La rappresentatività popolare nella riduzione del numero dei parlamentari
La democrazia partecipata può assumere connotazioni differenti sulla scorta delle singole esperienze statali determinando equilibri istituzionali talora diversi che, tuttavia, suggeriscono di considerare la permanenza dell’obiettivo fondamentale rappresentato dalla sovranità popolare quale principio cardine degli attuali ordinamenti democratici. Non si discute del rapporto che lega i parlamentari ai cittadini, che esprime la base centrale della democrazia in Italia, ma assume rilievo alla luce dell’intervento legislativo coinciso con l’emanazione della legge n. 51 del 2019, la quale, reca il corpus di norme per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari.
La legge suesposta muove dal presupposto che la base numerico-dimensionale inerente la relazione tra elettori ed eletti, in virtù di quanto scaturito dalla legge elettorale, rappresenti un fattore capace di sganciarsi rispetto alla legge elettorale in concreto adottata. Così facendo si potrebbe garantire l’applicabilità del sistema elettorale a prescindere dal numero dei parlamentari, tuttavia sulla base della riduzione dei seggi il rischio di un’alterazione in materia di rappresentatività potrebbe esservi e, quindi, incidere negativamente nell’ambito delle fasi che concernono la formazione del rapporto tra gli eletti e gli elettori.
In tal senso, durante la fase elettorale la criticità risiede nell’esigenza di poter sintetizzare in un’unica circoscrizione porzioni territoriali assai diverse o, viceversa, frammentare territori coesi per ricomprenderli in circoscrizioni maggiormente estese. La distorsione potrebbe sfociare in un deficit di rappresentanza a danno di taluni territori, con maggiore vantaggio per aree più popolose a dispetto di quelle demograficamente meno intense con riflessi negativi sul piano della rappresentanza politica. Le istituzioni - segnatamente il Parlamento - rischierebbero di essere considerate ancora più distanti in una fase storica, nella quale, si registra una profonda crisi in termini di credibilità politica; si richiede, di conseguenza, la necessità di ridimensionare il numero dei collegi cosicché da dispiegare i suoi effetti al momento di applicazione delle nuove norme costituzionali recanti il taglio dei parlamentari.
Un ulteriore aspetto meritevole di considerazione che scaturisce dal minor numero di rappresentanti si sostanzia nella modifica dei regolamenti parlamentari che, imporrebbe, la revisione dei quorum attuali per ogni singola votazione, ancorché per la formazione e strutturazione delle Commissioni permanenti e dei Gruppi parlamentari. Attraverso la riduzione dei parlamentari, inoltre, si ridetermina l’assetto complessivo dei cosiddetti “Grandi elettori” per l’elezione del Capo dello Stato con possibile peso più elevato per i delegati regionali, senatori a vita e precedenti Presidenti della Repubblica.
Si osserva, dunque, come l’intervento volto a determinare la riduzione dei parlamentari non può da solo esprimere il momento di risolutivo per garantire tratti di maggiore efficienza, là dove non vi sia l’adozione di contrappesi preordinati a salvaguardare innanzitutto l’omogeneità della rappresentanza democratica nelle varie e delicate fasi in cui essa si articola, soprattutto durante i momenti precedenti e successivi alla campagna elettorale. Infatti, il minor numero dei parlamentari si inserisce in un contesto nel quale risulta latente una revisione sistematica del dettato costituzionale che crei una cornice complessiva adeguata a sopportare una scelta di tale tenore e, pertanto, sarà necessario continuare a discutere per l’avvenire dell’esigenza di modifiche che conformino la Costituzione formale a quella materiale.
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