L’avvocato che riceve l’incarico conciliativo da più parti deve agire con imparzialità
Un legale raggiunge un accordo transattivo su mandato di due parti (locatore e conduttore), tuttavia, nell’espletamento dell’incarico fa l’interesse di una sola di esse (che aveva già assistito).
Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 70 del 23 maggio 2022 (testo in calce), ricorda che l’avvocato che riceva da due o più parti un incarico avente carattere conciliativo deve agire con imparzialità e indipendenza, facendo l’interesse di tutte le parti e non di una soltanto, «e ciò a prescindere dal fatto che alle altre sia, oppure no, derivato un pregiudizio economico concreto, o uno svantaggio negoziale, dalla sua opera». Il divieto di prestare attività in conflitto di interessi (art. 24 CDF) è disposto non solo per tutelare le parti ma anche a garanzia «della dignità dell’esercizio professionale e dell’affidamento della collettività sulla capacità degli avvocati di fare fronte ai doveri che l’alta funzione esercitata impone».
Sommario |
La vicenda
Nel corso di una controversia tra locatore e conduttore, un avvocato conduceva delle trattative per addivenire ad una composizione della vicenda. Il conduttore presentava un esposto al Consiglio dell’Ordine perché lamentava che il legale, il quale aveva svolto le funzioni di arbitro/conciliatore nell’ambito delle trattative, avesse fatto esclusivamente gli interessi del locatore, che aveva rappresentato in passato nel corso di un procedimento per sfratto. Secondo l’esponente, l’avvocato aveva redatto un atto di citazione nell’interesse dell’esponente stesso (conduttore) – mai notificato – e una comparsa di risposta con domanda riconvenzionale nell’interesse del proprietario (locatore), allo scopo di documentare la sussistenza di un potenziale contenzioso. L’accordo raggiunto prevedeva la corresponsione di circa 23 mila euro a titolo di indennità di avviamento a favore del conduttore. Tale somma era stata effettivamente corrisposta ma successivamente il legale aveva preteso la restituzione di un pari importo in contanti, presso il proprio studio, in assenza del locatore. A riprova di ciò, l’esponente produceva la trascrizione giurata della registrazione della conversazione avvenuta nell’ufficio del legale.
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In buona sostanza, l’incolpato aveva assunto le vesti di mediatore o conciliatore per incarico di entrambe le parti, pur avendo redatto egli stesso sia l’atto di citazione del conduttore (allegato alla transazione e privo di procura) sia la comparsa di risposta del locatore (anch’essa allegata alla scrittura transattiva e redatta su incarico del proprietario del bene, già suo cliente).
Il Consiglio distrettuale ritiene che la restituzione della somma di circa 20 mila euro testimonierebbe la mala fede dell’avvocato che si è manifestata nel fatto che - quale mediatore o conciliatore di entrambe le parti – abbia favorito il suo vecchio cliente, imponendo all’esponente la restituzione della somma menzionata. Per il CDD l’avvocato non avrebbe dovuto accettare l’incarico di negoziatore, mediatore o conciliatore della vertenza e, pertanto, gli irroga la sanzione della sospensione dall’attività professionale per 2 mesi.
Le norme deontologiche violate e i due capi di incolpazione
Il Consiglio territoriale contesta all’avvocato di:
- non aver osservato i doveri di probità, dignità e decoro (art. 9 CDF), nella salvaguardia della propria reputazione e dell’immagine della professione forense nello svolgimento della vicenda relativa alla sottoscrizione della scrittura transattiva tra locatore e conduttore;
- non essersi astenuto dall’attività professionale di mediatore in palese conflitto di interessi (artt. 24 e 62 CDF), avendo egli difeso gli interessi del locatore in altro giudizio ed avendo assunto successivamente il patrocinio del medesimo nell’insorgenda vicenda sempre relativa al medesimo oggetto e tra le stesse parti di cui alla comparsa di costituzione allegata alla scrittura transattiva.
Incarico conciliativo: occorrono imparzialità e diligenza
Il CNF sottolinea come risulti incomprensibile la redazione di una comparsa di risposta – allegata alla transazione – per un giudizio che non è mai stato avviato (infatti, la citazione non risulta notificata). La comparsa pare essere stata redatta nel tentativo di dimostrare la sussistenza di una lite che, in realtà, è inesistente, in tal modo, giustificando il ruolo di conciliatore assunto a favore di entrambi i contendenti.
La violazione delle regole deontologiche emerge in forza della dichiarazione resa dallo stesso incolpato, secondo cui avrebbe concretamente assistito solo il proprio cliente (il locatore). Tale condotta risulta essere «radicalmente incoerente con i criteri di diligenza e imparzialità che dovrebbero informare l’attività dell’avvocato, quando questi assume un incarico a carattere sostanzialmente conciliativo nell’interesse di tutte le parti coinvolte (e ciò a prescindere dal fatto che alle altre parti sia, oppure no, derivato un pregiudizio economico concreto, o uno svantaggio negoziale, dalla sua opera)».
L’avvocato non deve svolgere l’incarico in conflitto di interessi
Il legale viene ritenuto responsabile per aver agito in conflitto di interessi, egli, infatti, ha redatto la scrittura transattiva pur difettando dei requisiti di imparzialità e indipendenza. Del resto, l’incolpato, per sua stessa ammissione, ha fatto gli interessi di una sola delle parti. Il CNF ricorda che ai fini della violazione rileva anche il conflitto meramente potenziale «per il significato anche sociale che essa incorpora e trasmette alla collettività». La ratio del divieto di prestare attività in conflitto di interessi (art. 24 CDF) consiste nell’esigenza di garantire sia il bene giuridico dell’indipendenza effettiva e dell’autonomia dell’avvocato sia la loro apparenza. Infatti, “l’apparire indipendenti è tanto importante quanto esserlo effettivamente”1. La disposizione intende tutelare sia le parti sia la dignità dell’esercizio professionale e l’affidamento della collettività sulla capacità degli avvocati di adempiere ai doveri scaturenti dall’alta funzione svolta.
Infine, per completezza espositiva, si ricorda quanto recentemente chiarito dal CNF «il divieto di prestare attività professionale in conflitto di interessi costituisce un illecito di pericolo ragion per cui la condotta dell’Avvocato in sede di assunzione dell’incarico deve ispirarsi alla più ampia prudenza a tutela non soltanto delle parti ma anche della dignità dell’esercizio professionale e dell’affidamento della collettività sulla capacità degli avvocati di fare fronte ai doveri che l’alta funzione esercitata impone» (CNF 49/2022).
Conclusioni: confermata la sospensione di 2 mesi
Il CNF conferma la decisione del Consiglio territoriale, riconosce la responsabilità dell’avvocato per entrambi i capi di incolpazione, ossia per aver violato i doveri di lealtà, probità e decoro e per aver agito in conflitto di interessi in violazione degli artt. 24 e 62 del Codice deontologico forense. La sanzione della sospensione per due mesi dall’esercizio della professione viene ritenuta adeguata alla gravità dell’illecito commesso.
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NOTE
[1] Citazione tratta dalla massima presente su “Codice deontologico, sito web del Consiglio Nazionale Forense” https://www.codicedeontologico-cnf.it/?p=78689