Pandemia: le nuove tecnologie quali strumento per combatterla
Nel 2020 le sfide affrontate dai governi, dai sistemi sanitari e dalla società in generale hanno reso necessaria l’adozione di soluzioni innovative.
Molti Stati hanno considerato l’utilizzo massiccio delle nuove tecnologie la strategia ideale per fronteggiare la crisi derivante dalla pandemia. Un report del Consiglio d’Europa pubblicato lo scorso ottobre, intitolato “Digital solutions to fight Covid-19”, analizza i vari strumenti utilizzati dai 55 Stati firmatari della Convenzione 108 sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato dei dati personali, per misurarne la portata anche dal punto di vista della tutela della privacy degli individui.
Nel report il Consiglio infatti evidenzia come la situazione emergenziale non possa giustificare una compressione indiscriminata dei diritti fondamentali alla riservatezza e alla protezione dei dati personali: non sono un ostacolo all’adozione di misure di contrasto all’emergenza, ma anzi sono una garanzia che queste vengano messe a punto rispettando la dignità umana.
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Le premesse per l’utilizzo di strumenti tecnologici nel rispetto della privacy
Elencati nel report troviamo i punti fondamentali da tenere in considerazione nel momento in cui si decida, per fare fronte alla pandemia, di utilizzare strumenti tecnologici che trattano dati personali. In particolare, emergono le seguenti esigenze:
- Stabilire dei limiti temporali definiti;
- Definire precisamente le finalità di ogni trattamento, basandole su condizioni di liceità specifiche;
- Accertarsi costantemente che le misure messe in atto siano proporzionate rispetto agli scopi perseguiti;
- Cooperare con le Autorità nazionali garanti privacy, sia all’inizio dei vari processi che successivamente;
- Mettere a punto delle operazioni di trattamento trasparenti e comprensibili, specialmente per quanto riguarda i meccanismi automatici di tracciamento;
- Assicurare che i titolari del trattamento rispettino i principi di accountability, privacy by design e by default e che vengano fatte delle valutazioni d’impatto privacy dei trattamenti e delle misure di sicurezza rilevanti.
Alla luce di queste premesse, il report prosegue nell’esame delle varie misure utilizzate dagli Stati firmatari della Convenzione 108, fornendo esempi interessanti per comprendere a pieno pro e contro delle varie applicazioni.
Non solo contact tracing: misure adottate e problemi emersi
A livello mediatico si è parlato molto delle applicazioni di contact tracing, una delle tecnologie più utilizzate in tutto il mondo fin dallo scorso marzo. In Italia il fulcro delle discussioni è stata l’app Immuni, scelta dal Governo e approvata dal Garante per la protezione dei dati personali per effettuare il tracciamento dei contatti tra gli individui senza rinunciare alla tutela della loro privacy. Allo stesso tempo, sia in Italia che all’estero sono stati messi a punto ulteriori sistemi per contenere i contagi e monitorare le persone sottoposte alla quarantena; molti dei quali, tuttavia, hanno sollevato varie perplessità dal punto di vista della sicurezza e del rispetto della riservatezza degli individui.
Innanzitutto, sono state sviluppate delle app che non si limitano ad effettuare il mero contact tracing, ma controllano anche che non venga violata la quarantena o restrizioni e regole in generale; altre, invece, servono a diffondere informazioni alla popolazione per quanto riguarda notizie, istruzioni per evitare i contagi o per avere accesso a servizi sanitari, mappe per evitare luoghi particolarmente colpiti dalla pandemia. La Slovenia è l’unico Stato firmatario della Convenzione 108 che ha reso obbligatorio per legge l’utilizzo di app di controllo dei contatti e del rispetto del distanziamento, mentre in Russia alle persone risultate positive al virus è imposto l’uso di una app che controlla che rimangano in isolamento.
Interessante è il caso della Norvegia: l’Autorità garante privacy norvegese ha richiesto la sospensione della messa a disposizione dell’app di contact tracing per via del numero esiguo di download della stessa, cosa che ne inficiava l’effettività rendendo sproporzionato il trattamento dei dati personali degli utenti rispetto al risultato ottenuto.
Oltre alle app, le soluzioni digitali alla pandemia ricomprendono: siti web, braccialetti elettronici, videocamere smart con riconoscimento facciale, termo-scanner, droni, robot.
L’Autorità garante privacy belga si è espressa sull’utilizzo di braccialetti elettronici sul posto di lavoro per monitorare il rispetto del distanziamento, stabilendo che è lecito fintanto che il meccanismo rimane completamente anonimo, senza alcuna raccolta di dati relativi alla posizione degli individui. Il problema rimane per quanto riguarda il consenso esplicito degli interessati che, sostiene l’Autorità, è necessario per consentire l’uso dei braccialetti: come ormai pacifico nel settore della tutela della privacy, ma applicabile anche in altri contesti come quello in esame, un consenso espresso nell’ambito di un rapporto di lavoro, in cui l’interessato è posto in una posizione subordinata rispetto al proprio datore, difficilmente può essere considerato libero. In definitiva, c’è il rischio concreto che i lavoratori si sentano obbligati ad accettare l’imposizione di queste misure, che diventano potenzialmente lesive della dignità dei soggetti nel momento in cui questi non hanno una possibilità di scelta effettiva in merito al loro utilizzo.
Le videocamere smart possono contenere software di riconoscimento facciale per controllare il rispetto delle misure di quarantena, ma anche, come in un progetto francese, sistemi automatici per verificare l’impiego delle mascherine sui mezzi pubblici.
I termo-scanner si sono diffusi per monitorare l’accesso in luoghi privati e pubblici, specialmente negli aeroporti. Le Autorità garanti privacy olandese, lituana e portoghese hanno affermato che il loro utilizzo da parte dei datori di lavoro è illegale, mentre l’Autorità belga ha messo in dubbio l’esistenza di una base giuridica per il loro impiego nell’aeroporto di Bruxelles.
Infine, le nuove tecnologie hanno fornito anche strumenti necessari per portare avanti attività quotidiane senza uscire di casa: si pensi al telelavoro e alla didattica a distanza. Sono emerse in questo contesto preoccupazioni riguardanti la sicurezza informatica e la tutela dei dati personali dei soggetti coinvolti, specialmente quando si tratta di minori, come nel caso delle classi di scuola online. Anche in questi casi, inoltre, è particolarmente difficile considerare libero il consenso prestato dall’interessato, visto che siamo di solito di fronte a situazioni di squilibrio di potere, come nel caso studente/insegnante, o lavoratore/datore. In Olanda è stata addirittura intentata un’azione giudiziaria: degli studenti dell’Università di Amsterdam hanno chiesto alla Corte Distrettuale di vietare l’obbligo di usare dei software per sostenere gli esami nel periodo della pandemia. Il giudice, tuttavia, ha rigettato la richiesta perché la misura era necessaria e proporzionata.
Conclusioni
L’utilizzo di nuove tecnologie continua a porci di fronte sempre nuovi interrogativi dal punto di vista giuridico e delle implicazioni sociali. Nel 2020 il bisogno di contrastare la minaccia del virus ci ha posto tutti in uno stato di emergenza costante, che però non deve giustificare uno sfruttamento scriteriato di ogni possibile sistema messo a nostra disposizione. Per questo è interessante avere una serie di punti fermi da usare come cartina tornasole della liceità delle varie misure attuate; in questo senso, il report del Consiglio d’Europa ci fornisce un valido aiuto.
L’analisi cui vengono sottoposte in questo documento tutte le iniziative degli Stati firmatari della Convenzione 108 può essere uno spunto su cui basare le valutazioni delle misure future. Inoltre, la conoscenza delle varie soluzioni adottate all’estero può essere utile per prendere in considerazione nuove possibilità, tenendo presente quali sono i pro e i contro che sono già stati riscontrati.
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