Legittimo il recesso da preliminare se il venditore nasconde che il bene è pignorato
Se, in sede di contratto preliminare, il promittente venditore nasconde la presenza di un pignoramento sul bene, il compratore come può tutelarsi?
Nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 13 aprile 2022 n. 12032 (testo in calce), il promissario acquirente ha esercitato il diritto di recesso e ha chiesto la restituzione del doppio della caparra. La controparte ha lamentato che il recesso sia stato esercitato ante tempus, ossia prima dello spirare del termine previsto nel contratto preliminare e si duole del fatto che, se tale termine fosse stato rispettato, egli sarebbe riuscito a cancellare i gravami. Secondo i giudici di legittimità, la circostanza che il recesso sia stato esercitato prima della scadenza del termine convenuto per la stipula del contratto definitivo è irrilevante. Infatti, l’omessa informazione della pendenza di un procedimento esecutivo determina un “grave inadempimento avente carattere definitivo” e tale gravità non viene meno in ragione della possibilità di rimuovere la trascrizione pregiudizievole prima della scadenza fissata nel preliminare. Quindi, il promittente venditore deve restituire al promissario acquirente il doppio della caparra – nel caso di specie pari a circa 1 milione di euro – ai sensi dell’art. 1385 c. 2 c.c.
Sommario |
La vicenda
Due soggetti concludono un contratto preliminare per la compravendita di un bene immobile e il promissario acquirente versa l’importo di circa 500 mila euro a titolo di caparra confirmatoria. Successivamente, il compratore viene a conoscenza del fatto che l’immobile sia gravato da una procedura esecutiva, benché il promittente venditore, in sede di preliminare, avesse dichiarato il bene libero da oneri e gravami (fatta salva l’ipoteca volontaria relativa al mutuo). L’acquirente, allora, recede dal contratto ante tempus per inadempimento dell’alienante. In sede giudiziale, il recesso viene considerato legittimo e il promittente venditore viene condannato alla restituzione del doppio della caparra (circa 1 milione di euro). La decisione è confermata in sede di gravame, ove il giudice di merito giustifica la legittimità del recesso in ragione del fatto che l’alienante abbia taciuto che il bene era sottoposto da due anni ad una procedura esecutiva e tale condotta deve considerarsi come un grave inadempimento dell’obbligo di correttezza contrattuale. In ragione di ciò, il promissario acquirente ha subito un pregiudizio, in quanto si è trovato nell’impossibilità di nominare un terzo acquirente in sede di stipula del contratto definitivo e di accedere ad un mutuo bancario che, infatti, gli era stato rifiutato. Si giunge così in Cassazione.
Premessa: il recesso come risoluzione di diritto (art. 1385 c. 2 c.c.)
Il recesso ex art. 1385 c. 2 c.c. è una forma di risoluzione stragiudiziale del contratto per l'inadempimento della controparte (Cass. Ord. 20961/2017). La parte può esercitare il recesso purché l'inadempimento dell’altro contraente presenti gli stessi caratteri dell'inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale (imputabilità e non scarsa importanza).
Preme precisare che il diritto di recesso previsto in materia di caparra confirmatoria non è sussumibile nella previsione generale del recesso unilaterale (ex art. 1373 c.c.) a cui, invece, fa riferimento il distinto istituto della caparra penitenziale (art. 1386 c.c.).
Il diritto di recesso ex art. 1385 c.c. rappresenta uno strumento speciale di risoluzione di diritto del contratto simile alla diffida ad adempiere (Cass. 19801/2021). La risoluzione ipso iure del contratto – che avviene tramite il recesso – è collegata alla pattuizione di una caparra confirmatoria, intesa come determinazione convenzionale del danno risarcibile. Si tratta di un vero e proprio fenomeno risolutivo in quanto presenta:
- gli stessi presupposti della risoluzione (inadempimento colpevole e di non scarsa importanza),
- le medesime conseguenze (come la caducazione ex tunc degli effetti del contratto).
Ciò premesso, torniamo alla fattispecie oggetto di scrutinio.
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Il promittente venditore lamenta che il giudice di merito abbia considerato legittimo il recesso esercitato anteriormente al termine previsto per la stipula del contratto definitivo. Secondo le difese del ricorrente, egli sarebbe riuscito a liberare l’immobile dall’ipoteca volontaria (iscritta a favore della banca mutuataria) e dal pignoramento, se il compratore avesse atteso il termine convenuto. Infatti, l’acquirente ha esercitato il recesso ad aprile, mentre la data fissata per la conclusione del definitivo era a fine dicembre. La presenza di un termine per l’adempimento consente al promittente venditore di liberare il bene da iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli sino al suo spirare, pertanto, non è legittimo l’esercizio del recesso ante tempus o della risoluzione per inadempimento. Il ricorrente lamenta, altresì, che la decisione impugnata non abbia indagato sull’effettivo pregiudizio patito dal compratore, inoltre, sostiene che il danno andasse liquidato in relazione all’interesse negativo e che non dovesse considerarsi ammissibile la facoltà di recesso ex art. 1385 c.c.
La Suprema Corte considera infondata la doglianza.
La pronuncia impugnata ha ritenuto ininfluente la circostanza per cui il recesso sia stato esercitato anteriormente al termine previsto nel contratto preliminare per la stipula del definitivo. Infatti, secondo il percorso delibativo seguito dai giudici di merito, l’omessa informazione della pendenza di un procedimento esecutivo determina un “grave inadempimento avente carattere definitivo”. Il promissario acquirente è stato pregiudicato dall’impossibilità di nominare un terzo in sede di stipula del contratto definitivo e di accedere al mutuo bancario necessario per l'acquisto. In buona sostanza, la corte di merito “ha ritenuto quindi, implicitamente, irrilevante che il recesso fosse stato esercitato prima della scadenza del termine convenuto per la stipula del contratto definitivo, escludendo che la sua gravità venisse meno in ragione della possibilità dedotta dall'appellante di rimuovere la trascrizione pregiudizievole prima della sua scadenza”.
Immobile con gravami: i rimedi a disposizione del promissario acquirente
La valutazione della gravità dell’inadempimento rientra nell’apprezzamento di merito e, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. 12182/2020; Cass. 6401/2015). Al di là di tale considerazione, la Suprema Corte ricorda quali siano le soluzioni messe a disposizione del promissario acquirente al quale venga garantito che l’immobile sia libero da gravami mentre, in realtà, così non è. Il compratore gode di tre rimedi tra loro alternativi:
- la facoltà (non l’obbligo) di chiedere al giudice la fissazione di un termine per la liberazione del vincolo ad opera del venditore (ex art. 1482 c.c.),
- la facoltà di recesso ex art. 1385 c.c.,
- la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto ex art. 1453 c. 2 c.c.
Solo nella prima ipotesi (sub a) il venditore (o promittente venditore) può attivarsi per la cancellazione dell’ipoteca, nelle altre due, tale possibilità è preclusa (Cass. 15380/2000; Cass. 20961/2017; Cass. 3565/2002; Cass. 19097/2009; Cass. 23956/2013).
L’art. 1482 c.c. (ipotesi sub a) dispone che il compratore possa sospendere il pagamento del prezzo, se il bene venduto risulta gravato da garanzie reali o da vincoli derivanti da pignoramento o da sequestro, non dichiarati dal venditore e dal compratore stesso ignorati. La norma è prevista in materia di compravendita e si applica anche all’ipotesi del contratto preliminare. Il secondo comma prevede che il compratore possa far fissare dal giudice un termine, alla scadenza del quale, se la cosa non è liberata, il contratto è risolto con obbligo del venditore di risarcire il danno. Per la dottrina, si tratta di un’ipotesi di risoluzione di tipo automatico e stragiudiziale che opera in maniera equivalente alla diffida ad adempiere. Si badi, non si tratta di un rimedio esclusivo o speciale, ma alternativo, posto a tutela dell’interesse del compratore all’adempimento. L’acquirente resta libero di esperire l’azione di risoluzione se ricorre il presupposto della gravità dell’inadempimento (Cass. 9498/1994; Cass. 10506/1996; Cass. 15380/2000).
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Responsabilità contrattuale o precontrattuale?
Il ricorrente lamenta che la decisione impugnata abbia considerato la sua condotta omissiva come contraria al dovere di correttezza ai sensi dell’art. 1375 c.c. in base al quale il contratto deve essere eseguito in buona fede. Invero, secondo le difese del venditore, l’omissione aveva riguardato la fase della trattativa contrattuale e non già quella esecutiva. In sede di stipula del contratto preliminare, il promittente venditore aveva informato il promissario acquirente della presenza dell’ipoteca volontaria derivante da mutuo ipotecario ma aveva taciuto la trascrizione del pignoramento immobiliare, dichiarando il bene libero da “oneri, iscrizioni e trascrizioni pregiudizievoli” (eccezion fatta per la già citata ipoteca). Il ricorrente sostiene che si verterebbe in un’ipotesi di responsabilità precontrattuale, in quanto l’omessa informazione non era stata fornita nella fase delle trattative. Secondo la Corte, una volta concluso il contratto preliminare che contenga una specifica obbligazione, in caso di inadempimento, l’altro contraente deve esercitare «a tutela dei suoi diritti le azioni contrattuali, senza poter esperire, in via alternativa, l'azione per responsabilità precontrattuale, riconducibile alla supposta malafede della parte promissaria acquirente durante le trattative, atteso che la cristallizzazione delle reciproche prestazioni, operata mediante la stipula del preliminare, comporta la perdita di ogni autonomia e di ogni giuridica rilevanza di dette trattative, convergendo queste nella nuova struttura contrattuale che, pertanto, viene a costituire la sola fonte di responsabilità risarcitoria» (Cass. 7545/2016; Cass. 16937/2006).
Conclusioni: recesso legittimo anche se ante tempus
La Suprema Corte rigetta il ricorso promosso dal promittente venditore e conferma la legittimità del recesso esercitata dal promissario acquirente. La circostanza che il recesso sia stato esercitato prima dello spirare del termine stabilito nel preliminare viene considerata ininfluente a fronte del grave inadempimento dell’altro contraente. Infatti, l’aver taciuto che il bene era sottoposto da due anni ad una procedura esecutiva va considerato come un grave inadempimento «dal momento che aveva di fatto pregiudicato la possibilità della controparte sia di nominare un terzo in sede di stipula del definitivo, che di accedere al mutuo bancario necessario per l'acquisto, che le era stato effettivamente rifiutato». Pertanto, il promittente venditore deve restituire al promissario acquirente il doppio della caparra – pari a circa 1 milione di euro – ai sensi dell’art. 1385 c. 2 c.c.
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