Green pass e datori: nessun obbligo di trasmissione ai prefetti
Una delle questioni più sottovalutate e insidiose del d.l. 127/2021 (“Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l'estensione dell'ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening”) è quella che concerne l'obbligo di trasmissione al Prefetto degli atti relativi alle violazioni amministrative da parte dei soggetti incaricati dai datori di lavoro dell'accertamento delle violazioni degli obblighi di possesso e/o di esibizione del certificato verde al momento dell'accesso nei luoghi di lavoro e, se del caso, anche successivamente a tale accesso.
Moltissime ed anche autorevoli voci si sono spese a favore della sussistenza di questo obbligo, limitandosi ad invocare chiarimenti e/o integrazioni al produttore delle norme (governo).
La scelta qui compiuta è quella di una obiettiva, serrata analisi giuridica al fine di comprendere se l'obbligo di cui si tratta sia o meno fondato; una disamina di ciò che prescrivono/dicono e anche di ciò che non prescrivono/dicono gli artt. 1 e 3 del d.l. 127/2021, con un occhio di riguardo alla necessità di lettura del decreto nella più ampia cornice dell'ordinamento giuridico.
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1. Chi deve trasmettere al Prefetto gli atti relativi alle violazioni?
I commi 9 e 10 rispettivamente dell'art. 1 (datori di lavoro pubblici) e dell'art. 3 (datori di lavoro privati) stabiliscono che le sanzioni di cui al comma precedente (8 e 9, rispettivamente) siano irrogate dal Prefetto. Il secondo periodo prevede che i soggetti incaricati dell'accertamento e della contestazione delle violazioni di cui al comma 8/9 trasmettano al Prefetto gli atti relativi alla violazione.
Chi sono dunque questi soggetti “incaricati dell'accertamento e della contestazione delle violazioni”?
In forza del rinvio dell'art 1, comma 8, e dell'art. 3, comma 9, all'art. 4, comma 9, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, il Prefetto assicura l'esecuzione delle misure previste attraverso forze di polizia, personale dei corpi di polizia municipale munito della qualifica di agente di pubblica sicurezza e, ove occorra, delle Forze armate (...!), sentiti i competenti comandi territoriali (previa attribuzione ad essi della qualifica di agenti di pubblica sicurezza), personale ispettivo dell'azienda sanitaria locale competente per territorio e dell'Ispettorato nazionale del lavoro limitatamente alle sue competenze in materia di salute e di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Quelle sopra indicate sono le categorie di soggetti che in base alla legge possono accertare e contestare le violazioni amministrative di cui al d.l. 127/2021, artt. 1 e 3.
2. Il richiamo alle disposizioni della legge 689/1981
L'art 1, comma 8, e l'art. 3, comma 9, del d.l. 127/2021 richiamano, tra gli altri, anche il comma 3 dell'art. 4 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, per il quale “si applicano, per quanto non stabilito dal presente articolo, le disposizioni delle sezioni I e II del capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689, in quanto compatibili”.
Tra le disposizioni della sezione II merita una particolare menzione l'art. 13 (atti di accertamento), proprio per dar conto del fatto che quando si tratta di accertare delle violazioni amministrative sono in gioco questioni di non secondaria importanza.
E l'intera sezione I della l. 689/1981 è dedicata a formalizzare alcuni principi e disposizioni fondamentali per il procedimento sanzionatorio amministrativo, tra cui quelle sul principio di legalità (art. 1), sulla capacità di intendere e di volere (art. 2), sull'elemento soggettivo (art. 3), sulle cause di esclusione della responsabilità (art. 4), sul concorso di persone (art. 5), sui criteri per l'applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie (art. 11).
Tutto questo lo si scrive per significare che dinanzi alla sola ipotesi della attribuzione ad un datore di lavoro e/o ad un suo collaboratore di un potere di accertamento e di contestazione di violazioni amministrative, dovrebbe anzitutto essere chiara la responsabilità che tale potere, se del caso, impone di assumere.
3. Accertamento della violazione amministrativa e pubblico ufficiale
È opportuno a questo punto rammentare che un verbale di accertamento di una violazione amministrativa, quale atto pubblico, ai sensi dell'art. 2700 c.c. “fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti”.
La qualifica di pubblico ufficiale è necessaria per munire l'accertamento di fede privilegiata, senza della quale esso non potrebbe avere efficacia di piena prova fino a querela di falso e non potrebbe essere o definirsi atto pubblico (art. 2699 c.c.).
È questa la ragione per cui un agente di polizia municipale può accertare e contestare la mia violazione di una norma del codice della strada nel momento in cui ha personalmente assistito al fatto; mentre mai e poi mai potrebbe farlo in virtù di una segnalazione dell'identico fatto pervenutagli da un passante, da un comune cittadino.

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Nei vari commi degli artt. 1 e 3 che precedono quelli direttamente implicati e sopra citati, non v'è traccia alcuna del (preteso) obbligo in trattazione.
Non ve n'è nei commi 4 e 5 degli artt. 1 e 3, che gravano i datori di lavoro del compito di verificare, a partire dalla odierna data, il rispetto delle prescrizioni di cui ai commi 1 e 2 (possesso ed esibizione del certificato verde da parte dei lavoratori) e di consentire l'accesso ai luoghi di lavoro soltanto a coloro che siano provvisti del certificato verde o del certificato di esenzione dall'obbligo vaccinale.
Non ve n'è neppure nel comma 7 dell'art. 1 e nel comma 8 dell'art. 3, per i quali l'accesso del personale o di lavoratori ai luoghi di lavoro in violazione degli obblighi di possesso ed esibizione dei certificati verdi è punito con la sanzione di cui (rispettivamente) all'art. 1, comma 8, e all'art. 3, comma 9, restando ferme le conseguenze disciplinari in base agli ordinamenti/settori di appartenenza.
E quelle sanzioni previste dai commi 8 e 9 colpiscono le seguenti condotte (attive od omissive) e cioè: la mancata adozione da parte dei datori di lavoro delle misure organizzative nel termine previsto e/o l'omessa esecuzione delle verifiche nonché l'accesso da parte dei lavoratori nei luoghi di lavoro senza essere in possesso del certificato verde.
Quanto precede, assieme a quanto argomentato nei punti precedenti, consente di affermare che:
a) gli incaricati del datore di lavoro ove non lo stesso datore, in base alle disposizioni del d.l. 127/2021, non sono pubblici ufficiali perché tali non sono qualificati né espressamente e neppure implicitamente;
b) ciò che essi accerteranno in attuazione del decreto non sarà munito di fede privilegiata, non avrà efficacia di piena prova fino a querela di falso e non potrà costituire atto pubblico; semmai potrà essere utilizzato per aprire nei confronti dei lavoratori inottemperanti procedure di contestazione ai sensi del codice disciplinare vigente nell'organizzazione.
5. Le conseguenze dell'insussistenza dell'obbligo de quo in capo a datori e/o loro incaricati
Si ha dunque che:
- i soggetti incaricati di accertare e contestare le violazioni amministrative e, infine, di trasmettere le carte ai prefetti – vedasi secondo periodo degli artt. 1, comma 9, e 3, comma 10 - sono soltanto quelli individuati dall'art. 4, comma 9, del d.l. 19/2020;
- alle eventuali 'segnalazioni' ai prefetti comunque trasmesse da datori o loro incaricati non potrà conseguire alcun esito sanzionatorio.
È il caso di aggiungere, alla luce del dpcm 12 ottobre 2021 e delle dichiarazioni del governo nelle apposite Faq, che nessun atto sottordinato alla legge vince o potrà vincere le disposizioni stesse del d.l. 127/2021 in quanto aventi forza di legge.
È in questi limiti, per la sua conformità alla citata cornice legislativa, che si richiama altresì l'art. 13, comma 6, del dpcm 17 giugno 2021, a mente del quale “il controllo relativo alla corretta esecuzione delle verifiche di cui al presente articolo è svolto dai soggetti di cui all'art. 4,comma 9, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35”.
6. Un possibile data breach
Se è corretto – come si ritiene – quanto qui concluso, l'inoltro da parte di datori di lavoro e/o loro incaricati ai prefetti degli atti di accertamento delle violazioni, in quanto implicante la comunicazione di dati personali in assenza di una valida base giuridica, potrebbe doversi qualificare come una violazione di dati ai sensi dell'art. 4, n. 12, del Regolamento UE 2016/679 (“la violazione di sicurezza che comporta accidentalmente o in modo illecito la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l'accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati”), con quanto ne consegue