da una riforma – qual è il codice della crisi – creditor oriented, che completi il processo avviato con quella che in tanti hanno chiamato la “controriforma” del 2015, o se al contrario debba reputarsi preferibile una legge ispirata al preminente obiettivo di salvare le imprese in difficoltà tutelando realmente (e non solo “programmaticamente”) la continuità aziendale.
Anche nella logica della concorrenza fra ordinamenti, la risposta sarebbe dovuta essere nel senso di una riforma debtor oriented, giacché questo è l’approccio che richiede non solo il contesto postpandemico, ma qualsiasi riforma realmente votata a perseguire con efficacia l’obiettivo del risanamento aziendale. E con specifico riferimento all’allerta si è da ultimo assai efficacemente osservato che “occorre verificare come si adatti l’istituto ad una crisi che, per quanto riguarda interi settori della nostra economia, non deve essere scoperta, ma è già in atto[3]”.
In soccorso al diritto della crisi arriva lo strumento della composizione negoziata (CNC) disciplinata dal DL 118/2021 (convertito con L. 147/2021) che ha previsto anche il rinvio del CCII.
La composizione negoziata è stata spesso definita come un percorso che l’imprenditore decide volontariamente di intraprendere, finalizzato a raggiungere un accordo con i creditori e le altre parti interessate tale da consentire all’impresa di superare la situazione di temporaneo squilibrio e di proseguire l’attività in continuità. Si passa da una composizione assistita – obbligatoria – alla composizione negoziata, cui l’imprenditore autonomamente decide di accedere, anche in caso di segnalazioni.
La composizione negoziata ha la finalità di condurre a una vera e propria composizione degli interessi delle parti coinvolte nella crisi di impresa, raggiungibile attraverso la contrattazione ispirata ai principi che caratterizzano gli accordi nel diritto privato quali la buona fede, la correttezza e solidarietà tra le parti, nonché l’equilibrio e la ragionevolezza contrattuale (nel lungo periodo) in cui, dalla compressione dei diritti delle parti oggi, si consente il risanamento dell’impresa realizzando un maggior soddisfacimento nel lungo periodo per tutti.
Siamo nell’ambito dell’autonomia privata e della contrattazione riservata in cui, idealmente, si potrebbe prescindere da ogni intervento da parte del tribunale. La composizione negoziata – dotata inizialmente di un sistema di allerta interna e, successivamente, da un sistema di allerta esterna (art. 30-sexies, DL 152/2021) – sostituisce la composizione assistita nel CCII a seguito del recepimento della direttiva insolvency.
Siamo di fronte ad una rielaborazione del cambio di cultura proposto dal Codice della Crisi, con un sostanziale addomesticamento dei suoi precetti. Il legislatore, mentre allontana nel tempo l’allerta codicistica, “lavora” sul tema accostandosi all’impostazione della Direttiva Insolvency che, in ogni modo, impone l’adozione di sistemi di rilevazione precoce della crisi.
Il DL 118/2021, sostanzialmente trasfuso con modifiche nel CCII, di fatto baratta però opportunamente segnali[4], indicatori e indici con uno strumento compositivo negoziale per la soluzione della crisi d’impresa con l’obiettivo di superare l’incipiente squilibrio economico-finanziario o patrimoniale, se necessario, anche mediante il trasferimento dell’intera azienda o di rami di essa.
Per la conservazione di attività ancora sane, tutti gli imprenditori (commerciali e agricoli e senza preclusioni dimensionali) che si trovino in condizioni che rendano probabile l’insolvenza, o anche solo la crisi, potranno utilizzare la “composizione negoziata della crisi” (ai sensi degli artt. 12 ss. CCII dopo la trasposizione della Composizione nel Codice). Si tratta di un percorso che mira a prevenire la crisi o l’insolvenza, e che concede a chi vi aderisce una serie di incentivi fiscali, dalla rateizzazione delle imposte non versate all’abbattimento di sanzioni e interessi.
Anche il metodo con cui si cerca di attirare l’imprenditore verso un approccio tempestivo cambia: da quello del “bastone e la carota”, si passa a quello della sola “carota” e per giunta servita su un vassoio allestito senza “inquietanti contorni finali”, che invece appaiono nell’allerta codicistica[5].
Il legislatore mette, infatti, a disposizione uno strumento collocato fuori dalle aule di giustizia e volontario. Soltanto l’imprenditore spontaneamente può avvalersi dello strumento quando risulti “ragionevolmente perseguibile” il risanamento dell’impresa senza avere il timore, in caso di insuccesso, di trovarsi al cospetto del PM e di avere un tracciato concorsuale ormai segnato e inevitabile.
L’imprenditore, però, non è solo ad effettuare questo percorso compositivo. È affiancato da un esperto indipendente, imparziale e tenuto alla riservatezza, selezionato da un elenco di esperti costituito presso ogni CCIA. A questo soggetto, che si vuole di specifica professionalità, è attribuito il compito di agevolare le trattative volte al risanamento dell’impresa, proponendo formule per la ristrutturazione dell’impresa e/o la rinegoziazione delle obbligazioni, muovendo dal reale quadro patrimoniale-finanziario del debitore, e in assenza di un esito positivo della composizione – qualora non sia possibile accedere agli altri strumenti di regolazione della crisi oggi disciplinati dal CCII – rimanendo quale ultima spiaggia la liquidazione, perseguire l’ottimizzazione del soddisfacimento dei creditori. In sostanza la composizione negoziata si snoda su una sorta di mediazione assistita volontaria (e riservata).
Ciò che il DL 118/2021 propone e il Codice recepisce è un edulcoramento concettuale dell’allerta che, muovendo dal principio del monopolio dell’imprenditore nell’emersione della crisi, si accompagna con il recepimento delle linee tracciate dal legislatore unionale.
Dagli strumenti di tempestiva rilevazione della crisi si passa a uno strumento che ha in potenza l’attitudine ad essere utilizzato precocemente dall’imprenditore appena questi rilevi “squilibri” patrimoniali o economico - finanziari che rendono probabile la crisi o l’insolvenza.
Il DL apre quindi a uno strumento stragiudiziale che vuole essere chiaro e trasparente (per assicurarne la facilità di utilizzo da parte del debitore e dei terzi coinvolti), e che può essere utilizzato in situazioni che potrebbero comportare la probabilità di crisi o di insolvenza ma senza malviste “ingerenze” e pungoli esterni.
La maggiore flessibilità e autonomia concessa nella gestione della crisi ha inevitabili impatti sulla responsabilità imprenditoriale, qualora il mancato accesso alla Composizione negoziata, oppure a un altro strumento di regolazione, dovesse rilevarsi una scelta errata.
5. Principali novità con il recepimento della Direttiva insolvency
Nel quadro normativo tutt’altro che definito – oggetto di critica dagli addetti ai lavori nel documento congiunto del CNDCEC e Confindustria (del 5 maggio 2022) in cui veniva osservato che le troppe regole sulla crisi di impresa mal coordinate rischiano di disorientare – si inserisce la delega legislativa contenuta nella L. 53/2021, per il recepimento della Direttiva 2019/1023 (c.d. Direttiva insolvency), che offre l’occasione per un intervento sulla riforma del diritto della crisi in essere, integrando e modificando le disposizioni del CCII per attuare le linee dettate dell’UE.
La direttiva persegue una serie di obiettivi, in particolare mira a:
- garantire alle imprese e agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziarie la possibilità di accedere a quadri di ristrutturazione preventiva efficaci che consentano di preservare la continuità aziendale;
- permettere ai debitori di ristrutturarsi efficacemente in una fase precoce e prevenire l’insolvenza e quindi evitare la liquidazione di imprese sane;
- impedire la perdita di posti di lavoro nonché la perdita di conoscenze e competenze e massimizzare il valore totale per i creditori, rispetto a quanto riceverebbero in caso di liquidazione degli attivi della società;
- prevenire l’accumulo di crediti deteriorati;
- garantire di poter intervenire prima che le società non siano più in grado di rimborsare i prestiti, contribuendo in tal modo a ridurre il rischio di un deterioramento di questi ultimi nei periodi di congiuntura sfavorevole, nonché ad attenuare l’impatto negativo sul settore finanziario.
Il raggiungimento di tali obiettivi necessita di strumenti di allerta precoce che consentano di aumentare l’efficienza delle procedure di ristrutturazione, incentivando l’accesso dell’imprenditore a quadri e tecniche di ristrutturazione preventiva, in una fase molto anticipata.
6. La nuova definizione finanziaria di crisi
La Direttiva insolvency, come anticipato, viene recepita con il D.lgs. 83/2022 che modifica in maniera rilevante il CCII per raggiungere gli obiettivi dell’UE. In particolare si segnalano gli interventi in tema di nozione di crisi, di cui all’art. 2 c. 1, lett. a), ridefinita come:
CCII – Versione in vigore |
CCII - Previgente |
art. 2 c. 1 lett. a) lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi |
art. 2 c. 1 lett. a) lo stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate |
Il diritto recepisce l’impostazione finanziaria dei moderni modelli di valutazione aziendale per cui “cash is king”: l’impresa vale se produce cassa, dunque, l’insufficiente produzione di cassa per far fronte alle obbligazioni, in un arco di 12 mesi, determina la situazione di crisi |
7. Riscritte le norme sulle misure e assetti organizzativi
Il testo che recepisce la direttiva insolvency, ridefinisce anche le misure e gli assetti organizzativi, disciplinati nel nuovo testo dell’art. 3 arricchito con i commi 3 e 4, in cui vengono declinati gli obblighi comportamentali per la tempestiva rilevazione della crisi.
La norma (pur non mettendo più rimedio alla manipolazione già consumata dell’art. 2086 c.c.) stabilisce che le misure idonee (per l’imprenditore individuale) e l’adeguato assetto (non solo) organizzativo, (ma anche) amministrativo e contabile (per le società) devono consentire di far emergere tempestivamente lo stato di crisi attraverso specifiche rilevazioni quali: gli squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario (co. 3 lett. a), la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità per almeno 12 mesi successivi nonché i segnali di crisi di cui al comma 4 (co 3 lett. b). La lett. c) c. 3 dell’art. 3 in commento rimanda al Test pratico e alla check list, di cui al Decreto dirigenziale del Min. Giust. 28 settembre 2021, richiedendo all’imprenditore di dotarsi di strumenti di programmazione e controllo che il Decreto ha individuato facendo riferimento alle migliori prassi professionali. Il cambio di impostazione, oltre a integrare la definizione stessa di crisi, porta alla riscrittura dell’art. 13 del CCII che disciplinava gli indicatori e indici della crisi, oggi abrogati (rectius ridefiniti) nell’art. 3, per cui cade la delega al CNDCEC ad individuarli.
CCII - Versione in vigore |
CCII - Previgente |
Art. 3 Adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa 1. L’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte. 2. L’imprenditore collettivo deve istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai sensi dell’articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative. 3. Al fine di prevedere tempestivamente l’emersione della crisi d’impresa, le misure di cui al comma 1 e gli assetti di cui al comma 2 devono consentire di: a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore; b) verificare la sostenibilità dei debiti e le prospettive di continuità aziendale almeno per i 12 mesi successivi e rilevare i segnali di cui al comma 4; c) ricavare le informazioni necessarie a utilizzare la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui all’articolo 13, al comma 2. 4. Costituiscono segnali per la previsione di cui al comma 3: a) l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno 30 giorni pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni; b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; c) l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché’ rappresentino complessivamente almeno il 5% del totale delle esposizioni; d) l’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall’articolo 25-novies, comma 1 [Ndr segnalazioni dei creditori pubblici qualificati] |
Art. 3 Doveri del debitore. 1. L’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte. 2. L’imprenditore collettivo deve adottare un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative." |
8. Dalla composizione assistita alla composizione negoziata
Il recepimento della direttiva insolvency, come anticipato, sostituisce la composizione assistita con la composizione negoziata e il suo sistema di allerta interna e esterna, già disciplinate dal DL 118/2021 (ora inserite nel CCII).
Viene, inoltre, riscritta la disciplina delle “procedure” oggi definite come strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza che presuppongono l’intervento dell’autorità giudiziaria. Gli strumenti per la risoluzione della crisi, oltre a subire importanti modifiche, si arricchiscono di un nuovo istituto quale il piano di ristrutturazione soggetto a omologa di cui all’art. 64-bis del CCII.
9. Il nuovo concordato preventivo in continuità
Tra gli strumenti per la risoluzione della crisi, la procedura del concordato è stata riscritta conformemente agli obiettivi della direttiva insolvency. Le regole entrate in vigore sull’ammissibilità al concordato in continuità di cui all’art. 47 del CCII, riscritte dal D.Lgs. 83/2022, non prevedono più la verifica della fattibilità economica. Nel testo normativo in vigore, il tribunale valuta la ritualità della proposta, decretando comunque inammissibile il piano manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori e alla conservazione dei valori aziendali. Il testo normativo, quindi, consente al tribunale di verificare la mera fattibilità giuridica del piano, ossia che la sua attuazione sia compatibile con norme inderogabili di legge, nonché che l’utilizzo del concordato in continuità sia conforme ai suoi propositi, compresa la valutazione del recupero della continuità aziendale.
Il nuovo testo dall’art. 84 c. 1 CCII richiede il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale, superando anche la formulazione della legge fallimentare che richiedeva di attestare che la prosecuzione dell’attività d'impresa fosse funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori (art. 186-bis c. 2 lett. b) l.f.).
Punto nodale, nella verifica dell’ammissibilità al piano, riguarda il valore da attribuire al recupero della continuità. Nel caso si seguisse un’interpretazione per cui la continuità è un mezzo per garantire la soddisfazione dei creditori in misura non inferiore alla liquidazione, verificare che il piano consenta di raggiungere tale obiettivo sarebbe sufficiente perché il tribunale ammetta il concordato. Diversamente, nel caso venga attribuito alla continuità un valore paritetico a quello della soddisfazione dei creditori, il tribunale potrebbe trovarsi a dover verificare, in fase di ammissione, la presenza di tale requisito con le maggiori difficoltà che ne conseguono.
Il richiamato art. 84 c. 1 CCII testualmente prevede un rapporto di fine a mezzo tra soddisfazione e continuità; ciò porterebbe a ritenere che un Piano in continuità astrattamente idoneo a realizzare le pretese dei creditori, consentirebbe al tribunale di decretare l’ammissibilità del concordato. Nel caso si volessero leggere in maniera sistematica le disposizioni, riconoscendo alla continuità un ruolo paritetico a quello della soddisfazione dei creditori, il Tribunale sarebbe nuovamente tenuto a valutare la fattibilità economica, attraverso cui ponderare la raggiungibilità dell’equilibrio economico finanziario e patrimoniale, prospettico, dell’impresa. Si farebbe, in altri termini, rientrare dalla finestra uno scrutinio che il legislatore ha fatto uscire dalla porta, riscrivendo l’art. 47 del CCII in recepimento della Direttiva insolvency, contraddicendo la diversa scelta legislativa. Tuttavia non sono fugati del tutto i rischi di una evoluzione interpretativa che finisca per ridurre i margini di accesso al concordato in continuità.
Il CCII, prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. 83/2022, prevedeva un meccanismo quantitativo per la verifica della prevalenza della continuità nel concordato, individuando come criterio il realizzo di ricavi mantenendo impiegati la metà della media dei lavoratori in forza nei due anni precedenti. Il risultato dell’applicazione di siffatta disposizione avrebbe potuto restringere, anche in maniera significativa, l’accesso al concordato e la conservazione dei valori aziendali, nei casi in cui la ristrutturazione necessitava di ridurre la forza lavoro. L’art. 84 co. 3 del CCII, quindi, è stato riformulato, prevedendo che nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità diretta o indiretta. La valutazione circa l’esistenza di una effettiva continuità dovrà, dunque, basarsi su una valutazione complessiva, in cui la prosecuzione dell’attività anche in presenza di rilevanti dismissioni, farebbe mantenere al concordato la sua natura in continuità (sfuggendo alla più complicata disciplina del concordato liquidatorio).
Nel concordato in continuità viene introdotto l’obbligo della suddivisione dei creditori in classi; il che dovrebbe facilitarne l’approvazione.
In primo luogo viene rivista la regola della absoulte priority rule (art. 84 c. 5 CCII): i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, al netto del presumibile ammontare delle spese di procedura inerenti al bene o diritto e della quota parte delle spese. Tale disposizione consente la distribuzione della parte eccedente il valore che si otterrebbe con la liquidazione dell’attivo (al netto di tutti i costi inclusi quelli generali di procedura) in maniera libera, purché la proposta ai creditori assicuri alle classi di rango superiore un trattamento più favorevole rispetto a quello delle classi inferiori, secondo il criterio della relative priority rule. I crediti di lavoro di cui all’art. 2751-bis n. 1 fanno eccezione alla richiamata regola, essendo prevista la soddisfazione sul valore di liquidazione e sul valore eccedente.
Si supera, altresì, il più rigido approccio dell’art. 160 co. 2 l.f., che la giurisprudenza consolidata interpreta nel senso di richiedere il soddisfacimento integrale dei privilegiati, prima di effettuare il pagamento di altri crediti.
Nel sistema di approvazione da parte dei creditori, la suddivisione in classi potrebbe favorire il raggiungimento delle maggioranze. La nuova formulazione prevede che la proposta è approvata se in ciascuna classe è raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto. In mancanza, la proposta si ritiene approvata se in ciascuna classe i 2/3 dei crediti dei creditori votanti hanno votato favorevolmente, purché abbiano votato i crediti titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe.
Totale crediti ammessi al voto |
Creditori votanti |
Voti favorevoli |
Approvazione maggioranza assoluta |
Approvazione maggioranza 2/3 |
|||
Classe 1 |
100 |
60 |
40 |
No |
Si |
||
Classe 2 |
100 |
80 |
60 |
Si |
Si |
||
Classe 3 |
100 |
80 |
60 |
Si |
Si |
||
Classe 4 |
100 |
80 |
60 |
Si |
Si |
||
Approvazione definitiva |
Si |
||||||
Infine in mancanza di approvazione il nuovo testo dell’art. 112 c. 2 CCII prevede che: se una o più classi sono dissenzienti, il tribunale omologa il concordato se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni: a) il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; b) il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore; c) nessun creditore riceve più dell'importo del proprio credito; d) la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero parzialmente più soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
10. Il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione
Sempre con la finalità di trovare soluzioni alla crisi attraverso la continuità aziendale, il recepimento della direttiva insolvency consente di introdurre il (controverso) piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO). Il PRO si caratterizza per consentire la distribuzione della liquidità generata dall’esecuzione del Piano anche in deroga alle regole sulla responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 del cod. civ., nonché sul concorso dei creditori e cause di prelazione, di cui all’art. 2741 del cod. civ..
La sua approvazione consente di superare la absolute priority rule nella distribuzione di liquidità ai creditori, nonché la relative priority rule, dando spazio di manovra a quegli imprenditori che riescono a trovare accordi con i creditori privilegiati, utilizzando anche parte del valore di liquidazione loro spettante per pagare altre categorie di creditori. In questa procedura vengono fatti salvi i diritti dei lavoratori, analogamente a quanto previsto nel concordato, i cui crediti tuttavia vanno pagati entro 30 giorni dall’omologa.
La fase di ammissione del PRO, secondo quanto previsto dall’art. 64-bis co. 4 del CCII, prevede che il tribunale, a seguito della presentazione del ricorso, pronuncia decreto con il quale valuta la mera ritualità della proposta, secondo quanto già previsto per l’ammissione al concordato fallimentare (art. 125 l.f.). La giurisprudenza formatasi in vigenza della legge fallimentare considerava la verifica della ritualità un mero controllo di legittimità circa l’esistenza di vizi del procedimento.
L’omologa del PRO, in base all’art. 64-bis c. 8 CCII, avviene con sentenza del tribunale in caso di approvazione da parte di tutte le classi, con le modalità illustrate per la fattispecie del concordato in continuità. L’ultimo periodo del richiamato articolo consente al creditore dissenziente di presentare opposizione all’omologa, eccependo il difetto di convenienza della proposta. Tuttavia il tribunale può comunque omologare il piano di ristrutturazione quando dalla proposta il credito risulta soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale.
La norma sembrerebbe, quindi, limitare il ruolo del tribunale alla verifica dell’approvazione, nonché nella definizione delle opposizioni da parte dei creditori dissenzienti. Tuttavia anche altre disposizioni vanno tenute in considerazione per individuare l’esatto perimetro delle verifiche demandate al tribunale. L’art. 64-bis c. 3 CCII richiede che un professionista indipendente attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. La disposizione, letta alla luce dell’art. 10 della direttiva insolvency potrebbe condurre a ritenere necessaria una verifica che il piano non sia privo della prospettiva ragionevole di garantire la sostenibilità economica dell’impresa, secondo la previsione dell’art. 10 c. 3 della direttiva insolvency.
La giurisprudenza dovrà sciogliere il nodo del livello e tipo di scrutinio che spetta al tribunale, salvaguardando la (finalmente) riscoperta autonomia privata delle parti, anche di fronte alla crisi.
[1] Si noti che in precedenza il CCII era già stato oggetto di modifica con il Decreto correttivo (D.Lgs. 147/2020).
[2] Stefania Pacchi, Quaderni di Ristrutturazioni Aziendali, Fascicolo 1/2022.
[3] MAFFEI ALBERTI, Le soluzioni negoziate della crisi d’impresa, Torino, 2021, p. XV (corsivi aggiunti)
[4] Il DL 118/2021 inizialmente dotato di un solo sistema di allerta interna, successivamente viene arricchito con un sistema di allerta esterna dall’art. 30-sexies DL 152/2021, in cui si individuano alcuni segnali di crisi che i creditori pubblici qualificati sono tenuti a comunicare agli imprenditori, invitandoli ad accedere alla Composizione negoziata. Il sistema di allerta interna e esterna viene poi trasfuso nel CCII (artt. 25-octies e 25-novies CCII). Gli indicatori e indici nel nuovo CCII sono sostituiti dal coordinato disposto dell’art. 3 e dell’art. 13 c. 2 del CCII da cui si ricavano indicazioni sul flusso informativo, in termini di grandezze economico finanziarie, che gli adeguati assetti devono generare. Ciò attribuisce un valore pratico al concetto di adeguato assetto organizzativo che rischiava, altrimenti, di rimanere un semplice buon proposito.
[5] Stefania Pacchi, Quaderni di Ristrutturazioni Aziendali, Fascicolo 1/2022.