Compenso del domiciliatario: paga il cliente o il dominus?
Il cliente del professionista è chi gli ha conferito l’incarico, stipulando il contratto di prestazione d’opera intellettuale, in virtù del quale è tenuto al pagamento del corrispettivo. Pertanto, il soggetto obbligato a corrispondere il compenso all’avvocato non coincide necessariamente con la parte nel cui interesse è svolta la prestazione d’opera intellettuale.
In altre parole, non è sempre l’assistito a dover pagare, infatti, il compenso del domiciliatario grava sul dominus, se è stato quest’ultimo a conferirgli l’incarico; l’esistenza di una procura congiunta, firmata dall’assistito a favore dei due legali (dominus e domiciliatario) non è sufficiente a provare il sottostante contratto di patrocinio con il cliente.
Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza 12 marzo 2020, n. 7037 (testo in calce).
Sommario
- La vicenda
- Chi deve pagare il compenso?
- Conferimento dell’incarico tra avvocati
- La procura alle liti e il contratto di patrocinio
- Conclusioni
La vicenda
L’avvocato domiciliatario conveniva in giudizio il collega al fine di ottenere da quest’ultimo il pagamento delle proprie competenze. Il dominus si opponeva alla pretesa e riteneva che la corresponsione del compenso spettasse al cliente, in virtù della procura alle liti congiunta rilasciata a favore di entrambi i legali. In primo grado, la richiesta attorea veniva rigettata, in sede di gravame, invece, l’appello del domiciliatario veniva accolto e il dominus condannato al pagamento dell’onorario a favore del collega. Infatti, secondo il giudice di merito, la mera procura non dimostrava la sussistenza di un contratto di patrocinio tra il domiciliatario e l’assistito; inoltre, era emerso che gli atti fossero stati predisposti dal dominus e che il domiciliatario avesse espletato lo ius postulandi in esecuzione delle direttive del collega. Si giunge così in Cassazione, ove i supremi giudici devono stabilire se il pagamento del compenso del domiciliatario gravi sul cliente o sull’altro avvocato.
Chi deve pagare il compenso?
La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che, per individuare il destinatario dell’obbligo di corrispondere il compenso all’avvocato, si debba distinguere tra:
- rapporto endo-processuale, nato dal conferimento della procura alle liti,
- rapporto extra-processuale (o di patrocinio), instaurato tra il soggetto che conferisce l’incarico e il professionista incaricato.
Sul punto, giova chiarire che non sempre v’è una coincidenza tra il soggetto che conferisce la procura alle liti (il cliente) e il soggetto che conferisce l’incarico (in questo caso, l’avvocato-dominus). Infatti, può accadere che la posizione del cliente venga assunta non dal patrocinato, ma da chi ha richiesto per lui l'opera professionale. Pertanto, quando si agisce per il recupero delle proprie competenze, occorre avere ben chiaro:
- se il mandato di patrocinio provenga dalla stessa parte rappresentata in giudizio,
- o, invece, se derivi da un altro soggetto che abbia assunto a proprio carico l'obbligo del compenso.
La Suprema Corte ribadisce che, nell’ambito del contratto di prestazione d’opera intellettuale, il diritto al compenso scaturisce dal conferimento dell’incarico professionale, in cui il conferente abbia chiaramente manifestato la volontà di avvalersi dell’attività dell’avvocato. Da ciò discende che «il cliente del professionista non è necessariamente colui nel cui interesse viene eseguita la prestazione d'opera intellettuale, ma colui che, stipulando il relativo contratto, ha conferito incarico al professionista ed è conseguentemente tenuto al pagamento del corrispettivo» (Cass. 27466/2019; Cass. 16261/2016; Cass. 19596/2004; Cass. 7309/2000; Cass. 1244/2000).

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Nella fattispecie in oggetto, l’incarico al domiciliatario era stato conferito dell’avvocato convenuto in giudizio. La prova del conferimento si desumeva dall’assenza di contatti diretti tra il domiciliatario e il cliente, dalla predisposizione degli atti da parte del dominus, dall’espletamento dell’attività difensiva in base alle direttive impartite dal collega. Ciò posto, il principio di cui sopra si applica anche nel caso in cui il conferimento del mandato a favore del cliente sia avvenuto da parte di un altro avvocato. La procura congiunta, ossia rilasciata ad entrambi gli avvocati, non sottende automaticamente il contratto di patrocinio. Infatti, come abbiamo visto, il rapporto che si instaura con l’avvocato è duplice: endo-processuale (fondato sulla procura) e extra-processuale (basato sul conferimento dell’incarico). Pertanto, la presunzione di coincidenza tra procura e patrocinio può essere superata se viene provato, sia pur in via indiziaria, «il distinto rapporto interno ed extraprocessuale di mandato esistente tra i due professionisti e che la procura rilasciata dal terzo in favore di entrambi era solo lo strumento tecnico necessario all'espletamento della rappresentanza giudiziaria, indipendentemente dal ruolo di dominus svolto dall'uno rispetto all'altro nell'esecuzione concreta del mandato» (Cass. 6494/1987; Cass. 24010/2004; Cass. 26060/2013; Cass. 27466/2019).
La procura alle liti e il contratto di patrocinio
Per completezza espositiva, si ricorda che la procura alle liti gode di una propria autonomia rispetto al rapporto di patrocinio (Cass. 14276/2017):
- la procura è un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio;
- il mandato sostanziale (cosiddetto contratto di patrocinio), invece, «[...]costituisce un negozio bilaterale con il quale il professionista viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte. Ne consegue che, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem, essendo questa necessaria solo per lo svolgimento dell'attività processuale […]» (Cass. 10454/2002; Cass. 18450/2014; Cass. 13927/2015).
Secondo la “regola” dell'autonomia (Cass. 20865/2019):
- il rilascio della procura non prova l’esistenza di un sottostante rapporto di patrocinio,
- il rilascio della procura sottende il rapporto di patrocinio, solo qualora si dimostri che le parti intendevano concludere anche il contratto di cui sopra.
Conclusioni
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte conferma la propria giurisprudenza in materia di conferimento dell’incarico e pagamento del compenso nel contratto di prestazione d’opera. Secondo i giudici di legittimità, nella ricostruzione operata dall’avvocato – dominus, difetta la prova che il cliente abbia direttamente richiesto la prestazione dell’opera difensiva al domiciliatario. Solo in tal guisa, l’assistito si obbliga, in qualità di soggetto del mandato di diritto sostanziale, alla corresponsione del relativo compenso. Quindi:
«il rapporto di prestazione d'opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l'avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso. Ciò comporta che il cliente del professionista non è necessariamente colui nel cui interesse viene eseguita la prestazione d'opera intellettuale, ma colui che, stipulando il relativo contratto, ha conferito incarico al professionista ed è conseguentemente tenuto al pagamento del corrispettivo».
Infine, preme ricordare che l’art. 43 del Codice deontologico forense (art. 30 del precedente codice deontologico) dispone che: «l'avvocato che incarichi direttamente altro collega di esercitare le funzioni di rappresentanza o assistenza deve provvedere a compensarlo, ove non adempia il cliente. La violazione del dovere di cui al precedente comma comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della censura». Sul punto si è espresso anche il Consiglio Nazionale Forense (sent. 24.09.2015 n. 151), il quale, nel confermare la propria consolidata giurisprudenza, ha ribadito che spetti al dominus corrispondere il compenso al domiciliatario, qualora non vi adempia l'assistito, pena la censura.
CASSAZIONE CIVILE, ORDINANZA N. 7037/2020 >> SCARICA IL TESTO PDF
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