Lavoro e previdenza sociale

Rapporto di agenzia e lavoro dirigenziale: un confine sottile

La rilevanza dell’effettiva soggezione (o meno) del lavoratore alle direttive, agli ordini ed ai controlli del datore di lavoro

dipendente telefonaCon l’ordinanza 22 aprile 2022, n. 12919 (testo in calce) la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul rapporto di agenzia confermando l’adesione al proprio orientamento precedente.

Ribadisce infatti che al di là della qualificazione formale del rapporto di lavoro, ciò che rileva (e che il giudice è chiamato ad accertare) è l’assoggettamento o meno del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro.

In particolare, chiarisce il sottile confine intercorrente tra agenzia e lavoro dirigenziale, precisando che affinché possa configurarsi quest’ultimo, il requisito che il giudice è chiamato a valutare è l’esistenza di una situazione di coordinamento funzionale con gli obiettivi dell’organizzazione aziendale.

Idonea cioè ad integrare i tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, seppur nell’ambito di un contesto di c.d. subordinazione attenuata aziendale.

Il caso

La pronuncia trae origine dal ricorso proposto avverso una sentenza della Corte d’appello di Trieste che confermava la pronuncia non definitiva di primo grado e accoglieva la domanda di una donna, accertando l’esistenza di un suo rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di due società.

Alla stregua di quanto emerso in atti, la Corte riteneva infatti comprovata la natura dipendente della collaborazione instaurata dalla donna, che risultava pienamente inserita nell’organico aziendale non come mero agente - come formalmente inquadrata a livello contrattuale - ma come direttore vendite.

Il ricorso per Cassazione: i motivi

Le società ricorrevano quindi per cassazione, eccependo principalmente la violazione dei criteri generali posti alla base della distinzione fra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di agenzia.

Secondo le convenute, la sentenza impugnata si sarebbe infatti soffermata esclusivamente sull’inserimento dell’attrice nell’organizzazione aziendale, senza però verificarne l’assoggettamento al potere direttivo delle società, unico elemento destinato a qualificare il rapporto in termini di subordinazione.

Lavoratore autonomo o subordinato: rileva l’assoggettamento alla direzione del datore di lavoro

La Cassazione non è però di questo avviso.

Richiama infatti il costante orientamento di legittimità secondo cui, di fronte ad una prestazione con un elevato contenuto intellettuale – come nel caso dell’attività svolta dall’appellata – per poter qualificare il rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è necessario verificare se il lavoratore può ritenersi assoggettato, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini e ai controlli del datore di lavoro, nonché al coordinamento dell’attività lavorativa in funzione dell’assetto organizzativo aziendale (cfr. Cass. n. 18414/2013, Cass. n. 7517/2012, Cass. n. 3594/2011).

In via sussidiaria si può anche ricorrere ad elementi sintomatici della situazione di subordinazione, quali ad esempio l’inserimento nell’organizzazione aziendale, il vincolo di orario, l’inerenza al ciclo produttivo, ma anche l’intensità della prestazione o la retribuzione fissa a tempo, senza rischio di risultato.

Il lavoro dirigenziale

La Corte si concentra poi sul lavoro dirigenziale, quello caratterizzato cioè da ampi margini di autonomia del lavoratore e in cui il potere direttivo del datore di lavoro si manifesta non in ordini e controlli continui e pervasivi, ma nell’emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico, coerenti con la natura ampiamente discrezionale dei poteri datoriali.

In tal caso - osserva la Corte - affinché possa configurarsi il lavoro dirigenziale, il requisito caratterizzante la prestazione, che il giudice di merito deve valutare, è l’esistenza di una situazione di coordinamento funzionale con gli obiettivi dell’organizzazione aziendale.

Una situazione cioè idonea ad integrare i tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, seppur nell’ambito di un contesto di c.d. subordinazione attenuata aziendale (si vedano Cass. n. 3640/2020, Cass. n. 9463/2016, Cass. n. 7517/2012).

Gli “indici sussidiari” di valutazione

Muovendo da tali considerazioni la Corte conclude che la decisione d’appello è coerente con tale impostazione: non solo perché, rispetto alla qualificazione operata dalle parti, ha reputato prevalenti le concrete modalità di svolgimento della prestazione, ma anche perché ha valorizzato i c.d. indici sussidiari in relazione alle caratteristiche dell’attività dedotta, che per i suoi elevati contenuti intellettuali non si prestava ad essere oggetto di penetranti poteri conformativi della parte datoriale.

In un simile contesto assumono infatti rilievo una serie di elementi: la valorizzazione del pieno inserimento della donna nella compagine organizzativa sociale, l’averle affidato l’ulteriore compito di c.d. “area manager” (implicante un rapporto di sovraordinazione soprattutto con i dipendenti del settore commerciale), ma anche il fatto che, sia prima che dopo, il ruolo da lei ricoperto venisse occupato da lavoratori dipendenti.

Tutti elementi idonei a giustificare la qualificazione del rapporto come di natura subordinata, alla luce del parametro normativo dell’articolo 2094 c.c.

Conclusioni

Rigettato, dunque, il motivo di ricorso in esame perché infondato, la Corte ha però accolto l’altro, relativo all’omessa valutazione dei requisiti per riconoscere la qualifica di quadro e del livello di inquadramento concretamente attribuito.

La pronuncia impugnata è stata quindi parzialmente cassata in relazione al motivo accolto, rinviando alla Corte d’Appello di Trieste per regolare anche le spese del giudizio di legittimità.

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