Responsabilità civile

Finanziamento: costo della polizza abbinata rileva ai fini dell’usura

Cassazione civile, sez. I, ordinanza 16/04/2018 n° 9298

Le polizze assicurative abbinate a mutui e finanziamenti di banche e altri intermediari (c.d. PPI, ossia Payment Protection Insurance) costituiscono nel nostro Paese un fenomeno sempre più frequente a sostegno della garanzia del credito.

Si tratta di un tema che ha un movente ed una matrice tipicamente di derivazione anglosassone; la pratica di vendere in maniera combinata (tie-in) servizi assicurativi e finanziari è nata e si è sviluppata, in effetti, nei sistemi di common law.

La finalità delle polizze c.d. credit protection, oltre ad essere quella di tutelare e garantire il debitore in presenza di episodi che possano condizionare la sua capacità di rimborso o ridurre il valore della garanzia prestata, consiste vieppiù nel fornire una salvaguardia “indiretta” al soggetto erogante.

Gli eventi “sfavorevoli” che hanno la capacità di nuocere al cliente possono essere dei più disparati e afferire tanto a circostanze inerenti al soggetto (morte, infortunio, invalidità, perdita d’impiego) quanto al bene oggetto di garanzia (incendio, scoppio, fulmine, altri eventi rovinosi). Le c.d. polizze “scoppio – incendio”, ad onor del vero, sono già diffuse da tempo nel nostro ordinamento e abbinate tradizionalmente soprattutto ai contratti di mutuo ipotecario. La L. 175 del 1991 (norma abrogata a seguito dell’entrata in vigore del Testo Unico Bancario), con riferimento al credito fondiario, rispetto ad alcune forme assicurative (ad es. incendio) ne sanciva persino l’obbligatorietà. La novità autentica dunque va colta in quelle tipologie di polizza che coinvolgono direttamente  la persona del debitore.

Le polizze connesse ai finanziamenti possono essere stipulate in forma individuale o collettiva. Nel primo caso, il contraente è il singolo debitore tenuto a rimborsare il finanziamento; nelle collettive, il contraente è l’istituto di credito che eroga il prestito, il quale a monte registra apposite convenzioni con le imprese di assicurazione, a cui il debitore/assicurato generalmente si associa sottoscrivendo un modulo di adesione. Pertanto, fra i due archetipi muta la figura del contraente, l’assicurato continua ad essere in entrambi i casi il debitore. Inoltre le polizze collettive, assai più diffuse nel panorama delle PPI, divergono sensibilmente da quelle individuali soprattutto con riferimento alla documentazione che deve essere messa a disposizione del cliente antecedentemente alla conclusione del contratto.

Oltre che per la forma giuridica, le polizze si differenziano, come già accennato, anche in relazione alla tipologia: alle classiche polizze “incendio e scoppio” di cui si discorreva innanzi, che generalmente comportano la corresponsione di un premio abbastanza contenuto e che possono essere stipulate a “valore intero” (integrale copertura del bene assicurato) o a “primo rischio” (indennizzo del danno subito), si accostano le polizze vita (TCM), invalidità, infortuni e le polizze per perdita di impiego. In relazione a quest’ultimo gruppo, particolare attenzione è necessario porre ai seguenti aspetti: la facoltà di recesso, la cui disciplina deve essere adeguatamente tipizzata in contratto, le eventuali limitazioni della copertura (il decesso per suicidio in presenza di polizze vita, l’esclusione dell’indennizzo per alcune patologie nelle polizze infortuni o il caso delle dimissioni con riferimento alle polizze per perdita impiego) e i differimenti dell’avvio della copertura medesima (c.d. periodo di carenza).

Il quadro normativo è piuttosto frastagliato. La disciplina regolamentare e le fonti di rango primario si intersecano vicendevolmente. Nell’ottica di esperire un tentativo di sistematizzazione della materia, si evidenzia che un primo gruppo di norme sono dedicate al possibile conflitto di interessi della banca, che assai spesso si trova nel contempo a ricoprire il ruolo di intermediario della polizza e di beneficiario della copertura assicurativa. Sul punto il provvedimento ISVAP 2496 del 2011 ha introdotto l’art. 48 comma 1-bis nel Regolamento IVASS n. 5/2006, il quale vieta alla Banca di assumere, direttamente o indirettamente, la simultanea qualifica di beneficiario delle prestazioni assicurative e quella di intermediario del contratto assicurativo in forma individuale o collettiva. Per di più, il codice del consumo, art. 21 comma 3-bis[1], considera scorretta la pratica commerciale dell’intermediario che, ai fini della stipula di un contratto di mutuo, obbliga il cliente alla sottoscrizione di una polizza assicurativa erogata dal medesimo intermediario. In taluni casi, nonostante la natura “formalmente” facoltativa, la polizza assume carattere essenzialmente vincolato; ciò si verifica quando il cliente “viene silentemente indotto all’adesione alla polizza che costituisce di fatto il necessario viatico per l’accesso al mutuo”[2].

Indagini di mercato ISVAP[3] hanno evidenziato l’applicazione da parte degli intermediari di aliquote provvisionali mediamente molto alte (fra il 44% ed il 79% degli oneri complessivi relativi alla polizza, nel periodo preso in esame). In altre parole, la provvigione spettante alla banca risulterebbe essere sovente costituita dalla quasi totalità del premio pagato dal contraente, toccando percentuali assai maggiori rispetto alle provvigioni relative a analoghi prodotti distribuiti per mezzo di canali differenti, tanto più se si considera che non di rado l’intermediario e la compagnia assicurativa fanno parte del medesimo gruppo societario. Inoltre, nella stragrande maggioranza dei casi, l’importo totale del premio viene effettuato con un unico versamento, contribuendo ad aumentare in qualche modo il credito complessivo concesso, nonché di conseguenza i relativi interessi previsti nel piano di ammortamento.

A tutela della posizione “debole” del cliente/debitore è stata emanata la L. 27 del 2012 (di conversione del D.L. n. 1 del 2012) che, all’art. 28, imponeva, alle banche che condizionavano l’erogazione del mutuo immobiliare o del credito al consumo alla stipula di una polizza vita, l’obbligo di sottoporre al cliente almeno due preventivi di due differenti gruppi assicurativi loro non riconducibili. La norma prevedeva altresì che il cliente potesse scegliere polizze diverse sul mercato. Tale disposizione è stata parzialmente novellata dalla L. 124 del 2017. L’articolo riformato attribuisce adesso una maggiore facoltà di scelta al cliente, cestinando l’onere per l’Istituto erogatore di sottoporre i suddetti preventivi e contestualmente prevedendo l’obbligo di accettare la polizza scelta dal cliente, senza però modificare le condizioni contrattuali del finanziamento. Tale impostazione favorisce, come anticipato, la libertà e l’autonomia contrattuale del cliente e allo stesso tempo mira a garantire il principio della libera concorrenza nel settore. La citata disposizione, nella formulazione attuale, prevede inoltre, nel caso di sottoscrizione di una polizza presentata dalla banca in abbinamento ad un finanziamento, il riconoscimento del diritto di recesso al cliente entro 60 giorni dalla stipula. E’ interessante evidenziare che in caso di recesso dalla polizza resta valido ed efficace il contratto di finanziamento sottostante, e, qualora l’esistenza di una polizza a supporto permanga comunque elemento necessario, viene conferita la possibilità al cliente di presentarne altra in sostituzione autonomamente reperita e stipulata, recante i contenuti minimi[4] corrispondenti a quelli richiesti dall’Autorità regolatrice. La L. 124 del 2017 ha infine introdotto il comma 3-bis all’articolo 28 L. 27/2012, che prescrive puntuali obblighi informativi a favore del cliente: gli istituti di credito e gli intermediari finanziari sono tenuti ad informare il richiedente del finanziamento in merito alla provvigione percepita e all’ammontare della provvigione loro corrisposta dalla compagnia assicurativa.

Di particolare interesse la lettera al mercato IVASS- Banca D’Italia del 26.08.2015[5], la quale mette in luce una serie di criticità emerse nell’offerta di polizze vendute in abbinamento a finanziamenti. Già attraverso la diffusione di un precedente documento (lettera al mercato del 17.12.2013) l’IVASS aveva esortato le reti distributive a valutare adeguatamente l’impianto contrattuale sottoposto alla clientela. La comunicazione congiunta del 2015 tocca diversi nervi scoperti, sorti in qualche modo “sul campo”, ovvero attraverso accertamenti ispettivi presso compagnie di assicurazione o aziende di credito.

Il documento, oltre ad approfondire la spinosa questione dei prodotti assicurativi con “garanzie rotanti” (pacchetti multi rischio), nei quali il complesso delle garanzie (evidentemente plurime: decesso, invalidità, perdita di impiego) opera per l’appunto a rotazione in ragione delle condizioni soggettive dell’assicurato, si sofferma soprattutto sulla c.d. dichiarazione di buono stato di salute.

Sul punto, le due Autorità, sulla scorta dei numerosi reclami pervenuti, segnalano che piuttosto di frequente le compagnie rifiutano di liquidare gli indennizzi in ragione dell’asserita reticenza ex tunc del cliente in merito a malattie pregresse. E difatti attraverso l’accettazione di una dichiarazione, alquanto generica, sullo stato di salute, ovvero di questionari sanitari precompilati, gli intermediari tendono a traslare la verifica sui profili di assicurabilità del rischio dalla sede contrattuale al momento del sinistro (sollevando pertanto eccezioni all’adempimento della prestazione soltanto nel momento in cui sopravviene l’evento, invece di provvedere in tal senso prima di concludere il contratto e riscuotere il relativo premio).

In ultimo, la lettera IVASS-Banca D’Italia, rileva opportunamente la “scarsa qualità del servizio offerto in fase di distribuzione, che non appare coerente con il livello delle provvigioni riconosciute alla rete di vendita” nonchè “i processi distributivi eccessivamente standardizzati che non sempre includono valutazioni di adeguatezza”. All’uopo gli Organi amministrativi (coinvolgendo gli Organi di controllo) delle imprese di assicurazioni vengono esortati ad adottare policies che tengano conto delle anzidette criticità, “favorendo soluzioni improntate nella sostanza ai principi di correttezza e trasparenza nei rapporti con gli assicurati ex art. 183 del Codice delle assicurazioni private”.

Last but not least, è d’obbligo richiamare il contenuto dell’art. 22 comma da 15-quater a 15 – sexies del D.L. 179 del 2012, convertito dall’art. 1 della L. 221 del 2012. In caso di corresponsione di premio unico, la norma dispone l’obbligo, in capo alle compagnie, di rimborsare all’assicurato[6] i ratei di premio non goduti (salva la possibilità di trattenere le spese iniziali effettivamente sostenute e previste contrattualmente) a seguito dell’estinzione anticipata del finanziamento a cui la polizza è abbinata (per quanto ovvio, il medesimo diritto spetta analogamente all’assicurato che richiede la portabilità). Resta ferma la possibilità da parte del cliente di richiedere la continuazione della copertura assicurativa fino alla scadenza contrattuale a favore del nuovo eventuale beneficiario designato. Tale impostazione si fonda sul collegamento negoziale tra contratto di finanziamento e contratto di assicurazione. In merito l’IVASS, con comunicazione del 3 aprile 2017, ha evidenziato la necessità di provvedere al rimborso del premio pagato e non goduto anche nei casi di estinzione anticipata parziale.

Pur se in astratto l’obbligo ricade in capo alle imprese di assicurazione, le eventuali richieste di rimborso possono essere formulate, stante l’orientamento consolidato dell’Arbitro bancario Finanziario[7], direttamente nei confronti del finanziatore, anche in virtù di quanto previsto nell’accordo ABI-ANIA del 2008.

Le polizze assicurative a protezione del credito costituiscono indubbiamente una spesa aggiuntiva per il soggetto finanziato. Il Testo Unico Bancario, relativamente al credito al consumo ed al credito immobiliare (artt. 121 e 120-quinquies), stabilisce che i costi relativi ai servizi accessori connessi con il contratto di credito (compresi i premi assicurativi), qualora cosituiscano conditio sine qua non per l’ottenimento del credito, devono essere inclusi nel costo totale.

Pertanto nulla quaestio nell’ipotesi in cui la stipula della polizza sia obbligatoria. Tuttavia, la mera qualificazione in contratto come facoltativa non è sufficiente a escluderne il computo nel TAEG. Tale impostazione è stata avvalorata dal Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario[8], che considera connessa la polizza assicurativa al contratto di finanziamento alla presenza congiunta di alcuni indici presuntivi: la polizza deve avere chiara funzione di copertura del credito, il collegamento fra polizza e finanziamento deve presentare una connessione genetica e funzionale, il capitale o l’indennizzo devono essere parametrati al debito residuo di cui beneficiario è il solo cliente. Il Collegio fornisce inoltre  criteri di merito, in tema di onere della prova, ai quali l’intermediario si può affidare al fine di superare tale presunzione di interdipendenza.

La tematica del costo complessivo del credito nelle polizze connesse ai finanziamenti si intreccia al profilo dell’usurarietà dei tassi applicati. L’Arbitro bancario Finanziario a più riprese ha evidenziato che il tasso di interesse applicato deve essere calcolato considerando anche gli oneri assicurativi associati al finanziamento[9], talvolta cristallizzando meramente il principio, in altri casi, constatato nella fattispecie il superamento del tasso soglia a seguito di nuovo conteggio, tacciando di nullità la clausola determinativa degli interessi (evidentemente sovra soglia).

L’orientamento è stato recentemente ripreso e puntualizzato, nonchè ottimamente argomentato da parte della Corte di Cassazione[10]. Il Giudice di legittimità ha espressamente confermato[11] che il costo della polizza assicurativa accessoria al finanziamento rientra nel concetto di “spesa” indicato dall’art. 644 c.p. ai fini della determinazione del tasso usurario, derivandone la nullità del contratto in caso di superamento. Partendo dal presupposto che la polizza viene sostanzialmente imposta dall’intermediario, assumendo quindi la natura obbligatoria, richiesta al solo fine di pervenire alla stipulazione del contratto principale e con addebito del relativo costo al cliente, i Supremi Giudici, nel calcolare il tasso di interesse applicato,  prendono in considerazione dunque ogni costo associato al credito.

Chiave di volta del decisum è da individuare nella normativa di rango primario; l’art. 1815 c.c. e l’art. 644 c.p., come ridisegnati dalla L. 108/1996, stabiliscono che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.

In sostanza il tema verte sulla vexata quaestio relativa a quali voci debbano essere considerate nel calcolare il tasso di interesse applicato, al fine di determinarne o meno l’usurarietà. L’inciso “...a qualunque titolo..” tenderebbe a supportare dunque,  in maniera plausibile, l’interpretazione onnicomprensiva del concetto di interessi. Né sono valse ad alcunché le doglianze di parte ricorrente nel caso di specie, la quale richiamava a mò di esimente le Istruzioni di Vigilanza vigenti all’epoca dei fatti, che non includevano le spese di polizza fra le voci di costo ai fini della determinazione del tasso effettivo globale medio (TEGM). Il Giudice deve accertare, a parere della Corte, il costo complessivo ed effettivo del finanziamento (TEG) nella singola operazione creditizia sulla base di quanto indicato dall’art. 644 c.p., non essendo del tutto congruo dunque il riferimento al TEGM, indice di costi aggregati eterogeno, rispondente peraltro a funzione (riproduzione dell’andamento dei tassi medi di mercato) e fonte giuridica (normativa di rango secondario) di diversa portata.

Anche il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro bancario è tornato ad esprimersi sulla questione con una recentissima pronuncia[12] attraverso la quale, oltre a mutuare l’orientamento espresso dagli Ermellini, sviluppa un ragionamento condivisibile in merito alle ripercussioni sanzionatorie. Nei motivi della decisione si legge infatti che “oltre all’usura pecuniaria è disciplinata l’usura reale per cui può aversi usura non solo in caso di interessi eccessivi ma anche nell’ipotesi di vantaggi diversi”, con la conseguenza che la clausola  incriminata verrebbe affetta da nullità come previsto dal secondo comma dell’art. 1815 c.c. (ipotesi di nullità parziale ex art. 1419, secondo comma c.c; in sostanza viene colpita la singola clausola considerata iniqua senza travolgere l’intero contratto in omaggio al principio del favor debitoris). Ciò al fine di evitare, stante la inscindibile relazione fra la disposizione civilistica e la norma penale, il rischio di una facile elusione di quest’ultima da parte degli intermediari, attraverso l’abbassamento degli interessi da un lato con contestuale attribuzione di maggiore consistenza di altri oneri dall’altro. In definitiva il Collegio conclude sancendo che “una volta verificato il superamento del tasso soglia rilevante ai fini dell’usura genetica …. restano colpiti non solo gli interessi propriamente intesi, ma tutti gli oneri e le spese inclusi nel calcolo del TEG, compresi i premi assicurativi, escluse imposte e tasse, che, pertanto, debbono essere restituiti al mutuatario”. ”. La pronuncia peraltro richiama espressamente, a supporto della tesi negazionista in tema di usura sopravvenuta,  la L. 24 del 2001 – Interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura –  che all’art. 1 recita:  “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.

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(Altalex, 16 ottobre 2018. Nota di Fernando Viti)
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[1] Il comma 3-bis dell’art 21 del D.Lgs. 206/2005 (Codice del consumo) è stato introdotto dall’art. 36-bis del D.L. 201 del 2011, convertito dalla L. 214 del 2011.

[2] ABF Roma, n. 2291 del 2014.

[3] Cfr. esiti consultazione ISVAP in merito al provvedimento n. 2496 del 2011

[4] Sui contenuti minimi della polizza di cui all’art. 28 comma 2 L. 27/2012, cfr. Regolamento ISVAP n. 40 del 2012

[5] Lettera IVASS- Banca D’Italia - Prot. N. 0106596/15 del 26.08.2015 – polizze abbinate a finanziamenti. Misure a tutela dei clienti

[6] Obbligo di rimborso a cui viene richiesto di adempiere da parte delle compagnie assicurative in via autonoma anche senza attendere apposita istanza del cliente (cfr. sul punto raccomandazione contenuta in Lettera IVASS - Banca D’Italia del 26.08.2015, di cui alla nota precedente)

[7] Cfr. ABF Roma n. 4147 del 2012

[8] ABF, Coll. Coord., n. 10621 del 2017

[9] Cfr. ABF Roma n. 569 del 2017, ABF Napoli 11186 del 2016, ABF Roma 1438 del 2015.

[10] Cassazione civile, Sez. I, ordinanza n.9298 del 16 aprile 2018

[11] Cfr. sul punto anche Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 8806 del 5 aprile 2017

[12] ABF, Coll. Coord. n. 12830 del 2018.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Ordinanza 1° febbraio - 16 aprile 2018, n. 9298

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda - Presidente -

Dott. ACIERNO Maria - Consigliere -

Dott. TRICOMI Laura - Consigliere -

Dott. IOFRIDA Giulia - Consigliere -

Dott. FRAULINI Paolo - est. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25379/2014 R.G. proposto da:

COMPASS S.P.A., rappresentata e difesa dagli avv. Giorgio De Nova, Francesco Cantoni, Francesca Cella e Alfredo Irti, con domicilio eletto presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via A. Vesalio n. 22, giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

M.G., rappresentato e difeso dall'avv. Massimiliano Farinelli, con domicilio eletto in Roma, largo U. Bartolomei n. 5, presso lo studio dell'avv. Giuseppe Flammia, giusta procura in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Corte d'appello di Milano n. 1070/14 depositata il 14 marzo 2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 1 febbraio 2018 dal Consigliere Dott. Paolo Fraulini.

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza n. 19/11 con cui il Tribunale di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, aveva dichiarato la nullità del tasso di interesse applicato al contratto di finanziamento n. (OMISSIS) sottoscritto tra le parti in data 30 ottobre 2010.

2. Il giudice di appello ha affermato che il costo della polizza assicurativa accessoria al finanziamento rientrava nel concetto di spesa indicato dall'art. 644 c.p., ai fini della determinazione del tasso usurario e che pertanto correttamente era stato conteggiato dal Tribunale, a nulla valendo la circostanza che la polizza fosse stata contratta per autonoma scelta del debitore finanziato; ne derivava la nullità del contratto per superamento del c.d. tasso-soglia.

3. Per la cassazione di tale sentenza Compass S.p.A. ricorre con quattro motivi, resistiti da M.G. con controricorso.

4. Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Alberto Cardino, ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

5. Le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., comma 1. 

Motivi della decisione

1. Il ricorso lamenta:

1.1. Primo motivo: "Violazione e falsa applicazione dell'art. 1815 c.c., comma 2, art. 644 c.p., L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, commi 1 e 4, vizio rilevante ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3" deducendo l'erroneità della sentenza nella parte in cui avrebbe omesso di rilevare che le spese della polizza assicurativa del credito erano espressamente escluse dalle istruzioni della Banca d'Italia all'epoca vigenti ai fini della determinazione del tasso effettivo globale medio, a nulla rilevando le modifiche della normativa secondaria intervenute in epoca successiva alla stipula del contratto di finanziamento.

1.2. Secondo motivo: "Violazione e falsa applicazione della L. n. 108 del 1996, art. 2, commi 1 e 4 e dell'art. 644 c.p., erronea e illogica applicazione dei criteri per il calcolo del TEG, vizio rilevante ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3" deducendo l'erroneità della sentenza impugnata laddove, dopo aver disapplicato la normativa secondaria di riferimento, avrebbe incongruamente aggiunto di propria iniziativa le spese della polizza facoltativa nei parametri di determinazione del tasso effettivo globale del finanziamento.

1.3. Terzo motivo: "Violazione e falsa applicazione della L. n. 108 del 1996, art. 2, commi 1 e 4 e dell'art. 644 c.p., erronea applicazione dei criteri per il calcolo del TEG, vizio rilevante ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3" deducendo l'erroneità della sentenza impugnata laddove non avrebbe considerato che all'epoca della conclusione del contratto le spese di assicurazione facoltative erano espressamente escluse dal computo del tasso effettivo globale del finanziamento, a prescindere se contestuali o meno a esso.

1.4. Quarto motivo: "Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, vizio rilevante ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5" deducendo l'erroneità della sentenza impugnata laddove non avrebbe rilevato che la polizza assicurativa era facoltativa e, come tale, doveva essere esclusa dal computo del tasso effettivo globale, del tutto a prescindere dalla sua contestualità al finanziamento.

2. Il controricorrente ha argomentato e chiesto la reiezione del ricorso, siccome inammissibile e comunque infondato.

3. Il ricorso va respinto.

4. Il primo motivo è infondato. La Corte di appello ha accertato in fatto (pag. 4, terzo capoverso) che il contratto di assicurazione accessorio a quello di finanziamento per cui è causa è stato stipulato dal M. "al fine di tutelare l'istituto finanziario per il rischio di insolvenza del soggetto finanziato". Questa affermazione, in alcun modo contestata dalla ricorrente, consente di affermare che la polizza assicurativa non era affatto nell'interesse dell'assicurato, bensì della finanziatrice, posto che essa era la beneficiaria della prestazione economica per l'ipotesi di avveramento dell'alea contrattuale. Ne consegue che, quand'anche volesse accedersi alla tesi della ricorrente che dà rilevanza alle istruzioni secondarie dei soggetti rilevatori del tasso d'usura poi trasfuse nel decreto ministeriale determinativo del relativo importo, non per questo potrebbe ritenersi che il costo della polizza sia da escludere dal computo del tasso di usura, in quanto sostanzialmente imposto dalla società finanziaria per garantirsi dal rischio di incapacità patrimoniale sopravvenuta della persona fisica del finanziato.

5. Per gli stessi motivi va respinto il secondo motivo, posto che esso si fonda sul presupposto che la polizza sia facoltativa; circostanza invece non solo assertivamente affermata, ma come detto anche smentita dalla motivazione sul punto resa dalla sentenza che, accertando l'esclusivo interesse del finanziatore, ha escluso che si tratti di una garanzia accessoria del tutto autonoma rispetto al contratto di finanziamento, unica condizione per sottrarne il relativo costo dal computo del tasso di usura anche alla luce delle istruzioni pela sua determinazione all'epoca vigenti, e ne ha sostanzialmente affermato la natura obbligatoria e la imposizione del relativo costo al cliente al fine di pervenire alla stipulazione del contratto principale.

6. Il terzo motivo va respinto per le stesse ragioni illustrate a proposito del rigetto del secondo motivo di ricorso, posto che anch'esso si basa sull'erroneo presupposto che nel caso di specie le spese di assicurazione siano facoltative e non invece imposte dal finanziatore.

7. Il quarto motivo è inammissibile poichè, nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non allega l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e discusso tra le parti, ma contesta in realtà la sufficienza della motivazione resa dalla Corte distrettuale, fornendo una diversa ermeneusi della vicenda, operazione non più consentita dopo la novellazione del citato articolo.

8. La soccombenza regola le spese. 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.


Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2018.

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