Il diritto di accesso dopo la legge 15/2005

Articolo, 03/05/2005

IL DIRITTO DI ACCESSO DOPO LA LEGGE n. 15/2005

Dott. Aldo Ceniccola

Sommario 1. Premessa - 2. Oggetto del diritto di accesso - 3. I titolari del diritto di accesso - 4. I soggetti obbligati a consentire l’accesso - 5. I limiti al diritto di accesso - 5.1. In particolare: l’accesso negli atti tributari - 6. Il procedimento per l’accesso ai documenti - 7. La tutela giurisdizionale - 7.1. In particolare: il problema dell’accesso in pendenza del ricorso - 7.2. Segue A) La tutela in sede civile - 7.3. Segue B) La tutela in sede penale - 8. Natura giuridica del diritto di accesso - 9. Le autorità poste a presidio del diritto di accesso: A) la commissione per l’accesso; B) il difensore civico - 10. Rapporti tra diritto di accesso e tutela della riservatezza



1. PREMESSA

La legge 11.2.2005 n. 15, innovando profondamente la legge generale sul procedimento amministrativo (n. 241/1990), ha dettato una disciplina più organica e completa in materia di accesso ai documenti, disciplinato dal capo V agli artt. 22 e seg.

L’art. 22 come novellato dalla legge n. 15/2005 alla lett. a) del comma 1 si preoccupa, a differenza della normativa precedente, di definire il diritto di accesso, inteso come il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia dei documenti amministrativi.

Il diritto di accesso in questione è il c.d. accesso conoscitivo (o informativo) e va distinto dal c.d. accesso partecipativo disciplinato dal precedente art. 10 della legge 241/90.i

Il fondamento giuridico del diritto di accesso (conoscitivo) va individuato nel principio di trasparenza dell’attività amministrativaii e più a monte negli artt. 97 e 98 Cost. ove si enuncia il principio di buon andamento dei pubblici uffici (parte della dottrina ha invece collegato il diritto di accesso al diritto di informazione, garantito dall’art. 21 Cost.).

La stessa legge n. 15/2005 contiene in proposito un’importante enunciazione di principio, laddove innovando l’art. 22 della legge n. 241/90, prevede che l’accesso ai documenti, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce un principio generale dell’attività amministrativa, finalizzato a favorire la partecipazione dei privati e ad assicurare l’imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa. Poiché il diritto di accesso, prosegue la norma, attiene ai “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, il relativo fondamento può essere rinvenuto anche nell’art. 117 co. 2 lett. m) della Costituzione, espressamente richiamato dal nuovo art. 22.


2. OGGETTO DEL DIRITTO DI ACCESSO

L’oggetto del diritto di accesso è costituito dai documenti amministrativi definiti, dalla lett. d) dell’art. 22 (come novellato dalla legge n. 15/2005), come ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti relativi ad un determinato procedimento detenuti dalla P.A.

La norma ha risolto espressamente ed in maniera positiva il problema se oggetto del diritto di accesso possano essere anche gli atti interni, cioè quegli atti endoprocedimentali che non hanno effetto immediato verso il privato ma costituiscono gli antecedenti del provvedimento finale (es. pareri tecnici e nulla osta).

La norma ha risolto anche l’ulteriore problema se il diritto di accesso possa riguardare gli atti di diritto privato emessi dalla P.A.: secondo la nuova disciplina, che sul punto ha recepito le decisioni della giurisprudenza più recenteiii, ciò che conta, ai fini del diritto di accesso, non è la natura pubblica o privata dell’attività posta in essere, bensì il fatto che l’attività di diritto privato, posta in essere dalla P.A. miri alla tutela del pubblico interesse e sia soggetta al canone di imparzialità (a queste condizioni qualsiasi atto deve essere assoggettato al diritto di accesso del privato).


3. I TITOLARI DEL DIRITTO DI ACCESSO

Il nuovo art. 22 come novellato dalla legge n. 15/2005, dopo aver puntualizzato (lett. a) che il diritto di accesso è il diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi, alla lettera b), individuando l’area dei soggetti interessati, ossia dei possibili titolari del diritto di accesso, afferma che l’interesse deve essere diretto, concreto, attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.

In particolare, l’interesse dev’essere:

  • attuale, non con riferimento all’interesse ad agire in giudizio per la tutela della posizione sostanziale vantata, bensì alla richiesta di accesso ai documenti;

  • diretto, ossia personale, cioè deve appartenere alla sfera dell’interessato (e non ad altri soggetti, come ad es. alle associazioni sindacali che spesso pretendono di agire facendo valere diritti dei singoli);

  • concreto, con riferimento alla necessità di un collegamento tra il soggetto ed un bene della vita coinvolto dall’atto o documento; non basta, ad esempio, il generico interesse alla trasparenza amministrativa, occorrendo un ‘quid pluris’, consistente nel collegamento tra il soggetto ed un concreto bene della vita;

Secondo la dottrina prevalente, già consolidatasi sotto l’impero del vecchio testo, l’interesse deve inoltre essere:

  • serio, ossia meritevole e non emulativo (cioè fatto valere allo scopo di recare molestia o nocumento),

  • adeguatamente motivato, con riferimento alle ragioni che vanno esposte nella domanda di accesso.


L’interesse all’accesso deve presentare, infine, un ulteriore requisito imprescindibile, ossia deve corrispondere ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.

Va in proposito rilevato che l’accesso è strumentale alla tutela di posizioni qualificate per le quali, già prima della legge n. 15/2005, si discuteva se dovessero avere la consistenza di diritto soggettivo, interesse legittimo o altro.

La legge n. 15/2005, nel richiedere espressamente che l’interesse corrisponda ad una situazione giuridicamente tutelata dall’ordinamento, non ha fatto altro che avallare i risultati ai quali era pervenuta la giurisprudenza più recente. Quest’ultima da un lato esclude il diritto di accesso per i titolari degli interessi di fatto ma dall’altro va oltre la sfera dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi, purchè venga in rilievo una posizione tutelata dall’ordinamento, quale ad esempio, le aspettative di diritto, ma anche posizioni di interesse procedimentale (si pensi alla si­tuazione del legittimato a determinare l’apertura di un procedi­mento amministrativo ad istanza di parte, nella fase anteriore alla presentazione della domanda), nonché di interessi allo stato dif­fuso sia pure a certe condizioni.


Altro problema che si è posto ed è stato espressamente affrontato dalla legge n. 15/2005 ha riguardato le associazioni e comitati portatori di interessi diffusi.

La legge 15/2005 all’art. 1 lett. b) ha espressamente esteso la qualifica di “interessati” (potenziali titolari del diritto di accesso) ai soggetti privati “portatori di interessi diffusi”.

La giurisprudenza formatasi prima dell’intervento della nuova legge, al cospetto di istanze di ac­cesso di enti esponenziali di interessi diffusi, si è limitata a verificare la sussistenza di un nesso pertinenziale tra l’oggetto dell'accesso ed i fini sta­tutari dell’ente, anche considerando il tasso di rappresentatività dello stesso.

Viceversa non ha consentito l’accesso quando riguarda elementi informativi estranei alla sfera giuridica dell’associazione o quando il fine statutario dell’ente è il generico interesse al controllo della trasparenza e legittimità dell’azione amministrativa, circostanza ritenuta insufficiente a giustificare il diritto di accesso; ciò risulta d’altronde confermato espressamente dalla legge n. 15/2005 che al nuovo art. 24 ha disposto che “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”.iv

Va tuttavia precisato che in materia ambientale il d. lgs. n.. 39/97 ha previsto una dilatazione sia del novero dei soggetti legittimati all’accesso sia dei documenti ostensibili; per quanto riguarda i soggetti, è stato previsto che legittimato alla richiesta è “chiunque, senza che occorra dimostrare il proprio interesse”; per quanto riguarda l’oggetto, viene adottata una nozione allargata rispetto all’originario dettato della legge n. 241/90, perché ricomprende “qualsiasi informazione in materia ambientale”.


4. I SOGGETTI OBBLIGATI A CONSENTIRE L’ACCESSO

Il nuovo testo dell'art. 23, come introdotto dal comma 2 del­l'art. 4 1. 265/1999, e non modificato dalla legge n. 15/2005, definisce in modo diverso e più onnicom­prensivo l'ambito dei soggetti nei cui confronti è esercitabile il di­ritto di accesso ai documenti. Ora, infatti, tale diritto è esercita­bile nei confronti di:

  • tutte le pubbliche amministrazioni (non più solo statali);

  • nei confronti delle aziende autonome e speciali (in tal modo ricomprendendo espressamente le aziende previste dal­l'art. 22 1. 142/1990);

  • degli enti pubblici e dei gestori di pubblici servizi.

L'elencazione di cui all'art. 23, nuovo testo, si chiude con la specifica menzione del diritto di accesso nei confronti delle Au­torità di garanzia e di vigilanza (cd. "autorità indipendenti"), che si esercita "nell'ambito dei rispettivi ordinamenti secondo quanto previsto dall'art. 24.


Il problema più importante si è posto per i privati gestori di pubblici servizi.

Fondamentali sul punto sono le due decisioni dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato (nn. 4 e 5 del 1999), la quale ha rile­vato che ciò che conta ai fini dell’operatività del diritto di accesso non è la natura pubblica o privata dell’attività posta in essere, bensì il fatto che l’attività, ancorchè di diritto privato:

  • miri alla tutela di un pubblico interesse

  • e sia soggetta al canone di imparzialità.

In tal modo l’Ad. Plenaria ha distinto tra attività privatistica della PA ed attività dei privati concessionari di pubblici servizi.

Per quanto concerne l’attività privatistica della PA, è stato ritenuto che il diritto di accesso operi in ogni caso, perché tutta l’attività della PA è sempre ispirata ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento.

Per quanto concerne l’attività dei concessionari, la giurisprudenza ha distinto tra i vari momenti nei quali si esplica:

  • nei procedimenti per la formazione delle determinazioni contrattuali, quali ad esempio la scelta del contraente, il dovere di imparzialità è ‘in re ipsa’ e l’accesso va garantito;

  • analogamente per quanto concerne le scelte organizzative adottate in sede di gestione del servizio (scelte dirette ad offrire un servizio avente certi standards qualitativi), ove pure il dovere di imparzialità opera: anche qui l’accesso va garantito;

  • per quanto concerne le cc.dd. attività residuali del concessionario, ossia le attività diverse dalla gestione del servizio, la giurisprudenza afferma che occorre operare un giudizio di bilanciamento degli interessi cui la stessa è preordinata, per cui se prevale l’interesse pubblico su quello puramente imprenditoriale, il diritto di accesso deve operare (in tal caso la valutazione comparativa deve tener conto di alcuni parametri, quali il grado di strumentalità dell’attività rispetto all’attività di gestione del servizio; il regime sostanziale dell’attività; l’adozione da parte del gestore di regole dirette a garantire il rispetto dei principi di imparzialità, trasparenza, buona fede e correttezza).

All'opposto deve trovare applicazione integralmente il diritto privato quando il soggetto, pur avendo natura pubblica, formal­mente o sostanzialmente (proprietà pubblica di una società), non gestisce servizi pubblici e svolge un'attività co­munque estranea alla sfera della rilevanza collettiva degli inte­ressi. In tal caso il privato dovrà avvalersi degli ordinari strumenti previsti dal c.p.c. (art. 210 ordine di esibizione di atti alla parte o al terzo).

La legge n. 15/2005, come si è detto, non è espressamente intervenuta sul punto (anzi il disposto dell’art. 23 è rimasto invariato), ma si è indirettamente occupata del problema a livello definitorio, laddove il nuovo testo dell’art. 22 alla lett. e) ha statuito che per pubblica amministrazione deve intendersi qualunque soggetto di diritto pubblico o di diritto privato “limitatamente” all’attività di pubblico interesse, confermando in tal modo le soluzioni interpretative sopra esposte e formulate dalla giurisprudenza più recente.

5. I LIMITI AL DIRITTO DI ACCESSO

L’art. 24 è stato fortemente innovato dalla legge n. 15/2005 che, dettagliando e specificando in maniera più esaustiva la normativa precedente, ha previsto vari livelli di limitazioni al diritto di accesso.


Un primo livello di limiti è previsto dalla stessa legge stessa.

L’art. 24 al primo comma esclude il di­ritto per tutti i documenti coperti dal segreto di Stato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge o dal regolamento governativo di attuazione.

A tali materie, per le quali già il vecchio art. 24 prevedeva l’esclusione del diritto di accesso, la legge n. 15/2005 ha aggiunto nuove materie, onde l’accesso è stato ulteriormente escluso:

  • nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano;

  • nei confronti delle attività della PA dirette all’emanazione di atti normativi, atti amministrativi generali, di programmazione e pianificazione, che restano soggette alla loro disciplina particolare;

  • nei procedimenti selettivi, quando vengono in rilievo documenti contenenti informazioni di natura psico-attitudinale relativi a terzi.

Quando vengono in rilievo queste materie, le singole amministrazioni (Ministeri ed altri enti) debbono individuare, con uno o più regolamenti, le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro di­sponibilità sottratti all'accesso per le esigenze di salvaguardia de­gli interessi indicati nel comma 1.


Fuori da queste ipotesi (quelle cioè indicate dal nuovo art. 24 co. 1), il nuovo comma 6 dell’art. 24 enuncia la regola di principio secondo cui il diritto di accesso può essere escluso per l'esigenza di salvaguardare:

  1. la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali;

  2. la politica monetaria e valutaria;

  3. l'ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità;

  4. la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, giuridiche, gruppi, imprese ed associazioni con particolare riferimento agli interessi di natura epistolare, sanitaria, finanziaria, industriale e commerciale;

  5. l’attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti interni connessi all’espletamento del relativo mandato.

In tali casi, la disciplina concreta è rimessa ad un regolamento delegato al Governo, emanato nella forma del d.P.R. ai sensi del secondo comma dell' art. 17 1. 400/ 1988 (cd. delegificazione della materia), al quale è demandato di disciplinare non solo le modalità di esercizio del diritto ma so­prattutto i casi di esclusione nel rispetto dei principi e criteri di­rettivi dettati dalla legge (cd. di delega).


La legge attribuisce però alla PA anche uno specifico potere discrezionale, che le fonti secon­darie possono disciplinare più dettagliatamente: il potere di diffe­rire l'accesso ai documenti richiesti, ossia di negare l’accesso solo per un periodo di tempo determinato (il nuovo comma 4 disciplina il potere di differimento più genericamente di quanto facesse in passato il vecchio comma 6 che condizionava l’esercizio del potere di differimento alle ipotesi in cui la conoscenza del documento poteva impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell'azione am­ministrativa).

Non vi è dubbio che, anche alla luce della nuova disciplina, i regolamenti possono prevedere ipotesi specifiche di differimento, fissandone la durata (in tal caso non si configurerebbe un potere discrezionale in capo alla PA. procedente).

E’ poi previsto che la P.A. non può negare l’accesso ai documenti nelle ipotesi in cui sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento (art. 24 co. 4 come modificato dalla legge n. 15/2005).


5.1. In particolare: l’accesso negli atti tributari

Prima dell’intervento della legge n. 15/2005, la giurisprudenza aveva risolto in senso affermativo il problema della compatibilità della normativa sul diritto di accesso con il settore tributario.

La tesi positiva era stata da ultimo sostenuta dalle sezioni unite della Cassazione con la sentenza del 28.5.1998 n. 5292v.

La riforma della legge sul procedimento amministrativo (n. 15/2005), nel riscrivere i casi di esclusione del diritto di accesso -prevedendo una serie di limitazioni all’esercizio di tale diritto in relazione ad esigenze di segreto o di riservatezza concernenti determinati procedimento amministrativi, poste sia nell’interesse pubblico che nell’interesse di terzi- dispone espressamente, come già rilevato in precedenza, l’esclusione dell’accesso nei procedimenti tributari, affermano che per questi ultimi “restano ferme le particolari norme che li regolano” (art. 24 co. 1 lett. b).

Tale espressione ricalca quella dell’art. 13 co. 2 della legge 241/90 a mente del quale le disposizioni concernenti la partecipazione al procedimento amministrativo non si applicano ai procedimenti tributari per i quali “restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano”.vi

La riforma ha espressamente risolto, quindi, in senso, negativo il problema dell’ammissibilità del diritto di accesso nei procedimenti tributari, pervenendo a conclusioni opposte a quelle sostenute dalla giurisprudenza prevalente.

La ratio di tale esclusione è da ricercare nella peculiarità dell’attività svolta dagli uffici tributari e nella conseguente impossibilità logico-giuridica di un’estensione a tali procedimenti della disciplina dettata in materia di partecipazione della legge n. 241/90 per la generalità dei procedimenti. In particolare, l’inapplicabilità deriva dalla struttura del procedimento tributario, in cui esiste un solo soggetto interessato, ossia il soggetto d’imposta, e di conseguenza non è neppure astrattamente configurabile la partecipazione di terzi.

In conclusione, sia il diritto di accesso sia la partecipazione al procedimento seguono, nei procedimenti tributari, le particolari norme che li regolano.

Il riferimento attiene in particolare alla legge 27.7.2000 n. 212 (c.d. statuto del contribuente), che, nell’intento di perseguire, tra l’altro, finalità analoghe alla legge 241, ha introdotto alcuni principi generali improntati alla collaborazione e alla buona fede reciproca tra fisco e contribuente, derogabili solo espressamente a mezzo di legge ordinariavii.

Nel delimitare l'ambito soggettivo, l'art. 1 stabilisce che la legge si applica non solo all'amministrazione finanziaria, ma anche ai soggetti che rivestono la qualifica di concessionari nonché agli enti locali, che devono, entro sei mesi, adeguare gli statuti e gli atti normativi ai principi generali della nuova legge. I

Alcune disposizioni (art. 2, 5 e 10) sono rivolte al legislatore e sono finaliz­zate a rendere conoscibile la legge tributaria mediante la previsione di obblighi concernenti la collocazione delle disposizioni tributarie solo all'interno di testi legislativi di tale natura nonché la riproduzione nel testo delle disposizioni richiamate.

Negli art. 3 e 4 si prescrive: che la introduzione di nuovi tributi non può avvenire a mezzo decreto legge; che solo le norme interpretative possono avere effica­cia retroattiva; che sono improrogabili i termini di prescrizione e decadenza.

Gli art. 6 e 7 riproducono specificatamente alcuni principi contenuti nella 1. n. 241.

Si tratta di disposizioni rivolte all'amministrazione finanziaria, che, in caso di incertezza sul contenuto della dichiarazione dei redditi, deve invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari e ad esibire i documenti, a pena di nullità dell’i­scrizione a ruolo. Inoltre, si ribadisce l'obbligo di motivazione in fatto e diritto dei provvedimenti e di allegazione degli atti richiamati in caso di motivazione per re­lationem.

Completano il quadro delle garanzie introdotte, ex art., 8, 9, 12 e 13, l'espressa previsione della compensazione tra debiti e crediti; la potestà del Ministro di con­cedere sospensioni e differimenti dei termini di adempimento; le prescrizioni che devono essere osservate nelle verifiche ed ispezioni fiscali (possono essere dis­poste solo in caso di effettive esigenze di indagine e previa comunicazione delle ragioni giustificatrici); la nomina in ogni Regione di cui un garante del contri­buente, da nominare con le modalità di cui all' art. 13, che ne stabilisce anche i compiti e le funzioni.

Una novità assoluta è l'istituto dell'interpello, che si pone in deroga al prin­cipio della irrilevanza dei pareri espressi dalla p.a. sull’interpretazione della leg­ge; in caso di obiettiva incertezza interpretativa di una norma tributaria, il contri­buente può interpellare l'amministrazione proponendo un' ipotesi di soluzione; la risposta dell'amministrazione ha effetto vincolante rispetto al caso specifico men­tre la mancata risposta nel termine di 120 giorni assume il significato di un si­lenzio assenso alla proposta del contribuente.


6. IL PROCEDIMENTO PER L’ACCESSO AI DOCUMENTI

Poiché è riconosciuto agli interessati un "diritto" all'ac­cesso, il relativo procedimento è evidentemente ad istanza dell'in­teressato.

Le modalità di esercizio del diritto di accesso sono di­sciplinate dai commi 1-4 dell'art. 25 L. 241/90 e dagli art. 3-7 d.P.R. 352/1992.


La richiesta - L’interessato, per esaminare o estrarre co­pia di documenti, deve formulare una richiesta, formale o informale, ma sempre "motivata", sicché sarebbe legittimo negare l'ac­cesso nel caso di istanze generiche, defatigatorie, del tutto estra­nee alla sfera giuridica del richiedente


La competenza - La richiesta deve essere presentata all'ufficio dell'amministra­zione, centrale o periferico, competente a formare l'atto conclu­sivo del procedimento o a detenere stabilmente il relativo docu­mento, ma non rileva l'eventuale errore nella presentazione es­sendovi l'obbligo dell'ufficio ricevente di trasmettere la richiesta a quello competente, come pure il richiedente deve essere invitato a riparare all'irregolarità o incompletezza della richiesta, che non può, quindi, essere respinta senz'altro per questa ragione.


L’avvio del procedimento - Si discute se sia applicabile l'art. 7 della legge 241/90 che impone di dare comunica­zione dell'avvio del procedimento. La soluzione negativa appare preferibile perché la legge regolamenta il particolare procedimento per l'accesso in ogni sua parte e non richiama l’art. 7; la legge, inoltre, privilegia il rapido svolgimento della procedura di accesso e tale finalità appare inconciliabile con l’obbligo di dare avviso dell’inizio del procedimento.


Il responsabile - Il d.P.R. 352/92 (art. 4, co. 7) provvede direttamente ad individuare il responsabile del procedimento nel dirigente, o altro dipendente da questi designato, dell'unità organizzativa competente a for­mare o detenere l'atto conclusivo di un procedimento, e ciò an­che in caso di accesso ad atti infraprocedimentali.


La decisione - Entro trenta giorni dalla richiesta, la P.A. deve esprimere le sue determinazioni:

  • se accoglie la richiesta indica le modalità e fissa il ter­mine (non inferiore a quindici giorni) per prendere visione dei documenti o ottenerne copia (l'accoglimento si estende di regola anche agli altri documenti richiamati e appartenenti allo stesso procedimento ); il diritto all' accesso può anche essere realizzato mediante la pubblicazione degli atti nella Gazzetta Ufficiale o secondo le mo­dalità previste dai singoli ordinamenti, comprese le forme di pub­blicità attuabili mediante strumenti informatici, elettronici e tele­matici;

  • se rifiuta l'accesso, totalmente o parzialmente, o lo dif­ferisce, il responsabile del procedimento deve motivare il provve­dimento con riferimento specifico alla normativa vigente, alle ca­tegorie di atti per i quali è stato escluso l'accesso dai regolamenti delle singole amministrazioni e alle circostanze di fatto che rendono non accoglibile la richiesta così come proposta (art. 25 co. 3 non modificato dalla legge n. 15/2005);


La motivazione - Soltanto il provvedimento in tutto o in parte negativo del­l'amministrazione deve essere motivato, il che significa che la motivazione di quello di accoglimento è fornita dalla do­manda dell'interessato e dalla normativa concernente l'accesso; peraltro, i contenuti dell'obbligo di motivazione sono chiaramente indicativi dell'inesistenza di veri e propri poteri discrezio­nale in materia (eccettuato il potere di differimento).


Il silenzio - Trascorsi trenta giorni dalla richiesta senza che l'amministra­zione si sia pronunciata, "questa si intende respinta" (ipotesi di silenzio rigetto), con la conseguenza che l'interessato può attivare il rimedio giurisdizionale del ricorso al Tar (senza bisogno di alcun atto di diffida e messa in mora dell' amministrazione).


7. LA TUTELA GIURISDIZIONALE

Ai sensi dell’art. 25 co. 5, contro le determinazioni della P.A. (di rigetto; di accoglimento nei casi di ricorso da parte dei controinteressati all'accesso; circa la pronunzia sulle spese a carico del richiedente; nei casi di inerzia alla scadenza del trentesimo giorno), l'interessato può proporre (entro trenta giorni) ricorso al GA.

Il GA -uditi i difensori delle parti che ne facciano richiesta o le parti personalmente- de­cide in camera di consiglio, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso.


La legge n. 15/2005 inserendo nell’art. 25 il comma 5 bis e recependo quanto già in precedenza affermato in via generale dall’art. 4 co. 3, 1. 205/2000 (norma poi abrogata dalla legge n. 15/2005), eliminando l’obbligo della difesa tecnica, ha stabilito che in questi giudizi si può agire perso­nalmente, senza l'assistenza del difensore; anche l'amministra­zione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente e possegga l’autorizzazione del rappresentante legale dell’ente.


In caso di accoglimento totale o parziale del ricorso, il giudice amministrativo ordina l'esibizione dei documenti richiesti (art. 25 comma 6).


Per l'appello, proponibile entro trenta giorni dalla notifica della decisione del TAR, al Con­siglio di Stato si osservano le stesse regole (art. 25 co. 5, ultima parte).


Si ritiene che il giudizio speciale, connotato da rito camerale di urgenza, sia incompatibile con la richiesta di misure cautelari (sospensione del procedimento di accesso, del rifiuto o dell'acco­glimento ).


Per quanto concerne la forma della decisione, la previsione di una "decisione" adottata in camera di consi­glio potrebbe legittimare anche la forma più agile dell'ordinanza, ma è certo comunque che si tratta di un procedimento speciale - al quale è estranea la natura propriamente cautelare - culmi­nante in una pronunzia che statuisce, con effetti di giudicato sostanziale, in ordine al diritto di accesso.


Nei giudizi concernenti il diritto di accesso una posizione particolare ricoprono i c.d. controinteressati, che vengono in rilievo quando la richiesta di documenti riguarda soggetti terziviii.

In tal caso la PA deve effettuare un’opera­zione di delicato bilanciamento tra due contrapposti interessi giuridici privati: il diritto all'informazione del richiedente e il di­ritto alla riservatezza del terzo (es. trattamenti sanitari, atti­vità professionali, finanziarie, industriali, commerciali).

Pertanto, laddove gli atti amministrativi relativi a tali materie vengano ri­chiesti da soggetti terzi, gli originari destinatari dei predetti atti ­i quali sarebbero legittimati ad impugnare il provvedimento di accoglimento della richiesta di accesso - assumono là posizione processuale di controinteressati nel giudizio instaurato ai sensi dell'art. 25 dal soggetto richiedente contro il di­niego di accesso.

Con riguardo, però, all' accesso ad atti di procedure concorsuali, è stato confer­mato il principio generale secondo il quale nella materia non sono rinvenibili soggetti controinteressati, dovendosi escludere l' esigenza di tutela della riservatezza.


7.1. In particolare: il problema dell’accesso in pendenza del ricorso amministrativo

Può avvenire che l’interesse a conoscere determinati atti della PA sorga nel contesto di un giudizio amministrativo innanzi al GA ove si domanda l’annullamento di un certo atto lesivo della posizione sostanziale di base vantata dal privato.

Si è posto pertanto il problema se, a seguito del rifiuto di accesso della PA, il privato possa ricorrere al GA ai sensi dell’art. 25 co. 5 e all’esito continuare il ricorso principale.

Il problema è stato successivamente affrontato e risolto dapprima con l’art. 1 della legge 205/2000 (che ha modificato l’art. 1 della legge 1034/1971) e da ultimo dalla legge n. 15/2005 (che ha inserito un nuovo periodo all’interno del comma 5 dell’art. 25) che ha stabilito che in pendenza di un ricorso, l’impugnativa di cui all’art. 25 co. 5 può essere proposta mediante istanza al Presidente del tribunale e depositata presso la segreteria della sezione cui il ricorso è assegnato, previa notifica alla PA ed ai controinteressati; la decisione viene presa in camera di consiglio attraverso un’ordinanza istruttoria.

Di conseguenza:

  • il legislatore ha ammesso la spendibilità del diritto di accesso in pendenza di un ricorso;

  • la norma prevede un sistema semplificato e facoltativo nel senso che, a fronte del diniego della PA che rifiuta il documento, il privato può:

    • ovvero iniziare il procedimento ordinario di cui all’art. 25 co. 5 della legge 241.

    • dare luogo al giudizio semplificato con istanza al presidente del tribunale: in tal caso il giudice, per decidere sulla richiesta di accesso, prescinderà, secondo la tesi prevalente, dalla sussistenza dei presupposti di cui alla legge 241 e deciderà semplicemente valutando se la documentazione richiesta è pertinente al giudizio principale (il giudice si limita cioè a verificare se il documento serve per consentire l’esercizio del diritto di difesa nel processo principale).


7.2. Segue: A) La tutela in sede civile

Consiste nella possibilità di ottenere dal giudice civile il risarcimento del danno subito a seguito dell’illegittimo diniego del diritto di accesso.

In ordine alla natura giuridica della responsabilità della P.A., nonostante una corrente minoritaria la abbia qualificata come contrattuale, partendo dall’assunto che la richiesta di accesso, instaurando una sorta di contatto sociale tra il privato e la P.A., obbligherebbe quest’ultima ad apprestare i mezzi idonei a soddisfare la richiesta (alla stregua di una prestazione di tipo contrattuale), la tesi prevalente è nel senso che trattasi di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., nel senso che, pur se venisse qualificato come interesse legittimo, l’accesso costituirebbe un bene della vita la cui lesione integra il danno ingiusto di cui alla norma richiamataix.

Il problema che si è posto concerne la prova del pregiudizio subito dal privato a seguito dell’illegittimo diniego di accesso opposto dalla P.A.

Secondo la dottrina prevalente la soluzione dipenderebbe dalla situazione sostanziale cui l’accesso è preordinato:

  • se l’accesso mira all’esercizio di un diritto soggettivo preesistente, il pregiudizio consiste nelle difficoltà incontrate nell’esercizio di quel diritto a causa del diniego dei documenti;

  • se, invece, il privato domanda l’accesso allo scopo di ottenere tutela di un interesse pretensivo (es. mira ad ottenere un’autorizzazione o concessione), occorre ulteriormente distinguere a seconda del tasso di discrezionalità riservato alla P.A.:

  1. se si tratta di meri accertamenti, al privato sarà sufficiente dimostrare che esistevano i presupposti di fatto per ottenere quell’effetto favorevole che il mancato accesso ha vanificato;

  2. se si tratta di attività ad alto tasso di discrezionalità, occorrerà effettuare un c.d. giudizio prognostico al fine di verificare se il bene della vita, cui la domanda di accesso era preordinata, spettava o meno al privato richiedentex.

Sotto il profilo della giurisdizione sulla domanda risarcitoria, entrambe le tesi sono state sostenute: quella secondo cui il privato potrebbe adire direttamente il G.O. al fine di ottenere il risarcimento del danno (in tal caso il giudice civile potrebbe conoscere in via incidentale dell’illegittimità del diniego dell’accesso); quella del c.d. doppio binario, secondo cui il privato dovrebbe adire prima il giudice amministrativo per ottenere l’annullamento del diniego illegittimo e poi adire il G.O. onde ottenere il risarcimento del dannoxi


7.3. Segue: B) La tutela in sede penale

Com’è noto l’art. 328 co. 2 c.p. prevede il reato di omissione di atti di ufficio, punendo il pubblico ufficiale che entro 30 giorni dalla richiesta non compie l’atto e non risponde delle ragioni del ritardo.

Il reato si configura anche a fronte di una richiesta di accesso avanzata dal privato: domandato l’accesso ad un documento da parte del privato, infatti, il pubblico ufficiale ha il dovere di rispondere entro trenta giorni o rilasciando l’atto richiesto ovvero negandolo motivatamente; nell’ipotesi di mancata risposta espressa nel termine previsto, ai sensi del comma 4 dell’art. 25 della legge n. 241/90, la richiesta “si intende respinta”; unitamente al meccanismo del silenzio rigetto, scatterà a carico del funzionario inadempiente anche la sanzione penale di cui all’art. 328 co. 2 c.p.

Parte della giurisprudenza il reato non sarebbe mai configurabile in materia di accesso: scattando infatti il meccanismo del silenzio rigetto, un provvedimento negativo sarebbe stato pur sempre emesso dalla P.A., onde scatterebbe la causa di giustificazione codificata dall’art. 51 c.p. costituendo un diritto, per la P.A., il potere di sostituire un provvedimento tacito a quello espressoxii.

E’ stato tuttavia giustamente replicato che il richiamo alla scriminante di cui all’art. 51 c.p. appare fuori luogo, giacchè il meccanismo del silenzio rigetto costituisce soltanto una ‘fictio iuris’ e non manifestazione di un diritto attribuito dalla P.A. (che anzi ha pur sempre il dovere di concludere il procedimento mediante provvedimento espresso ex art. 2 co. 2 l. n. 241/90)xiii.

La giurisprudenza prevalente, inoltre, non ha ritenuto di condividere nemmeno l’impostazione dottrinale secondo cui la consumazione del reato presupporrebbe che, a seguito della formazione del silenzio rigetto per effetto del decorso dei trenta giorni dall’istanza, l’interessato invii un ulteriore atto di diffidaxiv. La tesi, che sarebbe plausibile ove il termine per la conclusione del procedimento sia superiore a quello penale di trenta giorni, non appare esatta nel caso in cui il termine procedimentale e quello penale coincidano: in tal caso un atto sollecitatorio, volto a stigmatizzare un silenzio già intrinsecamente illecito, sarebbe sicuramente inutilexv.


8. NATURA GIURIDICA DEL DIRITTO DI ACCESSO

La tesi dominante è orientata nel senso che la pretesa all'accesso, conforme­mente alla qualificazione normativa, abbia la consistenza di un diritto soggettivo perfetto, affidato, pertanto, alla giurisdizione esclusiva del G.A., chiamato a dirimere una controversia avente ad oggetto diritti in conflitto e non l'esercizio di un potere dell'amministrazione


La qualificazione dell’accesso come diritto soggettivo comporta le seguenti conseguenza:

a) il decorso del termine di per proporre il ricorso contro il diniego dell’accesso non impedisce all’interessato di far valere il diritto di accesso nell’ordinario termine di prescrizione;

b) nel corso del giudizio dinanzi al GA deve ammettersi la possibilità della PA di addurre nuove ragioni che giustificano il diniego dell’accesso;

c) la mancata notificazione del ricorso ad almeno uno dei controinteressati non rende inammissibile in ricorso stesso, ma obbliga il giudice ad integrare il contraddittorio per assicurare la partecipazione dei litisconsorti a norma dell'art. 102 c.p.c.


Senonchè l’Ad. Plenaria del Consiglio di Stato (decisione n. 16/99) ha di recente sostenuto la tesi dell’interesse legittimo, sulla base delle seg. argomentazioni:

  • l’uso del termine ‘diritto’ per qualificare l’accesso non è significativo, poichè sia nella Costituzione sia nelle leggi ordinarie si parla spesso di "diritti" per designare ge­nericamente situazioni di vantaggio (es. diritto al lavoro, diritto di partecipare al procedimento, ecc.);

  • alla PA è affidato il compito di risolvere i concreti conflitti di interesse, mediante l'esercizio del potere di limitare o differire l'accesso che quindi assume la consistenza di interesse legittimo proprio perché sottoposto al potere della PA; contro le sue determina­zioni è accordato il rimedio giuri­sdizionale entro un termine di decadenza, secondo il modulo ti­pico del giudizio di impugnazione di atti di esercizio del potere;


Le conseguenze processuali sono naturalmente di segno op­posto rispetto a quelle scaturenti dalla configurazione della controversia come vertente sopra un diritto soggettivo: il termine di decadenza per ricorrere è perentorio, divenendo inoppugna­bile dopo la sua scadenza il provvedimento negativo (anche im­plicito) dell' amministrazione; il problema dei motivi aggiunti va risolto negativamente; la mancata notificazione del ricorso ad almeno uno dei controinteressati ne determina 1'inammissi­bilità.

Tale ultima tesi non è andata esente da critiche almeno sotto due profili:

  • in primo luogo genera qualche perplessità il tentativo di desumere la consistenza della posizione soggettiva del privato dal carattere impugnatorio del giudizio sulla base di un’equazione (modello impugnatorio=interesse legittimo) che subisce numerose deroghe e temperamenti;

  • in secondo luogo nella prospettiva dell'interesse legittimo, peraltro, si avrebbe un giudizio impugnatorio del tutto atipico, in quanto caratterizzato dal potere del giudice di assicurare diretta­mente la soddisfazione dell'interesse materiale del ricorrente (mediante 1'ordine di esibizione di determi­nati documenti, in totale o parziale accoglimento del ricorso).

La giurisprudenza successiva si è in parte discostata da tale pronunzia: cfr. ad es. C.d.S. n. 4092/2000 ove si afferma che l’accesso ai documenti si configura come un diritto soggettivo perfetto la cui cognizione è devoluta alla giur. esclusiva del G.A. secondo le regole di accertamento proprie dei diritti soggettivi.



9. LE AUTORITA’ POSTE A PRESIDIO DEL DIRITTO DI ACCESSO:


A) LA COMMISSIONE PER L’ACCESSO

L’art. 27 della 241 (norma novellata dalla legge n. 15/2005) ha istituito la "Commissione per l'accesso ai documenti ammini­strativi", cui sono state attribuite le funzioni di:

  • vigilare sulla piena attuazione del principio di piena conoscibilità degli atti amministrativi;

  • redigere una relazione annuale sulla trasparenza nell’attività della PA;

  • proporre al Governo modifiche delle leggi e dei regolamenti onde realizzare la più piena tutela del diritto di accesso.

Per quanto concerne la natura giuridica, il com­pito della Commissione non è tanto di perseguire interessi pubblici amministrativi, quanto di tutelare imparzialmente l'interesse dei cittadini da una posizione di indipendenza dal Governo e quindi dal relativo in­dirizzo politico, nell' esercizio di una funzione per più versi assi­milabile, dal punto di vista sostanziale, a quella giurisdizionale. La dottrina più recente ritiene quindi che trattasi di un’Autorità amministrativa indipendente.


B) IL DIFENSORE CIVICO

La figura è di origine scandinava (ombudsman) e non è previsto dalla Costituzione; sconosciuto al nostro ordinamento fino all'istituzione delle regioni, avendo poi queste provveduto alla sua istituzione e con­creta disciplina, basandosi o su specifiche disposizioni statutarie oppure richiamando l'art. 117 della Costituzione. Per i comuni e le province, invece, l'art. 8 della 1. 142/90 (sulle autonomie locali), ha consentito che gli statuti provinciali e comunali potessero prevederlo per svolgere il «ruolo di garante del­l'imparzialità e del buon andamento» dell'amministrazione, se­gnalando, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi dell' amministrazione nei confronti dei cit­tadini.

Ora l'istituto è specificamente previsto dall'art. 11 t.u.e.l., con l'indicazione dei compiti e demandando agli statuti di disci­plinare modalità di nomina e attribuzioni.

L’istituto è stato potenziato con l’art. 16 della l. 127/1997, che ha affidato ai difensori civici delle regioni e province autonome, a tutela dei cittadini re­sidenti nei comuni delle stesse regioni e province e fino all'istitu­zione del difensore civico nazionale, il compito di esercitare le funzioni di richiesta, proposta, sollecitazione e informazione an­che nei confronti delle amministrazioni periferiche dello Stato. È fatta eccezione per le amministrazioni competenti in materia di difesa, di sicurezza pubblica e di giustizia.

L'intervento del difensore civico può essere di ufficio o ad istanza di parte; può avvalersi della collaborazione dell'amministrazione interessata al suo intervento; deve essergli garantito un agevole accesso alla documentazione connessa all' oggetto del suo intervento.


Il nuovo comma 4 dell’art. 25 della legge 241/90 (come modificato dalla legge n. 15/2005), proseguendo sulla scia dell’art. 15 della legge 340/2000, ha previsto uno specifico compito del difensore civico nella tematica nell’accesso ai documentixvi.

In particolare l’interessato, a fronte del diniego di accesso della PA, ha la possibilità, entro il termine di trenta giorni, di chiedere al difensore civico competente il riesame della determinazione della PA; se il difensore civico reputa illegittimo il diniego lo comunica alla PA procedente.

A questo punto la PA ha il dovere di rispondere entro il termine di trenta giorni; entro questo termine la PA:

  • conferma motivatamente il precedente diniego e la partita si chiude qui;

  • oppure non conferma e concede espressamente l’accesso;

  • oppure non risponde ed allora dopo 30 giorni l’accesso si intende consentito (c.d. silenzio assenso legittimante).

Le conseguenze sono le seguenti:

    • il ricorso al difensore è alternativo al ricorso giurisdizionale per il quale l’interessato può comunque in ogni momento optare;

    • il difensore civico è privo di poteri decisori definitivi, ma stimola solo la PA a rivedere il proprio operato;

    • il ricorso al difensore è possibile solo da parte dell’interessato all’accesso e non da parte dei controinteressati.


10. RAPPORTI TRA DIRITTO DI ACCESSO E TUTELA DELLA RISERVATEZZA

Il tema di accesso si è prospettato il possibile conflitto di interessi tra la tutela accordata dall’ordinamento al relativo diritto e quella riconosciuta al diritto alla riservatezza, allorché la richiesta di accesso riguardi documenti contenenti notizie su soggetti estranei alla P.A. (individui o imprese) e vengano in rilievo notizie intime di terzi che, pur se conosciute dalla P.A., non dovrebbero essere accessibili ai terzi.

Partendo dall’esame della soluzione scelta dall’art. 24 della legge 241/90, la prevalenza del diritto di accesso era ancorata a due condizioni:

  1. l’accesso deve mirare alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti;

  2. il diritto di accesso deve inoltre limitarsi alla sola possibilità di prendere visione degli atti (restando escluso il rilascio di copia).

L’art. 8 del d.p.r. 352/92 ribadiva tale impostazione, aggiungendo che, fuori dai suddetti limiti, doveva prevalere il diritto alla riservatezza.

Il sopravvento della legge n. 675/1996, in tema di trattamento dei dati personali, innescò una serie di problemi:

    • l’art. 43 dispose che “restano ferme le norme vigenti in tema di accesso ai documenti”;

    • l’art. 22 sottopose il trattamento (e quindi la divulgazione) dei c.d. dati sensibili a speciali limitazioni, disponendo che il trattamento dei dati sensibili da parte degli enti pubblici è consentito solo nei casi stabiliti dalla legge che deve evidenziare le finalità di pubblico interesse”, le operazioni eseguibili nonché i dati trattabili;

    • infine l’art. 27 in base al quale la comunicazione e diffusione da soggetti pubblici a privati dei dati personali (non sensibili) è consentita nei casi previsti dalla legge o da regolamento.

La soluzione interpretativa proposta dal Consiglio di Stato con la decisione n. 59/99 prese il nome di doppio binario:

  • quanto ai dati comuni (ossia non sensibili), l’accesso deve ritenersi consentito solo per la tutela di interessi rilevanti ed è limitato alla presa visione del documento (cfr. art. 27 che rinvia ai casi previsti dalla legge, ossia all’art. 24 della legge 241/90);

  • quanto ai dati c.d. sensibili, l’art. 22 consente l’accesso solo se lo preveda una specifica disposizione di legge che evidenzi le finalità di pubblico interesse, le operazioni eseguibili ed i dati trattabili.


Il decreto legislativo n. 135/99 è tuttavia intervenuto a modificare l’impostazione della legge n. 675/99 circa il trattamento e l’accesso dei dati sensibili. In base al nuovo art. 22 co. 3 e 3 bis. della legge 675 (come modificati dal d. lgs. n. 135/99) il trattamento dei dati sensibili da parte della P.A. può avvenire nei seguenti casi ed attraverso le seguenti modalità:

  1. in caso di espressa previsione di legge che specifichi i dati trattabili, le operazioni eseguibili e le finalità di pubblico interesse ritenute prevalenti;

  2. in mancanza di legge e nelle more della sua adozione, la PA può domandare al Garante di individuare quali fra le attività debbono considerarsi di rilevante interesse pubblico e come tali consentire il trattamento dei dati sensibili;

  3. quando una legge determini le finalità di rilevante interesse pubblico ma non specifica il tipo di operazioni eseguibili o i dati trattabili, sarà la singola PA interessata al trattamento a compiere l’operazione integrativa, per poi passare a compiere il trattamento dei dati.

Ciò posto va rilevato, con specifico riferimento al diritto di accesso, che l’art. 16 del decreto in commento qualifica l’accesso (rectius: il trattamento mediante ostensione) quale attività di rilevante interesse pubblico, con la conseguenza che viene a cadere il primo limite al trattamento mediante ostensione dei dati sensibili essendovi una legge (appunto l’art. 16 cit.) che esprime le finalità di pubblico interesse sottese al diritto di accessoxvii.


Tale sistema appare confermato dal d. lgs. n. 196/2003 (nuovo codice della privacy) il cui art. 59 dispone che il diritto di accesso ai documenti contenenti dati personali o sensibili e le operazioni di trattamento eseguibili in conseguenza di una domanda di accesso restano disciplinati dalla legge n. 241/90 e dalle altre disposizioni in materia, riconfermando, inoltre, che le attività in oggetto (accesso e trattamento) si considerano di rilevante interesse pubblico.


Ulteriore problema si è posto, infine, per i dati c.d. supersensibili, ossia idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale dell’individuo.

L’art. 16 co. 2 del d. lgs. n. 135/99 ha stabilito che in tal caso il trattamento è consentito solo se il diritto contrapposto:

  • dev’essere difeso in un giudizio civile o amministrativo (se, cioè, il trattamento è funzionale alla difesa di un diritto in un giudizio);

  • è di rango almeno pari a quello (alla riservatezza) dell’interessato, in un’ottica di bilanciamento di interessi).

Tale impostazione è stata confermata e precisata dall’art. 60 del nuovo codice della privacy (196/2003) che:

  • estende la previsione (oltre che al trattamento) anche al diritto di accesso;

  • precisa che il diritto del controinteressato dev’essere o di pari rango, o consistere in un diritto della personalità ovvero in un altro diritto o libertà fondamentale ed inviolabilexviii.


La legge n. 15/2005 costitusce il punto di arrivo del lungo percorso evolutivo sopra esaminato.

L’art. 16, nel sostituire l’art. 24 della legge 241/90, dopo aver statuito che deve essere comunque garantito il diritto di accesso ai documenti la cui conoscenza è necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici, ha espressamente disposto che:

  • nel caso di documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito “nei limiti in cui sia strettamente indispensabile;

  • nel caso di dati c.d. supersensibili l’accesso è consentito nei limiti previsti dall’art. 6° del nuovo codice della privacy, sopra esaminato.xix


____________________________________________
i L’accesso partecipativo di cui all’art. 10 L. proc. è il diritto dei destinatari della comunicazione dell’avvio del procedimento di prendere visione degli atti del procedimento al fine di presentare, all’interno di quel procedimento, memorie e documenti.

ii E’ stato esattamente affermato nella dottrina che prima della legge n. 241/90 la regola era la riservatezza e segretezza dell’istruttoria nell’ambito del procedimento amministrativo; con la legge n. 241/90 la regola degrada ad eccezione ed i casi di esclusione del diritto di accesso sono tutti tipizzati, ossia specificamente previsti dal legislatore.

iii Vedi sul punto le decisioni del 4 e 5 del 1999 emesse dal Consiglio di Stato

iv Nelle applicazioni concrete:

  • è stato consentito l'accesso alla documenta­zione concernente le autorizzazioni ad esercitare sperimentazioni sugli animali all'associazione di volontariato «Lega-antivivise­zione»;

  • con riguardo alle organizzazioni sindacali, si è precisato che, quali soggetti rappresentativi di interessi collettivi, non pos­sono considerarsi titolari di un potere generale di controllo sul­l'attività amministrativa inteso come connotato implicito dell'at­tività sindacale, sicché la richiesta di accesso può essere fondata solo se rivolta a salvaguardare, con la garanzia della trasparenza, un interesse di cui sia portatore il sindacato, e non esclusivamente i singoli iscritti;

  • l'interesse di mero fatto, che non legittima la richiesta di accesso, è stata ravvisato nella richiesta del Codacons (Coordi­namento delle associazioni per la difesa dell' ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori) ad accedere ai documenti concer­nenti l'utilizzo delle autovetture di servizio della pubblica am­ministrazione, non trattandosi di provvedimenti incidenti in via immediata su posizioni dei consumatori ed utenti, rappresentati dall'associazione.


v Il caso affrontato dalla decisione era il seguente. Pendeva una lite dinanzi alla Commissione tributaria; il contribuente, vistosi negare dall’amministrazione finanziaria il diritto di accesso ai documenti, aveva adito il G.A. con l’azione di cui all’art. 25 della legge n. 241 (volta ad ottenere l’ordine di esibizione dei documenti). Sia il TAR che il Consiglio di Stato avevano accolto il ricorso ma il Ministero impugnava la sentenza dinanzi alle sezioni unite della Cassazione (sotto il profilo del difetto di giurisdizione) sostenendo che l’art. 25 cit. non si applicava al procedimento tributario perché la Commissione tributaria ha la facoltà di ordinare alle parti l’esibizione dei documenti (con la conseguenza che il G.A. difetta di giurisdizione in ordine al giudizio di cui all’art. 25). La Cassazione, con la sentenza citata, ha disatteso tale impostazione sul rilievo che la circostanza che la normativa tributaria attribuisce alle Commissioni il potere di ordinare alle parti l’esibizione dei documenti, non fa venir meno il diritto del contribuente di avvalersi delle disposizioni di cui alla legge 241, ivi compreso il diritto di accesso.

vi Un primo problema si è posto in ordine all’ammissibilità dell’accesso riguardo agli atti preparatori ai procedimenti tributari. Dell’argomento si è occupato il Consiglio di Stato (decisione n. 426/98) il quale ha ritenuto che il disposto dell’art. 24 comma 6, nella parte in cui esclude il diritto di accesso agli atti preparatori nei procedimenti di cui all’art. 13 (attività diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione), finisce per escludere il diritto di accesso anche relativamente agli atti preparatori dei procedimenti tributari; nel caso di specie il Consiglio si trovava alle prese con la richiesta da parte di un utente, sollecitato dalla RAI a pagare il canone in relazione all’apparecchio di cui risultava detentore, si accedere alla documentazione relativa al censimento in forza del quale era stato accertato il fatto storico della detenzione.

vii Sugli aspetti più significativi di tale normativa, v.: F. D'AYALA VALVA, Il principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente. Il ruolo dello Statuto, Riv. dir. trib., 2001, I, 915; A. FEDELE, L'art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente, ivi, I, 883; D. IROLLO, In tema di flessibilità dello Statuto del contribuente alla luce del sistema costitu­zionale delle fonti del diritto e del valore dei principi generali dell'ordinamento, in Giur. it., 2001, 1552; C. PINELLI, Sulle clausole rafforzative dell'efficacia delle disposizioni del­lo Statuto dei diritti del contribuente, in Foro. it., 2001, V, 102.

viii I controinteressati vengono espressamente definiti dal nuovo art. 22 co. 1 lett. c) come quei soggetti, individuati o agevolmente individuabili in base al tipo di documento richiesto, che vedrebbero compromesso il proprio diritto alla riservatezza in caso di esercizio dell’altrui diritto di accesso.

ix Si ricorda che la risarcibilità degli interessi legittimi è oggi un dato pacificamente ammesso a seguito della sentenza n. 500/99 delle sezioni unite della Corte di Cassazione e successivamente dell’art. 7 della legge n. 205/2000 che ha attribuito al giudice amministrativo tutte le controversie risarcitorie non solo nelle materia coperte dalla giurisdizione esclusiva ma in tutti i casi di giurisdizione di legittimità.

x Cfr. in tal senso F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano 2003, p. 1899

xi F. Caringella, cit., pag. 1901

xii Trib. Piacenza 10.12.1993 in Foro it., 1994, II, 262

xiii Cfr. in tal senso Cass. pen. Sez. VI, 8.1.1997 in Cass. pen., 1997, 3019 con nota di S. D’Arma

xiv Cfr. De Luca, I delitti dei pubblici ufficiali contro la PA, Milano 1994, 287

xv F. Caringella, cit., 1899; in giurisprudenza, v. Trib. Vibo Valentia 4.5.1994, in Foro it., 1994, II, 652

xvi Il procedimento che viene descritto di seguito spetta alla competenza del difensore civico, nei confronti di atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, mentre, nell’ipotesi di atti delle amministrazioni centrali o periferiche, la competenza spetterà alla Commissione per l’accesso di cui all’art. 27.

xvii Restano per altro invariati gli altri due limiti all’accesso ai dati sensibili, ossia la necessità di una legge che determini le operazioni eseguibili (anche se è stato rilevato che sarebbe in proposito sufficiente la previsione della stessa legge n. 241/90 che limita alla ‘presa visione’ il tipo di operazioni concretamente effettuabili) nonché la necessità di determinare con legge i singoli dati trattabili (anche se la tesi prevalente è nel senso che la PA potrebbe operare la relativa valutazione caso per caso).

xviii Da ricordare che prima dell’intervento di quest’ultima norma, il Consiglio di Stato (decisione n. 1882 del 30.3.2001 in Cons. St. 2001, I, 806) aveva accordato l’accesso al datore di lavoro che, al fine di difendersi in giudizio dalla richiesta di risarcimento danni del lavoratore per malattia professionale, voleva accedere alla documentazione dell’Inail: ciò sul rilievo che l’istanza, pur se finalizzata a tutelare interessi subvalenti (resistenza ad un’azione risarcitoria), in concreto finiva per ledere in modo assai marginale (quasi ‘inoffensivo’) la sfera di riserbo del lavoratore.

xix Si segnalano, per la loro novità, le ultime decisioni rilevanti in tema di rapporti tra accesso e riservatezza: Consiglio di stato n. 5034 del 8.9.2003; n. 2938/2003; TAR Veneto n. 775/2004 tutte pubblicate in Foro it. 2004, III, 510, con ampia nota di Massimo Occhiena, I diritti di accesso dopo il codice della “privacy”.

Codici e Ebook Altalex Gratuiti

Vedi tutti