Lavoro e previdenza sociale

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: la Cassazione fa il punto sui criteri di scelta legali

Cassazione civile, sez. lavoro, sentenza 06/12/2018 n° 31652

La recente sentenza della Corte di cassazione, Sezione Lavoro n. 31652 del 6 dicembre 2018, coglie l’occasione per confermare un principio ormai consolidatosi in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e dei suoi presupposti di legittimità.

Nell’accogliere il ricorso formulato da un lavoratore avverso le due sentenze di merito che ne avevano, di contro, dichiarato la soccombenza, la Suprema Sezione ricorda come, in punto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’esigenza di riduzione di personale legata a ragioni inerenti l’attività produttiva può legittimamente fondare il recesso datoriale se sorretto dalla comprovata impossibilità di reimpiegare aliunde il lavoratore, che a sua volta sia stato individuato tra più lavoratori occupati in posizione di piena fungibilità, e dalla corretta applicazione dei principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., che devono in generale guidare ogni comportamento delle parti di un rapporto obbligatorio.

Principi che in concreto, secondo l’orientamento di legittimità ormai pacifico, si traducono nell’applicazione, nella scelta del lavoratore da licenziare, dei criteri di scelta di cui all’art. 5 Legge n. 223/1991, ed in particolare dei criteri dei carichi di famigli e dell’anzianità, nonostante la diversità dei rispettivi regime, “per costituire i criteri di scelta ivi indicati uno standard particolarmente idoneo a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale.”, a cui possono, e devono, aggiungersi criteri diversi, più aderenti alla fattispecie concreta, purchè non arbitrari ed basati su razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati.

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Sul presupposto pacifico, ed accertato, dell’essere la mansioni del ricorrente omogenee e fungibili con quelle di altri dipendenti, la Corte osserva che, constata l’esistenza di una ragione organizzativa aziendale di soppressione di un posto di lavoro, la Corte territoriale adita avrebbe dovuto verificare il rispetto da parte datoriale dei principi di correttezza e buona fede e dei parametri di cui all’art. 5 Legge n. 223/1991 nell’individuazione del lavoratore da licenziare.

Essa, all'opposto, ha completamente trascurato tale passaggio e, trattando la questione come attinente al solo obbligo di repechage, ha confuso i due piani, non considerando che “L’obbligo di repechage, anch’esso presupposto di legittimità del recesso, attiene alla possibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, laddove il ricorso ai criteri di correttezza e buona fede si impone al datore di lavoro nella fase di individuazione del lavoratore da licenziare, tra più dipendenti svolgenti mansioni fungibili.”

Posto che, come più volte osservato dalla stessa Corte di legittimità, correttezza e buona fede costituiscono modalità proprie e condizioni intrinseche di validità di esercizio del diritti, la cui prova, nel caso di recesso datoriale, spetta al datore di lavoro secondo il dettato dell’art. 5 Legge n. 604/1966, “la dimostrazione del “giustificato motivo” di licenziamento non può limitarsi alla esistenza delle esigenze obiettive di cui all’art. 3 delle legge citata, ma deve riguardare anche il nesso di conseguenzialità necessaria tra tali esigenze e la risoluzione del singolo rapporto di lavoro riguardante un particolare dipendente (….). In altre parole deve riguardare anche le ragioni della scelta del singolo lavoratore licenziato”.

Non essendosi attenuta ai richiamati principi, la Corte Suprema investita ha cassato la sentenza d’appello impugnata, con rinvio a diversa Corte territoriale ed invito a quest’ultima ad uniformarsi ai principi annunciati.

(Altalex, 22 gennaio 2019. Nota di Maria Spataro)

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