Cannabis Sativa L, la Cassazione fa il punto sulle condotte di detenzione e cessione
Con la sentenza in commento, la Corte di cassazione si sofferma sulla questione della liceità delle condotte di detenzione e cessione di Cannabis sativa L (o Canapa) dopo l’entrata in vigore della L. 242/2016 che ha reso possibile, in assenza di autorizzazioni e nel rispetto di specifiche prescrizioni, la coltivazione di questa tipologia di Cannabis, sottraendola all’applicazione del testo unico in materia di stupefacenti (d.P.R. 309/1990).
Nello specifico, la normativa in parola consente all’agricoltore la coltivazione delle 62 varietà di cannabis sativa L incluse nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002.
Da questa coltivazione, a mente dell’art. 2 L. 242/2016, possono essere ottenuti alimenti e cosmetici prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori; semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico; materiale destinato alla pratica del sovescio; materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia; materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati; coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati; coltivazioni destinate al florovivaismo.
È richiesto che il principio attivo (THC) rinvenibile nelle piante di canapa coltivate si collochi in un range tra lo 0,2% e lo 0,6%, in tal modo restando esclusi sia la possibilità, in capo agli organi accertatori, di sequestrare le piante, sia ogni profilo di responsabilità in capo all’agricoltore che abbia rispettato tutte le altre prescrizioni previste dalla medesima legge. Qualora il THC dovesse superare lo 0,6%, le piante diventano sequestrabili e distruttibili ma è esclusa la responsabilità dell’agricoltore nei medesimi termini di cui sopra.
Nel nuovo scenario allestito dalla normativa poc’anzi citata nei suoi tratti essenziali, si è posta la questione se la condotta di chi commercializzi o comunque ceda le infiorescenze della cannabis sativa L (note come marijuana) o la resina che dalle stesse si ottiene (anche nota come hashish), nonché la condotta di chi le acquisti o comunque le detenga per finalità di cessione, possa dirsi lecita ai sensi della succitata normativa in quanto derivati di una attività di coltivazione che sembra di fatto sdoganata dalla legge del 2016, o al contrario integri reato in conformità al testo unico in tema di sostanze stupefacenti.
Sul punto, la Corte di legittimità interviene con la pronuncia in commento, tracciando delle chiare coordinate.

Spiega il Collegio che i margini di liceità della coltivazione di cannabis sativa L sono nitidamente segnati dall’art. 2 comma 2 della Legge 242/2016, che indica gli specifici scopi cui può essere improntata l’attività agricola ora considerata lecita dall’ordinamento, tra i quali non ricorre la commercializzazione e la detenzione della marijuana e dell’hashish. Le argomentazioni spese dalla Corte paiono di matrice oggettivo-teleologica, in quanto si reggono sulla previa individuazione dei macro-obiettivi perseguiti dalla legge 242/2016, delle attività di coltivazione autorizzate e dei prodotti da esse ricavabili, opera ermeneutica di delimitazione dell’alveo di liceità che porta dunque ad escludere condotte, quali quelle di detenzione e cessione di marijuana e hashish, le quali sono al contrario imperniate su uno scopo ricreativo che non costituisce principio informatore della disciplina in parola.
Ne consegue che la vendita delle infiorescenze (marijuana) di cannabis sativa L e della resina che dalle stesse viene ottenuta (hashish) e la loro detenzione al fine di cessione continuano a configurare il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. 309/1990, sempre che nelle stesse sia rinvenibile un principio attivo in grado di indurre un effetto drogante rilevabile, non ostando alla punibilità il fatto che esse costituiscano derivati di un’attività di coltivazione astrattamente lecita in base alla novella del 2016.
La pronuncia in parola si colloca nel filone giurisprudenziale suffragato dalla precedente sentenza Cass., sez. VI, 10 ottobre 2018, n. 52003, con la quale il Giudice della nomofilachia ha statuito in merito alle doglianze di un ricorrente che, avendo subito il sequestro di cannabis con principio attivo superiore alla soglia-limite dello 0,6% (scatole, bustine ed ampolle contenenti numerose confezioni di infiorescenze), rivendicava il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 4 commi 5 e 7, poiché suscettibile – dal suo punto di vista – di estendersi a tutti i soggetti della filiera impegnati nelle attività di acquisto e rivendita del prodotto finale.
Dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, la Corte argomentava nel senso che «La pretesa del ricorrente per la quale tale esenzione di responsabilità si estenderebbe a tutta la filiera di coloro che acquistano e rivendono al minuto le sostanze con principio attivo superiore al 6°/o non è supportata da alcun dato di fatto testuale e si contrappone contenutisticamente ad una normativa di favore che, al di là della denominazione della legge in questione ("Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa) è espressamente ed esclusivamente riferita, come si è detto, al solo agricoltore». In questo modo, rimarcando la riferibilità soggettiva della esimente al solo coltivatore, la pronunzia ora richiamata esclude che la legge 242/2016 si applichi al commerciante ed al detentore dei derivati della coltivazione.
Allo stato, tuttavia, il panorama giurisprudenziale non appare univoco, sussistendo pronunzie di segno contrario (si veda DE ROBBIO-DAVID-BULGARINI NOMI, La vendita di cannabis light diventa lecita? Contrasto interpretativo in Corte di Cassazione, in www.giustiziainsieme.it), che paiono ritenere la condotta di cessione di derivati della canapa lecita quando il THC sia contenuto entro il limite dello 0,6%.
(Altalex, 15 gennaio 2019. Nota di Filippo Lombardi)