Famiglia, minori e successioni

Sì all’assegno familiare per lavoratore con permesso di soggiorno, anche se coniuge e figli risiedono all’estero

L’INPS deve erogare l’assegno se i congiunti si trovano in un paese terzo, perché il diritto UE impone la parità di trattamento (Corte UE, sentenze 25 novembre 2020)

giustizia europaLa Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con due sentenze molto simili, ambedue emesse il 25 novembre 2020, nelle cause C-302/2019 e C-303/2019 (testo in calce), afferma che uno Stato membro, come l’Italia, non possa rifiutare l’assegno familiare al soggiornante di lungo periodo (o al titolare di un permesso unico), adducendo, come motivazione, che suoi familiari risiedono in un paese terzo. Infatti, tale beneficio viene accordato ai cittadini italiani indipendentemente dal luogo in cui i risiedano i loro familiari. Una simile previsione, quindi, viola il principio di parità di trattamento previsto dalle direttive comunitarie.

Sommario

La vicenda

La causa C-302/2019 vede come protagonista un cittadino cingalese, residente in Italia, inizialmente, titolare di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato e poi di un permesso unico di lavoro. Nella causa C-303/2019, invece, l’attore è un cittadino pakistano residente in Italia, titolare di un permesso di soggiorno di lunga durata dal 2010. In ambedue i casi, gli stranieri agiscono in giudizio contro l’INPS. L’ente di previdenza, infatti, aveva rifiutato di versare l’assegno familiare, per il periodo di circa 3 anni, durante i quali i familiari (moglie e i figli) avevano soggiornato nei paesi di origine, rispettivamente in Pakistan e Sri-Lanka. In entrambi i casi, veniva lamentato il carattere discriminatorio del diniego. La vicenda giunge sino in Cassazione, ove viene sollevata una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE.

Riferimenti normativi

Prima di analizzare il decisum, ricordiamo brevemente le norme comunitarie di riferimento nelle due fattispecie.

Nella causa C-303/2019, viene in rilievo la direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo. In particolare, si discute sull’interpretazione dell’art. 11 par. 1 lett. d), rubricato “parità di trattamento”, la norma dispone che: “Il soggiornante di lungo periodo gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda le prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale”

Il d.lgs. 3/2007 ha recepito la direttiva di cui sopra (2003/109/CE) e ha apportato delle modifiche al TU sull’immigrazione. In particolare, l’art. 9 c. 12 lett. c) d. lgs. 286/1998 prevede che il cittadino di un paese terzo, titolare di un permesso di soggiorno di lunga durata, usufruisce delle prestazioni di previdenza sociale e di assistenza sociale, «salvo che sia diversamente disposto e sempre che sia dimostrata l’effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale».

Nella causa C-302/2019, viene in rilievo la direttiva 2011/98 relativa alla procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membri. In particolare, si controverte sull’interpretazione dell’art. 12 par. 1 lett. e), la norma prevede che “ i lavoratori dei paesi terzi beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004”.

Il d.lgs. 40/2014 ha recepito la direttiva di cui sopra (2011/98), ha istituito il permesso unico di lavoro e ha previsto un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno stato membro.

La legge 153/1988 reca norme in materia previdenziale; in particolare, l’art. 2 c. 6 bis, dispone che non fanno parte del nucleo familiare il coniuge ed i figli di cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo Stato di cui lo straniero è cittadino sia riservato un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia.

La natura dell’assegno familiare

Prima di affrontare la questione pregiudiziale, viene chiarita la duplice natura di tale erogazione. Gli assegni per il nucleo familiare (ANF) sono delle somme erogate qualora il reddito familiare del lavoratore risulti inferiore al limite fissato dalla legge. Si tratta di un’erogazione a carico dell’INPS, ma anticipata dal datore di lavoro, nel caso di lavoratore dipendente. Con tale misura, l’ordinamento intende tutelare il nucleo familiare, infatti, l’assegno viene erogato in considerazione della sua composizione e reddito, non già in relazione alla qualifica del lavoratore (legge 153/1988). La giurisprudenza ha chiarito la duplice natura dell’assegno per il nucleo familiare:

  • funzione previdenziale, in quanto diretto a garantire un reddito sufficiente alle famiglie che ne siano sprovviste,
  • funzione di assistenza sociale, in quanto «il reddito preso a parametro viene elevato, all’occorrenza, per comprendere soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali ovvero minorenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età».

La questione pregiudiziale

La Suprema Corte ritiene che la soluzione della controversia principale dipenda dall’interpretazione delle disposizioni delle due direttive e solleva, in ognuna delle due cause, una questione pregiudiziale, che può così riassumersi:

  • se sia contraria al diritto dell’UE e al principio di parità di trattamento tra soggiornanti di lungo periodo e cittadini nazionali, la disposizione nazionale che, al fine del calcolo dell’assegno per il nucleo familiare, esclude i familiari del lavoratore soggiornante di lungo periodo ed appartenente a Stato terzo, qualora gli stessi risiedano presso il paese terzo d’origine; mentre, non prevede nulla di simile per i propri cittadini.

Per completezza espositiva si precisa che le disposizioni di cui si chiede l’interpretazione sono, nella causa C-302/2019, l’art. 12 par. 1 lett. e) direttiva 2011/98 e, nella causa C-303/19, l’art. 11 par. 1, lett. d) direttiva 2003/109. Anche se le sentenze riguardano direttive diverse, il percorso argomentativo è il medesimo per ambedue.

Parità di trattamento tra lavoratori di paesi terzi e cittadini

Il diritto dell’Unione lascia gli Stati membri liberi di organizzare come meglio credono i loro regimi di sicurezza sociale, così come di stabilire le condizioni per la concessione di prestazioni come l’assegno familiare. Nondimeno, nell’esercizio di tale facoltà, deve essere rispettato il diritto unionale. Le disposizioni delle due direttive (l’art. 12 par. 1 lett. e) direttiva 2011/98 e l’art. 11 par. 1, lett. d) direttiva 2003/109) prevedono che il soggiornante di lungo periodo e il lavoratore di paese terzo godano delle stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto attiene alle prestazioni sociali.

Deroghe alla parità di trattamento

La direttiva 2003/109 prevede:

  • la regola generale del diritto alla parità di trattamento,
  • alcune deroghe a tale diritto che gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire.

Le deroghe vanno interpretare restrittivamente e possono essere invocate solo «qualora gli organi competenti nello Stato membro interessato per l’attuazione di tale direttiva abbiano chiaramente espresso l’intenzione di avvalersi delle stesse». L’Italia, in sede di conversione, non ha espresso l’intenzione di avvalersi della deroga consentita dalla direttiva, pertanto, trova applicazione la regola generale sopra esposta. Inoltre, l’art. 2 c. 6 bis legge 153/1988 è stato adottato anteriormente al recepimento della direttiva; invece, l’art. 9 c. 12 TU immigrazione, che incorpora le disposizioni di detta direttiva, subordina l’accesso del titolare di un permesso di soggiorno di lunga durata alle prestazioni di assistenza sociale e di sicurezza sociale alla condizione che tale titolare risieda effettivamente nel territorio nazionale, senza fare riferimento al luogo di residenza dei suoi familiari.

L’obiettivo di integrazione

L’INPS, nelle sue difese, argomenta che l’esclusione dell’assegno per i familiari non soggiornanti nel paese sia conforme all’obiettivo di integrazione, infatti, affinché si possa avere un’integrazione effettiva è necessaria la presenza sul territorio. Il giudice europeo rigetta tale ricostruzione, giacché escludere dal diritto alla parità di trattamento il soggiornante di lungo periodo, qualora i suoi familiari non risiedano, per un arco limitato di tempo, nel territorio del paese membro interessato, non può essere considerato conforme a tale obiettivo. Al contrario, «uno Stato membro non può rifiutare o ridurre il beneficio di una prestazione di sicurezza sociale al soggiornante di lungo periodo per il motivo che i suoi familiari o taluni di essi risiedono non sul suo territorio, bensì in un paese terzo, quando invece accorda tale beneficio ai propri cittadini indipendentemente dal luogo in cui i loro familiari risiedano».

Conclusioni

In ambedue le cause, la Corte di Giustizia ribadisce il diritto del cittadino di paese terzo soggiornante di lungo periodo e del titolare di permesso di soggiorno di lavoro a ricevere gli assegni per il nucleo familiare anche allorché la moglie e i figli soggiornino nel loro paese d’origine e non in Italia. Benché i due rinvii pregiudiziali riguardino due distinte direttive, la decisione adottata è simile e può riassumersi come segue:

  • l’interpretazione del diritto dell’Unione osta ad una normativa nazionale, in forza della quale, ai fini della determinazione dei diritti a una prestazione di sicurezza sociale, non vengono presi in considerazione i familiari del soggiornante di lungo periodo o del titolare del permesso unico, che risiedano non già nel territorio di tale Stato membro, bensì in un paese terzo, mentre vengono presi in considerazione i familiari del cittadino di detto Stato membro residenti in un paese terzo.

CORTE UE, SENTENZA 25.11.2020 (C-302/2019)>> SCARICA IL PDF

CORTE UE, SENTENZA 25.11.2020 (C-303/2019)>> SCARICA IL PDF

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