Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali

Sommario 1. La corretta valutazione dell’interesse pubblico |
1. La corretta valutazione dell’interesse pubblico
L’art. 14 del Testo Unico sull’edilizia, al primo comma, dispone testualmente quanto segue:
«Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia».
Da questa prima lettura può evincersi, innanzitutto, che il permesso di costruire in deroga può essere rilasciato solo ed esclusivamente per edifici ed impianti appartenenti ad enti pubblici o che abbiano, prescindendo dalla titolarità del bene, un interesse pubblico.
Al fine di suffragare tale assunto, appare meritevole il richiamo a quanto statuito dalla Direzione Generale dell’Urbanistica con la Circolare n. 3210 del 28 ottobre 1967. Difatti, è proprio tale Circolare ad aver chiarificato l’esatta portata definitoria in merito alla congrua allocazione concettuale degli edifici poc’anzi citati.
Orbene, sono stati definiti “edifici ed impianti pubblici” quelli appartenenti ad enti pubblici ed orientati a finalità di carattere pubblico, come le sedi dei Ministeri, le scuole, le caserme ecc.
Di converso, vengono definiti “edifici ed impianti di interesse pubblico” quelli che, indipendentemente dalla qualità del soggetto realizzatore, che potrebbe essere sia pubblico che privato, sono tesi a finalità di carattere generale sotto l’aspetto economico, culturale, religioso ecc. In tale novero vengono fatti rientrare, ad esempio, i teatri, gli alberghi, gli impianti turistici, le biblioteche.
In merito all’ambito di applicazione del permesso di costruire in deroga, può dirsi ormai consolidato l’indirizzo dottrinale e giurisprudenziale che attribuisce fondamentale rilevanza al c.d. elemento funzionale, ossia allo specifico riconoscimento dell’interesse pubblico per gli edifici che, per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale, risultino idonei a soddisfare interessi o bisogni di rilevanza pubblica, indipendentemente dalla qualità dei soggetti che li realizzino.
Difatti, la giurisprudenza del Consiglio di Stato, con sentenza n. 2761/15, ha chiarificato che:
«Non è necessario che l’interesse pubblico attenga al carattere pubblico dell’edificio o del suo utilizzo, ma è sufficiente che coincida con gli effetti benefici per la collettività che dalla deroga potenzialmente derivano, in una logica di ponderazione e contemperamento calibrata sulle specificità del caso, ed esulante da considerazioni meramente finanziarie».
La specifica valutazione in concreto dell’interesse pubblico, però, incomberà esclusivamente in capo al Consiglio Comunale, che tramite la propria deliberazione potrà decidere di asseverare o negare la richiesta inerente il permesso di costruire in deroga. Tale valutazione è squisitamente personalistica e svincolata da precise linee guida nell’acclarare la sussistenza di un interesse pubblico, e quest’ultimo dovrà allinearsi, giocoforza, agli specifici scopi e progetti dell’amministrazione comunale. Nel caso di richiesta di un permesso di costruire in deroga per un manufatto privato, tale allineamento dell’interesse pubblico, con gli scopi istituzionali locali, dovrà avere un peso specifico di maggiore rilevanza, dovendo essere valutato, come poc’anzi detto, discrezionalmente dal Consiglio Comunale.
Siffatta discrezionalità dell’amministrazione locale è stata ribadita dal TAR di Lecce che, con sentenza n. 2577/06, ha asserito che:
«Il permesso in deroga non è un atto dovuto, ma costituisce piuttosto oggetto di esercizio di poteri discrezionali, che devono comparare l’interesse alla realizzazione dell'opera con molteplici altri interessi, quali quello urbanistico, edilizio, paesistico, ambientale».
A tale statuizione deve essere aggiunto, per dovere di esaustività, quanto stabilito dal TAR di Catania, che tramite la propria pronuncia n. 2890/15 ha affermato testualmente quanto segue:
«L’eventuale sussistenza dei presupposti di cui all’art. 14 DPR 380/2001 per il rilascio del titolo edilizio in deroga, costituisce condizione minima necessaria ma non certo sufficiente al fine dell'assentibilità del richiesto intervento, permanendo in capo al Comune un’ampia discrezionalità circa l’an stesso ed il quomodo della prestazione dell'eventuale assenso».
Continuando l’esame del primo comma dell’art. 14 del DPR 380/01 è possibile rinvenire una duplice limitazione in merito alla concessione del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali.
Tali limiti impongono, innanzitutto, al Consiglio Comunale di osservare quanto statuito dalle disposizioni contenute nel d. lgs n. 42/04 (codice dei beni culturali e del paesaggio), che ha abrogato il d. lgs n. 490/99 richiamato dal primo comma del Testo Unico dell’edilizia in esame. L’operato dell’amministrazione locale dovrà volgersi, altresì, al rispetto di tutte «le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia», così come disposto espressamente dal DPR 380/01.
Dell’avvio del procedimento dovrà essere data comunicazione agli interessati in ossequio a quanto stabilito dall’art. 7 della legge 241/90. Tale ultimo inciso è contenuto nel secondo comma del Testo Unico dell’edilizia ed è volto a salvaguardare l’affidamento dei privati, i quali potrebbero avere interessi in collisione con l’eventuale concessione del permesso di costruire in deroga, ergo, dovranno avere comunicazione dell’avvio del relativo procedimento. Va sottolineato che la procedura di comunicazione agli interessati, ex art. 7 della legge 241/90, non è prevista nell’iter per la normale concessione dell’ordinario permesso di costruire.
2. Il terzo comma: i limiti derogabili
Il dettato del terzo comma dell'articolo 14 del DPR 380/01 prevede, al suo interno, tutte le possibili derogazioni alla disciplina generale che mediante il permesso di costruire in esame possono essere effettuate.
Difatti, in tale disposizione viene previsto che:
«La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, nonché, nei casi di cui al comma 1-bis, le destinazioni d'uso, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444».
È alquanto agevole ravvisare, da detta stesura, che le limitazioni aggirabili tramite la concessione del permesso di costruire in deroga sono fortemente tipizzate e possono concernere esclusivamente la densità edilizia, l’altezza e la distanza dei fabbricati.
La giurisprudenza è unanime nel ritenere, anche se non espressamente esplicitato dalla norma, la vigenza di un ulteriore requisito, ossia la non possibilità di concessione del permesso di costruzione in deroga laddove l’area risulti non edificabile. In pratica, il permesso de quo non potrebbe mai attribuire il requisito dell’edificabilità ad aree che ne siano sprovviste ab origine, come quelle a destinazione agricola o verde pubblico.
Ma vi è di più, il permesso di costruire in deroga non potrà mai essere concesso ex post per sanare eventuali abusivismi edilizi esistenti.
Difatti, è la Suprema Corte penale, con sentenza n. 16591/11, a stabilire che:
«Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è istituto di carattere eccezionale giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primari garantiti dalla disciplina urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti dall’art. 14 D.P.R. 380/01 e mediante la specifica procedura; tale sua particolare natura porta ad escludere che possa essere rilasciato «in sanatoria» dopo l’esecuzione delle opere».
In ogni caso, a prescindere dalle casistiche, dovranno essere rispettate, e mai derogate, le statuizioni inerenti i limiti di densità edilizia, di altezza e distanza tra fabbricati previsti tassativamente negli artt. 7, 8 e 9 del D.M. n. 1444/68. Tale vincolo è espressamente richiamato dal dettato del terzo comma del DPR 380/01.
3. Il nuovo comma 1-bis: il mutamento della destinazione d’uso
Di spiccata rilevanza è stata l’introduzione, da parte del D.L. 133/2014 e convertito in L. 164/2014 (c.d. Sblocca Italia), del nuovo comma 1-bis all’interno dell’originaria stesura dell’art. 14 del Testo Unico dell’edilizia.
Il nuovo comma 1-bis prevede testualmente quanto segue:
«Per gli interventi di ristrutturazione edilizia, attuati anche in aree industriali dismesse, è ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d'uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico, a condizione che il mutamento di destinazione d'uso non comporti un aumento della superficie coperta prima dell'intervento di ristrutturazione, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni».
Tale introduzione, nel dettame dell’art. 14 del Testo Unico dell’edilizia, ha portato notevoli innovazioni in seno alla disciplina applicabile in merito al permesso di costruire in deroga.
Innanzitutto, in aggiunta alle derogazioni disciplinari già citate, vi è la possibilità del mutamento di destinazione d’uso dell’immobile laddove il Consiglio Comunale confermi ed attesti la sussistenza dell’interesse pubblico addotto dalla parte.
In merito alla sussistenza dell’interesse pubblico in progetti a carattere privatistico, la recente giurisprudenza amministrativa appare di ampie vedute.
Merita assoluta menzione la statuizione del Consiglio di Stato che, tramite la sentenza n. 1205/20, ha dato ragione ad una società che, effettuando il cambio d’uso dell’immobile ed il quasi suo completo rifacimento, ha rivalutato la zona nella quale si ergeva un parcheggio a più piani in disuso ed oramai fatiscente, di proprietà della stessa società. L’intento perpetrato da quest’ultima era ravvisabile nel recupero di un’attività non redditizia, che finiva per connotare un’area industriale come dismessa ed abbandonata, tramite l’apertura di una nuova attività economica.
Nella prefata sentenza, in un emblematico passaggio giurisprudenziale, può ravvisarsi che:
«L’amministrazione comunale ha posto in rilievo l’insuccesso della iniziativa avente per oggetto il parcheggio poi realizzato, che rischia di generare un vero e proprio detrattore ambientale in una zona nevralgica della città…Il Comune ha puntualmente valutato che il mutamento di destinazione d’uso da “parcheggio” a “commerciale” per le peculiari caratteristiche dell’ambito territoriale di riferimento si traduce in un beneficio per la collettività. Inoltre, occorre sottolineare che l’art. 14, comma 1-bis, del DPR n. 380/01 pone in chiara evidenza che, nel caso di insediamenti commerciali, resta fermo quanto disposto dall’art. 31, comma 2, del d.l. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, in ragione del quale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, costituisce principio generale dell’ordinamento nazionale secondo la disciplina dell’Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi. In definitiva, il potere esercitato dall’Amministrazione non si rileva inficiato da vizi, in quanto la discrezionalità amministrativa è stata esercitata in modo non irragionevole ed il provvedimento si è basato su una congrua ed esaustiva motivazione».
Anche il TAR del Piemonte, qualche anno prima, diede prova di eclettica lungimiranza in merito alla decisione relativa ad un diniego, da parte dell’Amministrazione locale, di un permesso di costruire in deroga perché carente dell’interesse pubblico. La società privata voleva abbattere un precedente manufatto dove insisteva già un’attività economica per poter erigere un nuovo complesso da adibire a nuova attività commerciale.
L’autorevole Collegio ha ritenuto, con sentenza n. 91/16, che:
«L'interesse pubblico richiamato dalla norma non sia solo quello rintracciabile nella realizzazione di un'opera pubblica, perché appartenente ad un ente o perché volta a soddisfare un interesse generale, ma che possa acquisire rilievo pubblicistico anche quell'intervento volto, per esempio, a razionalizzare e riqualificare delle aree degradate, con il solo limite che si tratti di destinazioni tra loro compatibili e complementari».
Oltre al recupero delle aree degradate, pare congruo ravvisare quale estrinsecazione di un interesse pubblico altresì la valorizzazione del lavoro locale, tramite la creazione di nuovi posti di lavoro come mera conseguenza del mutamento di destinazione d’uso di un immobile, già insistente sul territorio, ma poco proficuo. Tale considerazione pare certamente sorretta da una lettura attenta della Carta Fondamentale, che certamente pone il lavoro quale fondamento della stessa Repubblica nell’art. 1 Cost.
Unico limite rinvenibile nel comma 1-bis, dell’art. 14 del Testo Unico dell’edilizia, è il mantenimento, in caso di mutamento d’uso, della stessa volumetria immobiliare dell’edificio già eretto in precedenza sul territorio.
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