Responsabilità civile

Cure rinviate di due giorni: nessun danno alla salute

E' superfluo indagare sulla condotta – colposa o meno – della struttura sanitaria, se il danno è insussistente (Cassazione, ordinanza n. 24514/2019)

Il brevissimo rinvio delle cure del malato non integra un danno risarcibile, ma costituisce un mero fastidio. Pertanto, onde evitare un inutile dispendio di tempo, il giudice ha facoltà di pretermettere la disamina di alcune questioni (come l’accertamento della colpa del sanitario), considerandole assorbite in altre (come l’assenza di un danno meritevole di risarcimento). Si tratta dell’applicazione del principio della ragione più liquida.

Così ha deciso la Corte di Cassazione, sez. VI-3 civile, con l’ordinanza del 1° ottobre 2019 n. 24514 (testo in calce), ribadendo il proprio consolidato orientamento in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, secondo cui è risarcibile solo qualora sia superato il livello di tollerabilità e il pregiudizio non sia futile. Infatti, ogni persona, inserita in un contesto sociale, deve accettare pregiudizi connotati da futilità, in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (Cass. S.U. 26973/2008).

Sommario

La vicenda

Un uomo si recava in ospedale per sottoporsi ad un ciclo di chemioterapia, il personale sanitario gli comunicava l’impossibilità di procedere, stante la mancanza di un infermiere di sesso maschile (per l’inserimento del catetere). Il malato, irritato per il rifiuto delle cure, si rivolgeva alle forze dell’ordine grazie alle quali, tornato in ospedale, gli veniva fissato un nuovo appuntamento, a due giorni di distanza dal primo. L’uomo conveniva in giudizio l’Azienda sanitaria locale (ASL), chiedendone la condanna al risarcimento per il danno patito a seguito dei fatti sopra descritti. In primo e in secondo grado, la richiesta attorea veniva rigettata, considerando quanto patito dall’uomo un mero fastidio, insuscettibile di generare un diritto al risarcimento del danno. Si giunge così in Cassazione.

Insussistenza del danno risarcibile

Il malato si duole della ricostruzione operata dal giudice di prime cure. Invero, il giudicante non aveva approfondito la sussistenza di una condotta colposa dell’ASL, ma aveva adottato la soluzione della questione più liquida. In altre parole, era superfluo indagare sulla colpa dell’ospedale, atteso che il danno non era sussistente. Il principio della ragione più liquida è un principio di economia processuale, a mente del quale la domanda può essere respinta sulla base della soluzione di una questione assorbente, pur se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre secondo l’ordine previsto dall’art. 276 c.p.c. (Cass. S.U. 26242/2014; Cass. 2872/2017; Trib. Reggio Emilia 1327/2017); in buona sostanza, si tralascia l’analisi delle questioni logicamente preordinate, ma non dirimenti. Nella fattispecie che ci occupa, non avrebbe avuto senso indagare sulla colpa dell’ASL, in quanto, anche se acclarata, non vi sarebbe stato risarcimento, atteso che non si è dimostrato il danno. Pertanto, onde evitare un inutile dispendio di tempo, il giudice ha facoltà di tralasciare la disamina di alcune questioni (come l’accertamento della colpa), considerandole assorbite in altre (come l’assenza di un danno meritevole di risarcimento).

Il danno risarcibile e il mero fastidio

Il giudice di primo grado aveva considerato quanto patito dal paziente come un mero fastidio, non elevato a rango di danno. Del resto, il rinvio della prestazione sanitaria di due soli giorni, nel caso di specie, non era tale da integrare un pregiudizio. L’insegnamento della Suprema Corte (Cass. S.U. 26972/2008 e Cass. S.U. 26973/2008), in relazione al danno non patrimoniale, è nel senso della non risarcibilità delle minimae iniuriae, ossia delle ansie, dei disappunti, delle insoddisfazioni concernenti gli aspetti più disparati della vita quotidiana, che ciascuno conduce nel contesto sociale. Il mero danno da disappunto, sia esso del singolo (ad esempio, il brevissimo rinvio della terapia, come nella fattispecie esaminata) o condiviso (si pensi ai passeggeri di un treno fermo per un guasto), non merita tutela. Solo la lesione di un diritto costituzionalmente tutelato, come quello alla salute, è risarcibile, purché il nocumento sia grave e serio. Infatti, l'offesa arrecata è priva di gravità, se il diritto non viene inciso oltre una soglia minima. Nel caso oggetto di scrutinio, la riprogrammazione della terapia a 48 ore di distanza, in considerazione delle globali condizioni del malato, non ha prodotto alcun pregiudizio all’uomo, se non l’irritazione per il disguido.

Onere della prova

Il ricorrente sostiene che il rapporto tra paziente e struttura sanitaria sia di natura contrattuale. Ciò posto, spetta all’ASL l’onere di dimostrare la propria assenza di colpa. Per contro, il giudice del gravame ha ritenuto insussistente la colpa senza nessuna allegazione in tal senso. Secondo la Cassazione, è pur vero che, nell’ambito della responsabilità per inadempimento, grava sulla struttura l’onere di fornire la “prova positiva” dell’avvenuto adempimento o dell’esatto dell’adempimento, in virtù del criterio della maggiore vicinanza della prova; tuttavia, non essendoci un danno risarcibile, è superfluo discutere sulla sussistenza di una condotta colposa in capo al personale sanitario.

Valutazione delle prove

Il ricorrente lamenta, altresì, la violazione dell’art. 116 c.p.c., si tratta della norma relativa alla valutazione delle prove, rimessa al prudente apprezzamento del giudice. Ebbene, secondo la Cassazione, la violazione dell'art. 116 c.p.c. può dirsi sussistente solo quando il giudice di merito:

  • attribuisca pubblica fede ad una prova che ne sia priva,
  • valuti secondo prudente apprezzamento una prova a valutazione vincolata, come l'atto pubblico (Cass.11892/2016; Cass. S.U.16598/2016).

Invece, non costituisce violazione dell'art. 116 c.p.c.:

  • la valutazione delle prove in un senso piuttosto che in un altro,
  • l'omessa valutazione di alcune fonti di prova.

Al più, potrebbe parlarsi di un error in iudicando, ma solo in concorso con le altre condizioni stabilite dalle Sezioni Unite (Cass. 8053/2014) e potrebbe al massimo integrare gli estremi del vizio di omesso esame d'un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5), quando le prove non esaminate dimostrano quel fatto, conseguentemente trascurato.

Conclusioni

La pronuncia in commento segue l’ormai consolidato orientamento della Corte di Cassazione, in tema di risarcibilità del danno non patrimoniale. Il diritto di cui si lamenta la lesione deve essere inciso oltre una determinata soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza. «Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.)» (Cass. S.U. 26973/2008).

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