Case Law: il diritto del precedente
Complice l’influsso della cinematografia, non è affatto infrequente, specie tra i “non addetti ai lavori”, interrogarsi sul valore del precedente giudiziario.
Chiedersi cioè se una determinata pronuncia, resa da una Corte, soprattutto se particolarmente autorevole come la Corte di Cassazione, sia o meno vincolante per altri giudici chiamati a decidere casi simili in futuro.
La tematica, ampia e complessa, è lungamente dibattuta da tempo ed è particolarmente cara a giudici e avvocati che ben conoscono l’importanza dell’esistenza (o meno) di un precedente giudiziario sul caso da trattare.
Senza pretese di esaustività, cercheremo di approcciare il tema in un’ottica specifica e circoscritta, tentando di evidenziare il valore del precedente giudiziario all’interno dell’ordinamento italiano.
Cosa si intende per precedente
È opportuno iniziare con una definizione, chiarendo cosa si intende per “precedente”.
Il precedente giudiziario è una pronuncia resa su un determinato caso e divenuta ormai immutabile: o perché sono scaduti i termini per l’impugnazione o perché i mezzi di gravame sono già stati esperiti.
Possiamo quindi identificare il precedente con l’insieme di pronunce rese nel tempo e dunque con l’orientamento giurisprudenziale formatosi rispetto ad una determinata fattispecie.
L’importanza del precedente muta radicalmente a seconda del tipo di ordinamento preso in esame e proprio questa diversa valenza costituisce il principale elemento di differenza tra i sistemi di common law (Inghilterra e Stati Uniti fra tutti) e quelli di civil law.
Common law e civil law: la giurisprudenza nel sistema delle fonti
Qualsiasi studente di legge sa (o dovrebbe sapere) che la giurisprudenza non rientra tra le fonti del diritto italiano: non la menziona infatti l’art. 1 delle preleggi - che cita soltanto la legge, i regolamenti e gli usi - né tantomeno la Carta Costituzionale.
Ciò non è peculiarità del diritto italiano ma vale generalmente per tutti gli ordinamenti di civil law, in cui il giudice muove innanzitutto dal dato normativo mentre il diritto giurisprudenziale ha valenza secondaria.
Nei sistemi di common law il precedente giurisprudenziale è invece sovrano: la giurisprudenza rientra infatti a pieno titolo nel sistema delle fonti del diritto e anzi ha il ruolo di fonte primaria.
La regola per definire una controversia si ricerca infatti prioritariamente nella decisione di un precedente caso simile, che ha efficacia vincolante.
Stare decisis e diritto del precedente
La natura vincolante del precedente negli ordinamenti di common law è espressa dal brocardo latino stare decisis et non quieta movere, principio sorto in risposta ad un’esigenza di certezza del diritto e che vincola appunto i giudici a conformarsi a pronunce già rese su fattispecie analoghe a quella trattata.
Alla medesima esigenza di certezza, la tradizione di civil law ha tentato di ovviare mediante un processo di codificazione del diritto di portata idealmente omnicomprensiva, che tuttavia ha rivelato più volte i propri limiti, tant’è che la giurisprudenza interviene di frequente ad integrare le lacune legislative.
Il valore del precedente nell’ordinamento italiano
In realtà la regola secondo cui casi analoghi dovrebbero essere decisi in modo simile non è prerogativa dei sistemi di common law ma è ben nota anche alla tradizione giuridica occidentale, proprio in risposta alla richiamata esigenza di certezza.
Ma quindi che valore ha il precedente giudiziario nell’ordinamento italiano?
In base al dato normativo la valenza del precedente nel nostro ordinamento è estremamente marginale, se non addirittura nulla: secondo la Costituzione, infatti, i giudici sono soggetti soltanto alla legge (art. 101 Cost.).
Ciò significa che ciascun giudice può decidere in autonomia, senza doversi necessariamente conformare alle pronunce già rese su un caso analogo, purchè la decisione sia logica e adeguatamente motivata.
Non è infrequente, ad esempio, che la stessa Corte di Cassazione torni a pronunciarsi su una fattispecie già esaminata, con pronunce anche contrastanti rispetto a quelle rese in passato e che spesso richiedono l’intervento “compositorio” delle Sezioni Unite.
Di qui la consueta alea, tipica di ogni giudizio, e l’altrettanto ben nota e dichiarata impossibilità per gli avvocati di prevedere con certezza l’esito della controversia, anche in presenza di orientamenti giurisprudenziali sul tema.
In un solo caso il giudice è tenuto a conformarsi al precedente, cioè quando la Corte di Cassazione accoglie il ricorso, decidendo la causa nel merito e cassando la sentenza con rinvio ad altro giudice.
Quest’ultimo, in tal caso, dovrà necessariamente uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte e comunque a quanto da essa statuito (art. 384, secondo comma c.p.c.), pena la possibile, nuova ricorribilità per cassazione della sentenza.
L’importanza del precedente: certezza del diritto e tutela dell’affidamento
Pur senza avere efficacia vincolante, il precedente ha un’indubbia valenza anche all’interno del nostro ordinamento: ciò soprattutto se l’iter logico-argomentativo dei giudici è particolarmente persuasivo o se la pronuncia proviene da organi autorevoli come le Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Lo stesso art. 360 bis c.p.c., nella sua formulazione attuale, prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione “quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte” e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento espresso.
Pur non rinnegando il cambiamento, inevitabile e quantomai necessario, ogni ordinamento giuridico cela infatti in sé un’innata esigenza di stabilità, che a sua volta affonda le proprie radici nel principio di certezza del diritto e nella tutela dell’affidamento.
Ciascun individuo ha infatti il diritto di conoscere in anticipo le conseguenze giuridiche delle proprie azioni, senza dover sottostare a continue inversioni di rotta della giurisprudenza che spesso pregiudicano il diritto di difesa, scoraggiando possibili iniziative giudiziarie a causa dell’esito incerto del giudizio o penalizzando chi ha fatto affidamento su un certo orientamento.
Precedente giudiziario e autonomia del giudice
Sembra dunque farsi strada un ritrovato interesse per il precedente giudiziario, in risposta alla richiamata esigenza di stabilità e senza tuttavia intaccare il principio di soggezione del giudice solo alla legge.
Lo conferma, seppur indirettamente, la previsione contenuta al terzo comma dell’articolo 374 c.p.c., secondo cui se una delle Sezioni semplici della Corte di Cassazione ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, rimette la decisione del ricorso a queste ultime con ordinanza motivata.
Una previsione che è stata criticata da parte della dottrina che vi ha scorto un vincolo al libero convincimento del giudice, in contrasto con il principio enunciato all’art. 101 Cost.
A parere di chi scrive la norma si presta in realtà ad una più ampia interpretazione: non pone infatti l’obbligo per i giudici di conformarsi al principio di diritto già sancito ma anzi legittima l’opinione difforme, consentendo alle Sezioni Unite di prenderne atto e da questa trarre spunto per un possibile mutamento giurisprudenziale.
Giurimetria e giustizia predittiva
Il rinnovato interesse per il precedente ha stimolato anche un nuovo modo di concepire la ricerca giurisprudenziale, in termini di vera e propria giurimetria.
Sono infatti sempre più diffusi strumenti di giustizia c.d. “predittiva”, che vanno al di là della tradizionale interrogazione dei motori di ricerca e impiegano algoritmi e formule, tipici dell’intelligenza artificiale, nel tentativo di agevolare e affinare la ricerca, fornendo risultati sempre più specifici e mirati, quali ad esempio l’elenco di pronunce simili al caso trattato o la percentuale di sentenze favorevoli, contrarie e parziali rese su una determinata fattispecie.
Funzionalità interessanti e indubbiamente utili, che agevolano il lavoro degli avvocati consentendogli di fornire al cliente una rappresentazione a tutto tondo dei possibili esiti del contenzioso, pur nella sua inevitabile e costante imprevedibilità.
