Maltrattamenti: reato escluso in presenza di coabitazione occasionale
La sentenza 11 ottobre 2022, n. 38336 (testo in calce) della Corte di Cassazione muove dal ricorso avverso la conferma, emessa nel giudizio d'appello, della condanna per maltrattamenti e furto aggravato, pronunciata in sede di giudizio abbreviato a carico dell'imputato per aver maltrattato la compagna convivente con continue violenze fisiche e verbali; nonché per essersi impossessato, a fine di profitto, di alcuni gioielli di proprietà della donna.
Il fatto
In particolare, la difesa censurava la mancata dimostrazione del requisito della relazione familiare o di convivenza, ovvero di un rapporto caratterizzato da uno stabile progetto di vita comune e da una coabitazione non occasionale; stigmatizzava la mancata prova del requisito della abitualità di una condotta che era stata, invece, caratterizzata da fatti isolati ed episodici, contestava, infine, la mancata riqualificazione del furto dei beni in delitto tentato, stante l'assenza della volontà di trarne profitto palesata dalla restituzione degli stessi.
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La sentenza
La Corte ha ritenuto in parte fondato il ricorso dando seguito all'orientamento giurisprudenziale che, ai fini della configurazione del reato di maltrattamenti reputa indispensabile valorizzare l'espresso riferimento, contenuto nell'art. 572 c.p., alla figura del convivente, parificata a quella del familiare, come persona offesa di tale delitto, respingendo soluzioni che rispondono ad un criterio di interpretazione analogica in malam partem, non consentita in materia penale; ha così optato per una linea ermeneutica più aderente al principio di tassatività e ai dicta della Corte Costituzionale.
Quest’ultima, come noto, con riferimento alla disposizione incriminatrice in questione ha statuito che “il divieto di analogia in malam partem impone di chiarire se il rapporto affettivo dipanatosi nell'arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell'abitazione dell'altro possa già considerarsi, alla stregua dell'ordinario significato di questa espressione, come una ipotesi di convivenza...(e se)... davvero possa sostenersi che la sussistenza di una (tale) relazione consenta di qualificare quest'ultima come persona appartenente alla medesima famiglia" dell'imputato (...)” (Corte Cost., sent. n. 98 del 2021).
Orbene, alla luce di una esegesi rispettosa del principio costituzionale di legalità deve ritenersi che con la formula “maltratta una persona della famiglia, o comunque convivente”, il legislatore abbia inteso far riferimento a condotte che offendono il componente di una famiglia ovvero il soggetto che ad esso sia parificabile in ragione di una accertata relazione di “convivenza”, intendendosi per tale una relazione affettiva qualificata dalla continuità e connotata da elementi oggettivi di stabilità non anche la mera presenza non continuativa di una persona nell'abitazione di un'altra.
Seguendo siffatte coordinate ermeneutiche la Sezione assegnataria del ricorso ha ritenuto la motivazione resa dai giudici di merito incompleta ed incongrua, essendosi la Corte di appello limitata ad affermare la sussistenza del requisito del reato in argomento, pur in assenza di prova di “un progetto di vita comune (ovvero) di una organizzazione stabile della quotidianità” tra l'imputato e la persona offesa.
Anche rispetto al secondo motivo del ricorso la Corte ha stigmatizzato l'operato dei giudici di merito non avendo questi adeguatamente chiarito se, anche in relazione alla limitata estensione dell'arco temporale entro il quale si erano manifestate quelle azioni violente (circa tre settimane), le condotte illecite del ricorrente fossero state poste in essere in maniera continuativa o con cadenza ravvicinata, tanto da integrare gli estremi di quella abitualità che caratterizza il reato in esame.
Ha invece respinto il terzo motivo di ricorso, relativo all’imputazione di furto aggravato, osservando come ai fini della consumazione del delitto di furto sia sufficiente che la cosa sottratta sia passata, anche per breve tempo, sotto l'autonoma disponibilità dell'agente.
Ha pertanto annullato la sentenza limitatamente al reato di maltrattamenti con rinvio, per nuovo giudizio su tale capo e per l'eventuale rideterminazione della pena, ad altra sezione della Corte di appello di Bologna mentre ha dichiarato inammissibile nel resto il ricorso e definitivo l'accertamento di responsabilità sul reato di furto.
