Procedura civile

Avvocato: l’imposta di registro erroneamente versata e non dovuta non si recupera

Le sentenze relative a cause di valore non eccedente i 1.033 euro non sono soggette a spese di registrazione. L’avvocato che ha pagato per errore non può pretendere la restituzione

Non ha diritto al rimborso dai coobbligati l’avvocato distrattario che paga erroneamente le spese di registrazione della sentenza pronunciata in un giudizio di valore inferiore a 1.033,00 euro.

Lo ha affermato la Sesta Sezione Civile della Corte di Cassazione, precisando che non può parlarsi di indebito soggettivo, e quindi neppure di diritto di regresso, difettando il presupposto d’imposta, ossia il deposito di una sentenza soggetta a registrazione (ordinanza n. 19228/2022 - testo in calce).

Sommario

Il caso

Un avvocato patrocinava diversi clienti in altrettanti procedimenti nei confronti di due società.

I giudizi si concludevano tutti in senso sfavorevole ai propri assistiti, sia in primo grado che in appello.

Dato che in ciascun procedimento aveva chiesto la distrazione delle spese di lite in suo favore, il legale riteneva erroneamente di essere obbligato a pagare anche il costo di registrazione delle sentenze e quindi vi provvedeva di tasca propria.

Accortosi dell’errore, agiva in via monitoria nei confronti di una della due società originariamente convenute, chiedendole la rifusione di 1/3 di quanto pagato: ciò sul presupposto che le spese di registrazione, gravando in solido su tutte le parti del giudizio, dovessero ripartirsi in egual misura tra le tre parti di ogni procedimento, nel lato interno dell’obbligazione.

La società proponeva però opposizione ai vari decreti ingiuntivi invocando il difetto di legittimazione dell’attore, l’improcedibilità della domanda e l’inesistenza del credito.

Le pronunce di merito

Le varie opposizioni davano luogo a quattro diversi giudizi, poi riuniti e decisi con sentenza.

Accogliendo l’opposizione, il Giudice di Pace di Serra San Bruno ribadiva che le sentenze pronunciate all’esito di giudizi di valore non eccedente i 1.033,00 euro non sono soggette a spese di registrazione, per cui l’avvocato che le aveva erroneamente versate non poteva pretenderne la restituzione.

Dello stesso tenore la sentenza d’appello, che dichiarava il gravame inammissibile precisando che, malgrado l’imposta di registro sulle sentenze sia dovuta solidalmente dalle parti del giudizio, l’avvocato, anche se distrattario delle spese, non è parte del procedimento, salvo che si controverta sulla distrazione stessa.

Ne consegue che in tal caso il legale era “carente di legittimazione ad agire” rispetto alla domanda di restituzione dell’imposta di registro, che quindi doveva dichiararsi inammissibile.

Il ricorso per cassazione

L’avvocato ricorreva per cassazione affermando che, avendo pagato l’imposta di registro senza esservi tenuto, si era fatto carico di un debito altrui.

Invocava quindi la fattispecie di indebito soggettivo, di cui all’art. 2036 c.c.., con conseguente diritto a subentrare nella posizione del creditore (cioè dei suoi assistiti) nei confronti della società e obbligo per quest’ultima di rifondergli la propria parte di imposta.

La Cassazione non si è mostrata però di questo avviso.

No al regresso se manca il presupposto d’imposta

La controversia era infatti scaturita dal pagamento, eseguito dal ricorrente, di quanto richiesto dall’Erario a titolo di imposta di registro.

Il presupposto d’imposta era stato identificato nel deposito delle sentenze pronunciate dal Tribunale in grado di appello, all’esito dei giudizi in cui il legale aveva patrocinato una delle parti e chiesto la distrazione delle spese di lite in proprio favore.

In realtà, osserva la Corte, il presupposto d’imposta era del tutto insussistente: come ribadito dalla costante giurisprudenza di legittimità sul punto, le sentenze di valore inferiore a 1.033,00 euro non sono infatti soggette ad imposta di registro, e ciò a prescindere che siano state pronunciate in primo grado o in appello (in tal senso si vedano, tra molte, Cass. Sez. 6 - 5, ord. n. 5858 del 3.3.2021; Cass. Sez. 6 - 5, ord. n. 5857 del 3.3.2021; Cass., Sez. 6 - 5, sent. n. 16978 del 24/07/2014).

Avendo pagato un indebito, l’avvocato non poteva quindi pretenderne la restituzione pro quota da parte del preteso coobbligato solidale, perché mancando il presupposto d’imposta mancava anche la solidarietà e, con essa, il diritto di regresso ex art. 1299 c.c.

Il Tribunale ha quindi giudicato correttamente, dichiarando inammissibile la domanda di ingiustificato arricchimento: non solo perché, non essendo dovuta alcun tipo di imposta, la società non avrebbe comunque potuto arricchirsi a causa del pagamento indebito eseguito dal legale, ma anche perché nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’opposto, in quanto attore sostanziale, non può avanzare domande diverse da quelle azionate in sede monitoria salvo che, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, versi a sua volta in posizione processuale di convenuto.

Conclusioni

Per tali ragioni la Corte ha quindi respinto il ricorso, compensando però le spese tra le parti, anche in ragione del fatto che la giurisprudenza di legittimità circa l’esenzione dall’imposta di registro delle sentenze d’appello pronunciate dal Tribunale e di valore inferiore a 1.033,00 euro si è consolidata dopo l’introduzione del primo grado del giudizio.

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