Obbligo vaccinale per il personale scolastico: le questioni aperte

Pochi giorni fa un portavoce della Commissione europea ha affermato che “le campagne vaccinali sono competenze nazionali, quindi se siano obbligatorie o meno è una decisione che spetta agli Stati membri”. Ed effettivamente questa è stata e sarà l’impostazione del processo di vaccinazione, ivi compresa la previsione di restrizioni od obblighi.
Con l'art. 4, D.L. n. 44/2021 convertito dalla L. n. 76/2021, l’Italia è stato il primo Paese europeo ad introdurre l’obbligo vaccinale per le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario.
Recentemente, il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, con un discorso alla Nazione, ha annunciato che anche i transalpini si accoderanno alla scelta italiana. Di opinione contraria è invece la Cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha ribadito che la posizione della Germania è di non imporre alcun obbligo di vaccinazione.
Negli ultimi giorni, però, l’Italia sta pensando di andare oltre. È stato infatti depositato nei giorni scorsi al Senato un disegno di legge su iniziativa della Senatrice di Forza Italia Licia Ronzulli con lo scopo di introdurre l'obbligo vaccinale anche per il personale scolastico, sulla scia del provvedimento relativo al personale sanitario. Il provvedimento sarebbe destinato al personale docente e non docente degli asili e delle scuole di ogni ordine e grado, sia pubbliche che private.
Come era prevedibile, la sola proposta ha sollevato un forte dibattito politico tra i sostenitori dell’iniziativa e gli oppositori più accesi della stessa. Ma soprattutto, tornano di attualità le questioni prettamente giuridiche legate a tutela della salute, libertà costituzionali e privacy.
Sommario |
1. I quesiti di costituzionalità: gli interventi della Consulta
Il dibattito sul bilanciamento dell’obbligo vaccinale con i principi costituzionali - ed in particolare la libertà di scelta in relazione al trattamento sanitario - non è una novità assoluta, anzi.
La questione è sorta per la prima volta in relazione alla vaccinazione obbligatoria per i bambini, quando molti genitori invocavano il diritto di scegliere discrezionalmente se vaccinare o meno i propri figli. Questi infatti ritenevano che non dovesse sussistere alcun obbligo, bensì un diritto, e che la loro libertà di scelta non potesse in alcun modo essere compressa. In sostanza - per ricollegarsi alle argomentazioni odierne - stabilire un obbligo vaccinale per legge sarebbe stato addirittura incostituzionale.
La loro argomentazione poggiava essenzialmente, come oggi, sull’art. 32 Cost., il quale stabilisce quanto segue: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Ora, già da una prima lettura, l’attenzione cade naturalmente sul principio secondo il quale una disposizione di legge potrebbe costituire un limite legittimo al divieto di trattamento sanitario obbligatorio.
In effetti, questa è stata anche la posizione che la Corte Costituzionale ha assunto con la prima decisione in materia, la sentenza n. 307 del 1990 con la quale si è pronunciata sulla legittimità costituzionale della L. 4 febbraio 1966, n. 51 sull’obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica.
In questa storica sentenza, la Consulta ha chiaramente affermato che “la vaccinazione antipoliomielitica per bambini entro il primo anno di vita, come regolata dalla norma denunciata, che ne fa obbligo ai genitori, ai tutori o agli affidatari, comminando agli obbligati l’ammenda per il caso di inosservanza, costituisce uno di quei trattamenti sanitari obbligatori cui fa riferimento l’art. 32 della Costituzione. Tale precetto nel primo comma definisce la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività; nel secondo comma, sottopone i detti trattamenti a riserva di legge e fa salvi, anche rispetto alla legge, i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. In altri termini, la Corte enuncia una serie di principi che governano il bilanciamento dei diritti in gioco: diritto alla salute, libertà personale e autodeterminazione del soggetto.
In primo luogo, la Consulta stabilisce che una legge - e soltanto una legge come previsto dal disposto costituzionale - che impone un trattamento sanitario obbligatorio quale appunto una vaccinazione, non è incompatibile con l’art. 32 Cost. se tale trattamento è finalizzato a migliorare o preservare la salute del singolo e dell’intera collettività. In secondo luogo, un trattamento sanitario può essere imposto solo se questo non incide in modo negativo sulla salute di colui che lo riceve, fatta ovviamente eccezione per le conseguenze immediate e temporanee (si pensi ad esempio all’arrossamento e al dolore della sede dell’iniezione, o alla febbre). Soprattutto, però, la Corte opera una valutazione tenendo conto della dimensione collettiva della salute, basata sul principio di solidarietà fra l’individuo e la collettività, ricavabile dall’art. 2 Cost. E’ soprattutto questo principio che sta alla base dell’imposizione del trattamento sanitario: la tutela della salute pubblica nella sua dimensione collettiva fondata sulla solidarietà sociale, giustifica la compressione del diritto all’autodeterminazione.
La posizione interpretativa della Corte Costituzionale viene ribadita anche dieci anni dopo con la sentenza n. 226 del 2000, nella quale afferma che “ciò che conta è l’esistenza di un interesse pubblico di promozione della salute collettiva tramite il trattamento sanitario, il quale, per conseguenza, viene (e può essere) dalla legge assunto ad oggetto di obbligo legale”.
La stessa linea è stata seguita ancor più di recente con la sentenza n. 5 del 2018, relativa alla legittimità costituzionale del D.L. n. 73 del 2017, convertito dalla L. n. 119 del 2017, in materia di vaccinazioni obbligatorie per i minori fino a 16 anni di età in seguito al quesito sottoposto alla Corte dalla Regione Veneto. Anche in tale occasione, la Consulta ha ribadito che la scelta di rendere obbligatori determinati trattamenti vaccinali non è una scelta illegittima o irragionevole, poiché volta a tutelare la salute individuale e collettiva e fondata sul dovere di solidarietà nel prevenire e limitare la diffusione di alcune malattie.
2. Le questioni legate alla privacy
Quando si parla di obbligo - compreso quello vaccinale - va da sé che sia anche indispensabile predisporre le condizioni necessarie affinché possa essere verificato l’adempimento dello stesso. Su questo aspetto si gioca la partita relativa al rispetto della privacy, che è un altro problema rispetto all’interpretazione dell’art. 32 Cost., ma altrettanto importante.
Il tema parte però da molto più lontano, ossia già dalla fase di prenotazione della dose. Infatti, il comma 5 dell’art. 3 del D.L. del 14 gennaio 2021 prevede che le Regioni e le Province Autonome debbano trasmettere al Ministero della Salute i dati personali dei soggetti sottoposti a vaccinazione anti Covid 19, tramite le proprie piattaforme informatiche o utilizzando la piattaforma nazionale.
Una prima verifica ed un primo trattamento di dati personali, quindi, avverrebbe ancor prima di accertare se il soggetto si è vaccinato ai fini dell’adempimento degli obblighi di legge. Se già vi sono problematiche legate all’utilizzo dei dati da parte degli organi dello Stato, è ancor più spinoso il caso dell’accertamento sul posto di lavoro, quale è quello recentemente proposto dal DDL Ronzulli.
Sul punto possono risultare utili le FAQ del Garante privacy pubblicate nel febbraio 2021 in merito al “Trattamento di dati relativi alla vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo”. In questo documento chiarificatore, l’Autorità di controllo afferma con precisione che il datore di lavoro non può in alcun modo e in nessun momento chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che lo attestino. Ricordiamo, inoltre, che non si può considerare lecito il trattamento, da parte del datore di lavoro, dei dati dei dipendenti relativi alla vaccinazione sulla base del consenso dei dipendenti stessi, poiché, spiega il Garante, tale manifestazione di volontà “non può costituire in tal caso una valida condizione di liceità in ragione dello squilibrio del rapporto tra titolare e interessato nel contesto lavorativo” (Considerando 43 GDPR). Allo stesso modo, il medico competente non può comunicare i dati al datore di lavoro qualora gli venisse richiesto.
Meno rigide e più prudenti, invece, le considerazioni relative all’ipotesi di rendere la vaccinazione anti Covid-19 un requisito indispensabile per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni. In un tale quadro, il Garante rinvia agli interventi del legislatore, precisando però che “solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica del vaccino, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica”. Il datore di lavoro, invece, dovrà soltanto limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore (art. 279, 41 e 42 del d.lgs. n. 81/2008).
Anche in un successivo comunicato stampa del 1° marzo 2021, il Garante ha ribadito la necessità di un intervento legislativo, stavolta in relazione al trattamento dei dati relativi allo stato vaccinale dei cittadini a fini di accesso a determinati locali o di fruizione di determinati servizi, precisando peraltro che tale provvedimento debba essere conforme ai principi in materia di protezione dei dati personali, ed in particolare quelli di proporzionalità, limitazione delle finalità e di minimizzazione dei dati, in modo da realizzare un equo bilanciamento tra l’interesse pubblico che si intende perseguire e l’interesse individuale alla riservatezza. Ancora una volta, quindi, si tratta di svolgere un’opera di bilanciamento tra interessi diversi, con lo scopo di tutelare l’uno senza compromettere l’altro oltre lo stretto necessario.
Le raccomandazioni sono state poi confermate nel recente documento di indirizzo intitolato “Vaccinazione nei luoghi di lavoro: indicazioni generali per il trattamento dei dati personali”, allegato al Provvedimento n. 198 del 13 maggio 2021.
Innanzi tutto, il Garante individua la base giuridica, che non è rinvenibile nell’art. 6, bensì nell’art. 9, par.2, lett. h) e par. 3 GDPR. Tale disposizione fa riferimento specifico al trattamento necessario “per finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri o conformemente al contratto con un professionista della sanità”. Interessante, soprattutto, il riferimento alla somministrazione del vaccino riservata, anche nei luoghi di lavoro, agli operatori sanitari in grado di garantire il pieno rispetto delle prescrizioni adottate per tale finalità e all’interno di locali appositamente individuati dal datore di lavoro, precisando chiaramente che in ogni caso “gli ambienti selezionati per la somministrazione del vaccino dovranno avere caratteristiche tali da evitare per quanto possibile di conoscere, da parte di colleghi o di terzi, l’identità dei dipendenti che hanno scelto di aderire alla campagna vaccinale”.
3. Conclusioni
Il bilanciamento dei diritti in gioco è una delle attività pilastro della nostra democrazia. Si tratta cioè di quel meccanismo che impedisce da un lato l’eccessivo sacrificio di un diritto per garantirne un altro, e dall’altro la paralisi della tutela degli individui e/o della collettività. In altri termini, è ciò che fa funzionare il sistema democratico quando interessi diversi coabitano in uno stesso contesto sociale. Oggi, ci troviamo di fronte ad una situazione che richiede proprio questo, con tutte le difficoltà intrinseche all’opera.
Se tuttavia, come sembra, possiamo contare su un disposto dell’art. 32 Cost. piuttosto chiaro, così come lo sono le pronunce della Corte Costituzionale, molto più complesso è il tema legato al bilanciamento tra la tutela della salute collettiva basato sul principio di solidarietà - che è ciò che sembrerebbe giustificare un trattamento sanitario - e la tutela della privacy. Infatti, anche in previsione di un obbligo vaccinale eventualmente giustificato come sopra, rimangono le incognite sul come poter verificare l’adempimento senza compromettere la protezione dei dati personali degli interessati. A tal proposito, sarà senz’altro interessante attendere ulteriori pronunce dell’Autorità di controllo proprio in riferimento al DDL Ronzulli sull’obbligo vaccinale per il personale scolastico.
Ciò che è importante chiarire, però, è che il Garante non si è mai pronunciato sulla legittimità o meno dell’imposizione della vaccinazione quale elemento indispensabile per accedere al proprio posto di lavoro ma, al contrario, ha a più riprese rinviato all’intervento del legislatore ex art. 32 Cost. Ciò che preme all’Autorità è semplicemente che qualunque tipo di misura venga adottata per adempiere agli eventuali obblighi, ciò avvenga nel rispetto del Regolamento europeo, del Codice Privacy e più in generale del diritto fondamentale alla privacy.
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