Clausola abusiva: il termine di prescrizione per l’azione contrasta con il diritto UE?
La direttiva sulle clausole abusive nei contratti dei consumatori (93/13) mira a tutelare il contraente debole che si trovi in uno stato di inferiorità rispetto alla controparte. La normativa nazionale può inserire dei termini prescrizionali per l’esercizio dei diritti dei consumatori, ma è necessario che tali termini e la loro decorrenza non siano meno favorevoli rispetto a quelli relativi a ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) e non rendano eccessivamente gravoso l’esercizio dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 (principio di effettività).
Così ha deciso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con la sentenza 9 luglio 2020 nella cause riunite C-698/18 e C-699/19 (testo in calce).
Sommario |
La vicenda e le questioni pregiudiziali
Nella pronuncia in commento, la Corte di Giustizia esamina due cause simili in cui sono state sollevate le medesime questioni pregiudiziali.
Nella causa C-698/18, un consumatore romeno concludeva un contratto di credito per un prestito personale nel 2008, per la durata di sette anni, sino al 2015. Nel 2016, ritenendo che il regolamento contrattuale contenesse della clausole abusive, agiva in giudizio di fronte al tribunale al fine di sentirne accertata la vessatorietà e per ottenere la restituzione delle somme versate in forza delle suddette clausole. L’istituto di credito si opponeva affermando che, al momento della proposizione del ricorso, l’istante non avesse più la qualità di consumatore, giacché il contratto era ormai cessato. Il tribunale adito accoglieva la domanda del ricorrente, dichiarava vessatorie le clausole impugnate e condannava la banca alla restituzione delle somme pagate in forza delle clausole abusive. Per quanto qui di interesse, nel diritto romeno l’azione di accertamento della nullità assoluta è imprescrittibile e il ricorrente può proporre l’azione di ripetizione entro tre anni dall’accertamento giudiziale della nullità.
Nella causa C-699/18, un consumatore concludeva un contratto di prestito personale nel 2003 con scadenza del 2013, lo restituiva anticipatamente e, nel 2016, agiva contro l’istituto di credito per la ripetizione delle somme versate in forza di clausole ritenute abusive. Anche in questo caso, la banca si opponeva adducendo le ragioni di cui sopra.
Il giudice adito sollevava due questioni pregiudiziali, in termini identici, per ambedue le cause in relazione all’interpretazione della direttiva 93/13 (articoli 2 lett. b), 6 c. 1, 7 c. 2, 8):
- se le suddette disposizioni consentano, in applicazione dei principi di autonomia processuale, di equivalenza e di effettività, che il diritto nazionale preveda un’azione ordinaria, non soggetta a prescrizione, volta all’accertamento del carattere abusivo delle clausole contenute in contratti conclusi con i consumatori e un’azione ordinaria, soggetta a prescrizione, con cui viene perseguito l’obiettivo di eliminare gli effetti delle obbligazioni sorte ed eseguite in forza di una clausola di cui sia stato accertato il carattere abusivo nei confronti del consumatore.
- In caso di risposta affermativa alla prima questione, se le medesime disposizioni ostino ad un’interpretazione derivante dall’applicazione del principio di certezza dei rapporti giuridici di diritto civile secondo la quale il momento oggettivo a partire dal quale il consumatore doveva o avrebbe dovuto essere a conoscenza dell’esistenza di una clausola abusiva sarebbe quello della cessazione del contratto di credito nell’ambito del quale aveva la qualità di consumatore (e non quello dell’accertamento giudiziale della nullità).
Il quadro normativo: la direttiva sulle clausole abusive nei contratti dei consumatori
Il giudice nazionale solleva le questioni pregiudiziali in ordine all’interpretazione della direttiva 93/13 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. In particolare, sui seguenti articoli:
- art. 2 lett. b) «consumatore: qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale»;
- art. 6 c. 1 «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive»;
- art. 7 c. 2 «I mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che permettano a persone o organizzazioni, che a norma del diritto nazionale abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori, di adire, a seconda del diritto nazionale, le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi competenti affinché stabiliscano se le clausole contrattuali, redatte per un impiego generalizzato, abbiano carattere abusivo ed applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l'inserzione di siffatte clausole»;
- art. 8 «Gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore».
Inoltre, si fa riferimento al 12°, 21° e 23° considerando, alla cui lettura si rinvia.
La Corte di Giustizia si dichiara competente a conoscere della prima causa C-698/18, ma non della seconda C-698/18. Infatti, la Romania è entrata a far parte dell’UE nel 2007 e il contratto di cui alla prima causa è stato concluso nel 2008, mentre quello della seconda nel 2003. Da ciò deriva che la direttiva 93/13 risulti applicabile alla prima controversia e non alla seconda.

Sul tema si segnala:
Concorrenza, mercato e diritto dei consumatori Catricalà Antonio, Cassano Giuseppe, Clarizia Renato, UTET GIURIDICA, 2018La prima questione: il termine di prescrizione
Il giudice romeno si rivolge alla Corte di Giustizia per chiedere se sia compatibile, con le disposizioni della direttiva 93/13, la normativa nazionale che preveda:
- un’azione ordinaria imprescrittibile volta ad accertare l’abusività delle clausole contrattuali,
- un’azione ordinaria con un termine prescrizionale triennale diretta ad ottenere la ripetizione delle somme versate a seguito dell’accertamento dell’abusività delle clausole.
I giudici europei affermano che la direttiva 93/13 fonda la tutela del consumatore su un interesse di carattere pubblico, pertanto, l’articolo 6 della stessa equivale ad una norma di ordine pubblico di rango interno (sent. 20.09.2018, OTP Bank e OTP Faktoring, C 51/17). Ciò premesso, la direttiva impone agli Stati membri di fornire mezzi adeguati a far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti conclusi tra professionisti e consumatori (sent. del 30.04.2014, Kásler e Káslerné Rábai, C 26/13; sent. 21.12.2016, Gutiérrez Naranjo e a., C 154/15, C 307/15 e C 308/15). La giurisprudenza eurounitaria interpreta il citato art. 6 nel senso che:
- una clausola contrattuale dichiarata abusiva deve essere considerata tamquam non esset, ossia come se non fosse mai esistita,
- tale clausola è inefficace verso il consumatore,
- l’accertamento giudiziale del carattere abusivo della clausola comporta il ripristino della situazione di diritto e di fatto in cui il consumatore si sarebbe trovato in mancanza di essa.
Da quanto sopra emerge che:
- il giudice nazionale deve disapplicare una clausola contrattuale abusiva che prescriva il pagamento di somme che si rivelino indebite,
- la dichiarazione di vessatorietà comporta un effetto restitutorio in relazione alle somme indebitamente versate (sent. 21.12.2016, Gutiérrez Naranjo e a., C 154/15, C 307/15 e C 308/15).
La Corte ricorda come la tutela del consumatore non sia assoluta, pertanto, è compatibile con il diritto dell’UE la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza nell’interesse della certezza del diritto. Quindi, spetta alla legislazione interna degli Stati membri stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali volti a tutelare il consumatore. Nondimeno, occorre che l’iter prescelto:
- ·non sia meno favorevole di quello relativo a ricorsi analoghi, in virtù del principio di equivalenza,
- ·non renda impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, in ossequio al principio di effettività.
La seconda questione: decorrenza del termine di prescrizione
Con la seconda questione, il giudice nazionale domanda alla Corte di Giustizia se sia conforme alla direttiva UE e ai principi i principi di equivalenza, di effettività e di certezza del diritto un’interpretazione giurisdizionale della normativa nazionale secondo cui l’azione per la restituzione delle somme indebitamente pagate in forza di una clausola abusiva sia assoggettata a un termine di prescrizione di tre anni decorrente dalla data dell’esecuzione integrale del contratto, dal momento che, a partire da tale data, il consumatore avrebbe dovuto essere a conoscenza del carattere abusivo di tale clausola.
Sotto il profilo del principio di effettività, se una disposizione nazionale rende eccessivamente difficoltosa l’applicazione del diritto dell’UE, occorre esaminare il ruolo della disposizione nel contesto normativo di riferimento. Pertanto, con riguardo al termine prescrizionale, bisogna considerarne la durata (tre anni) e le modalità applicative (compresa la decorrenza del termine). La giurisprudenza della Corte è costante nell’affermare che la previsione di termini al fine di garantire la certezza del diritto, se sono ragionevoli, non risulta in contrasto con il diritto europeo. Così, nel caso di specie, un termine triennale appare idoneo a consentire al consumatore di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. Nondimeno, appare inidonea a tutelare il consumatore la decorrenza del suddetto termine dall’integrale esecuzione del contratto, perché non garantisce «al consumatore una tutela effettiva, dal momento che tale termine rischia di essere scaduto ancor prima che il consumatore possa avere conoscenza della natura abusiva di una clausola contenuta in tale contratto. Un siffatto termine rende pertanto eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti di tale consumatore conferiti dalla direttiva 93/13».
Sotto il profilo del principio di equivalenza, occorre che la norma nazionale si applichi sia con riferimento al diritto europeo che interno, in relazione alla violazione del medesimo petitum e causa petendi. Nel caso di specie, ai sensi del diritto romeno, il termine prescrizionale in casi analoghi (nullità assoluta della clausola) decorre dalla data di accertamento giudiziale. Pertanto, l’interpretazione della norma, operata dal giudice romeno, secondo cui la decorrenza avviene dalla cessazione del contratto, istituisce «modalità procedurali diverse, che trattano in modo meno favorevole le azioni fondate sul regime di tutela previsto dalla direttiva 93/13» e una siffatta differenza di trattamento non può essere giustificata da motivi di certezza del diritto.
Conclusioni
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha risolto come segue le due questioni pregiudiziali sollevate dal giudice romeno in relazione alla corretta interpretazione della direttiva 93/13 in materia di clausole abusive nei contratti dei consumatori (art. 2, lettera b), art. 6 c. 1, art. 7 c.1):
- le disposizioni della direttiva devono essere interpretate «nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che, pur prevedendo il carattere imprescrittibile dell’azione diretta ad accertare la nullità di una clausola abusiva contenuta in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, assoggetta a un termine di prescrizione l’azione diretta a far valere gli effetti restitutori di tale accertamento, sempreché tale termine non sia meno favorevole rispetto a quello relativo a ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) e non renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, in particolare dalla direttiva 93/13 (principio di effettività)»;
- le disposizioni succitate e i principi di equivalenza, di effettività e di certezza del diritto «devono essere interpretati nel senso che essi ostano a un’interpretazione giurisdizionale della normativa nazionale secondo la quale l’azione in giudizio per la ripetizione delle somme indebitamente pagate in forza di una clausola abusiva contenuta in un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista è assoggettata a un termine di prescrizione di tre anni che decorre dalla data dell’esecuzione integrale di tale contratto, qualora si presuma, senza che sia necessario verificarlo, che, a tale data, il consumatore avrebbe dovuto avere conoscenza del carattere abusivo della clausola di cui trattasi o qualora, per azioni analoghe, fondate su determinate disposizioni del diritto interno, tale stesso termine inizi a decorrere soltanto a partire dall’accertamento giudiziale della causa di tali azioni».
Inoltre, la Corte di Giustizia ha ribadito che il consumatore rimane tale anche in seguito alla cessazione del contratto concluso con il professionista; infatti, per «consumatore» s’intende qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto di tale direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale (art. 2 lett. b). La suddetta definizione non contiene alcun elemento che consenta di determinare in quale momento un contraente cessi di essere un consumatore e cessi, pertanto, di poter avvalersi della tutela conferitagli da tale direttiva.
CGUE, SENTENZA 9 AGOSTO 2020, C-698/18 / C-699/19, >> SCARICA IL TESTO PDF