Responsabilità civile

Contratto a favore di terzo

AltalexPedia, voce agg. al 16/06/2016

Il contratto a favore di terzo si ha quando uno dei contraenti (che viene detto promittente) si obbliga in confronto dell’altro contraente (che viene detto stipulante) ad eseguire una prestazione in favore di un terzo.


Contratto a favore di terzo

di Paolo Franceschetti

Cenni introduttivi

Nozione e tipi

Nozione

Tipi particolari di contratti a favore di terzo

Titolarità del diritto e del rapporto

Contratto a favore di terzo e figure contigue

La causa

Oggetto

Ambito

Il contratto a favore di terzo e la sua applicabilità ai contratti con effetti reali

Il problema

La tesi negativa

La tesi positiva

Tesi intermedie

La trascrizione

L’acquisto del diritto

Il problema

La tesi dell’acquisto immediato

La tesi dell’acquisto sottoposto alla condizione dell’accettazione

L’interesse dello stipulante

La designazione del terzo

La designazione successiva

La tesi positiva

La tesi negativa

Casistica

Il problema della recettizietà

Il problema

La tesi negativa

La tesi positiva

La dichiarazione di voler profittare

Natura giuridica

Forma

Il rifiuto

La revoca dello stipulante

Il problema della collazione

Contratto a favore di terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante


Cenni introduttivi

Il contratto a favore di terzo si ha quando uno dei contraenti che viene detto promittente, si obbliga in confronto dell’altro contraente, che viene detto stipulante, ad eseguire una prestazione in favore di un terzo.

Il diritto romano considerava nulle tutte le pattuizioni a favore di un terzo, anche se non è ben chiara la ragione di questo fenomeno; probabilmente il motivo principale, a parte il principio di relatività del contratto e della tipicità dei negozi, va ricercato nell’avversione di questa società verso i negozi gratuiti. La nullità del contratto a favore di terzi rimase quindi ferma anche nel medioevo e fino al codice del 1865. Qui per la prima volta, timidamente, si ammetteva il contratto a favore di terzo, quando la clausola vantaggiosa fosse parte della stipulazione che il contraente faceva per sé (articolo 1128: nessuno può stipulare in proprio nome, fuorché per se medesimo. Tuttavia può ciascuno stipulare a vantaggio di un terzo quando ciò formi condizione di una stipulazione che fa per se stesso o di una donazione che fa ad altri. Chi ha fatta questa stipulazione non può più revocarla, se il terzo ha dichiarato di volerne profittare).

Col codice del 1942 la figura ebbe un riconoscimento generale in considerazione della sua utilità e praticità. Tale contratto può portare infatti notevoli vantaggi rispetto ad altri schemi contrattuali alternativi:

1) anzitutto permette di effettuare donazioni indirette evitando un doppio passaggio (con conseguenze di notevole rilievo, specie dal punto di vista fiscale); ad esempio il padre, anziché acquistare l’immobile e poi donarlo al figlio, può comprare direttamente l’immobile a favore del figlio;

2) in secondo luogo il contratto a favore di terzo permette di evitare le autorizzazioni giudiziali previste dalla legge per gli acquisti dei beni degli incapaci.

3) Inoltre nel contratto di trasporto a favore del terzo, permette al destinatario (terzo rispetto all’accordo tra mittente e vettore) di agire direttamente contro il vettore inadempiente come se fosse parte del contratto.

E il fenomeno è infatti assai diffuso nella pratica; si pensi all’assicurazione a favore di terzo (articolo 1920); o all’acquisto di beni con intestazione a nome altrui.

La spiegazione della generale ammissibilità del contratto a favore di terzo, non può ovviamente essere ricercata solo in ragioni di ordine pratico. Esistono infatti anche giustificazioni di ordine teorico, che trovano le loro radici nella concezione del contratto nell’ordinamento odierno. Il principio di relatività degli effetti dell’accordo, infatti, è tipico di un ordinamento incentrato rigidamente sulla concezione del negozio come atto di autoregolamentazione del soggetto e manifestazione di volontà. E’ insomma un corollario della teoria volontaristica. In quest’ottica è naturale che il contratto possa produrre effetti solo rispetto alle parti che lo hanno concluso. Abbiamo visto però che attualmente questa concezione del contratto e del negozio in genere deve ritenersi superata. Il contratto non è più il frutto esclusivo della volontà delle parti, perché vi concorre in misura sempre più massiccia la determinazione della legge; e questa intromissione del legislatore è a maggior ragione propria di un ordinamento incentrato sui principi di solidarietà e cooperazione. Il contratto infatti, non è solo uno strumento che serve all’utilità individuale, ma è anche uno strumento utile alla collettività. Ne consegue che il legislatore può autorizzare l’intromissione nella sfera giuridica altrui tutte le volte che questa intromissione sia giustificata dall’apporto di un beneficio al terzo. Il che è perfettamente coerente con quanto asserisce l’articolo 1332, cioè che il contratto deve perseguire un interesse meritevole di tutela, perché tale interesse non deve necessariamente essere riferito solo all’interesse individuale.

Nozione e tipi

Nozione

Il contratto a favore di terzo si ha quando uno dei contraenti che viene detto promittente, si obbliga in confronto dell’altro contraente, che viene detto stipulante, ad eseguire una prestazione  in favore di un terzo.

Si capisce quindi perché il promittente viene chiamato così; è costui infatti che effettua la prestazione al terzo (e che quindi promette, cioè si obbliga, nei suoi confronti). Mentre si giustifica meno il nome di terzo, rispetto a colui che riceve il diritto, visto che, in effetti, tale termine designa un soggetto estraneo al contratto, mentre questi è parte, perlomeno nel rapporto con il promittente.

Salvo patto contrario il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione. Questa però può essere revocata o modificata dallo stipulante fino a che il terzo non abbia dichiarato, anche in confronto del promittente, di volerne profittare. In caso di revoca del contratto o di rifiuto del terzo di profittarne la prestazione rimane a beneficio dello stipulante, salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto.

Tipi particolari di contratti a favore di terzo

Nel codice oltre alla figura generale del contratto a favore di terzo sono previste alcune figure particolari.

Anzitutto l’articolo 1920 prevede l’assicurazione a favore del terzo.

L’articolo 1689 prevede poi il contratto di trasporto a favore del terzo, la cui disciplina diverge da quella ordinaria nel punto in cui è previsto che il mittente possa anche revocare il diritto prima dell’arrivo a destinazione (è il cosiddetto diritto di contrordine).

Ancora, l’articolo 1875 prevede la rendita vitalizia a favore del terzo.

Anche altre ipotesi poi, sono ricondotte dalla dottrina e dalla giurisprudenza nell’area del contratto a favore di terzo, anche se non sono qualificate espressamente in tal modo dalla legge; così l’accollo, o l’espromissione, sono considerate – anche se con qualche dubbio - ipotesi di contratti a favore di terzo.

Titolarità del diritto e del rapporto

Concluso il contratto occorre distinguere la titolarità del diritto che (che appartiene al terzo) dalla titolarità del rapporto contrattuale, che fa capo ai contraenti. Ciò significa che le eventuali azioni contrattuali (di invalidità, di inadempimento, ecc.) dovranno essere intentate nei confronti dello stipulante o del promittente ma non contro il terzo. Né il terzo potrà proporre le azioni contrattuali contro lo stipulante e il promittente, ad eccezione dell’azione di adempimento.

Contratto a favore di terzo e figure contigue

Il contratto a favore di terzo ricorre solo se il vantaggio consiste in un effettivo diritto, cioè in una prestazione; non, invece, quando il contratto si limita ad attribuire un semplice vantaggio di qualche genere.

Occorre inoltre che al terzo sia dato un vantaggio effettivo sotto tutti gli aspetti, senza l’aggiunta di oneri o obblighi, sia pure accessori.

La distinzione tra un semplice diritto e un vantaggio è fondamentale per delimitare l’area del contratto a favore di terzo rispetto a pattuizioni simili, in cui il terzo è solo il punto di riferimento esterno del contratto; ad es. se l’acquirente di un bene si impegna con il venditore, che vuole tutelare la tranquillità degli altri proprietari vicini, a non suonare il pianoforte, non abbiamo un contratto a favore di terzo, ma un normale contratto intercorrente tra le parti, con una clausola accessoria in cui l’obbligazione dedotta è prima di tutto rivolta a favore del proprietario, e solo indirettamente al terzo.

Alla giurisprudenza si è posto il problema di qualificare l’accordo preso in sede di separazione con cui uno dei coniugi intendeva intestare un bene al figlio.

Alcune sentenze lo hanno qualificato come contratto a favore di terzo, con la conseguenza che il figlio poteva agire ex articolo 2932 in caso di inadempimento del genitore. Tesi cui si è replicato che il figlio non può essere considerato terzo, e che all’accordo di diritto familiare mal si addice la qualifica di contratto ordinario, che, per sua natura, ha solo natura patrimoniale.

Altre allora hanno stabilito che il figlio sia parte di un rapporto complesso, costituito appunto dall’accordo di separazione, che ha caratteristiche particolari rispetto al contratto ordinario (Cass. 4277/1988).

In altre sentenze è stata accolta la tesi del contratto con obbligazioni a carico del solo proponente (Cass. 9500/1977).

La causa

Per quanto riguarda la natura giuridica del contratto a favore di terzo alcuni autori sostengono che questo sarebbe un contratto tipico, con una causa costante, tipica, che sarebbe quella di attribuire al terzo il diritto. Ad esempio nella vendita a favore di terzo la causa non sarebbe data dallo scambio di cosa contro prezzo, ma dallo scambio tra prezzo e attribuzione al terzo.

La dottrina prevalente, però, sostiene che il contratto a favore di terzo non sarebbe un contratto tipico ma un contratto ordinario munito di una clausola accessoria che fa deviare gli effetti tipici di quel contratto verso il terzo. Ad esempio avremmo un normale contratto di vendita, locazione, mutuo, ecc, la cui particolarità sarebbe data dal fatto che una delle prestazioni viene diretta non verso il contraente ma verso il terzo. La tesi è avvalorata dalla posizione dell’istituto del codice (la disciplina generale dei contratti e non la sezione dedicata ai contratti tipici).

Accanto alla causa del singolo contratto, che è tipica e interna, è individuabile poi una causa del rapporto tra stipulante e terzo, che è esterna all’accordo tra stipulante e promittente. A volte sarà una causa donandi, ma altre volte potremo avere una causa solvendi (dovendo estinguere il debito di 100 milioni che ho verso Tizio stipulo con Caio un contratto di vendita del mio appartamento e lui si impegna a versare il prezzo a Tizio).

Anche la disciplina, ovviamente, sarà quella del contratto tipico posto in essere combinata con quella del contratto a favore di terzo.

Oggetto

Ambito

Il contratto a favore di terzo non è un contratto tipico ma un modo di formazione del contratto; può avere ad oggetto qualsiasi tipo di contratto, anche atipico, e qualsiasi prestazione; possiamo avere vendite, transazioni, locazioni a favore di terzo ecc..

La clausola a favore del terzo può inoltre riguardare tutto il contratto o solo una parte di esso. Può conciliarsi inoltre non solo con i contratti tipici e atipici ma anche con i vari modi di formazione del contratto; può aversi cioè un preliminare a favore di terzo, un’opzione, ecc.

E’ dubbio se possa applicarsi ai contratti gratuiti.

Il contratto a favore di terzo e la sua applicabilità ai contratti con effetti reali

Il problema

Si discute se il contratto a favore di terzo possa avere ad oggetto un contratto ad effetti reali, come la vendita, quando l’effetto per il terzo sia costituito dall’acquisto del diritto di proprietà; il dubbio, infatti, può porsi a causa delle maggiori garanzie di cui è circondato l’acquisto di un bene immobile rispetto ai crediti e a causa delle difficoltà cui si va incontro con la trascrizione.

Possiamo individuare almeno 4 tesi diverse. Tutte, per un motivo o per un altro, non sono soddisfacenti, perché le posizioni in senso positivo sono perfettamente sostenibili in linea teorica ma sul piano pratico sono quasi impossibili da attuare per le difficoltà cui si va incontro in punto di trascrizione, revoca o rifiuto; mentre le tesi negative, all’opposto, seppure più aderenti alla realtà e più pratiche da attuare, sono poco giustificabili dal punto di vista teorico.

La tesi negativa

La tesi negativa (De Nova, Bianca, Majello, Biondi) è sostenuta basandosi su diversi argomenti:

1) anzitutto si è detto che l’acquisto della proprietà non è mai un vantaggio puro e semplice perché esistono per l’acquirente anche degli svantaggi, come gli oneri fiscali e di manutenzione (specie nel caso in cui l’immobile sia di interesse storico o artistico); il che rende impossibile trasferire la proprietà di un bene ad un terzo contro la sua volontà.

2) Deporrebbe poi a favore di questa tesi il termine prestazione contenuto nell’articolo 1411 comma 3 e l’uso del termine promittente riferito a colui che effettua la prestazione a favore del terzo.

3) L’acquisto dei diritti reali esige sempre il consenso, come pare di dedurre dall’articolo 1376, il quale dice espressamente che i diritti reali si acquistano “con il consenso delle parti legittimamente manifestato” (è il cosiddetto principio del consenso traslativo). L’articolo viene insomma interpretato come se ponesse il principio generale per cui non si può acquistare un diritto reale se non si è manifestata la propria volontà in tal senso.

4) Qualcuno ha inoltre osservato che l’effetto reale mal si concilia con la facoltà di rifiuto del terzo, il quale, una volta che il bene gli è stato trasferito avrebbe senz’altro difficoltà a dismettere il bene; più che di un rifiuto, infatti, si tratterebbe di un nuovo ritrasferimento allo stipulante.

5) Secondo Carresi, poi, l’inammissibilità di contratti a favore di terzo con effetti reali discende non dai motivi suesposti, bensì dal fatto che il diritto trasferito deve essere nuovo, cioè deve sorgere per la prima volta in capo al terzo.

La tesi positiva

Prevale però la tesi positiva (Messineo, Mirabelli, Moscarini, Capozzi).

1) Quanto all’argomento che fa leva sui possibili svantaggi che possono derivare da un contratto a favore di terzo si è detto che, anche se l’affermazione in linea teorica è esatta, in pratica difficilmente possono configurarsi esclusivamente svantaggi; quand’anche gli oneri fiscali o di manutenzione fossero troppo elevati, infatti, è sempre possibile rivendere il bene; in linea di massima, cioè, può dirsi che l’acquisto dei beni immobili ha effetti per la maggior parte vantaggiosi.

2) Quanto al termine prestazione, anche se tecnicamente esso andrebbe riferito solo ai contratti ad effetti obbligatori, la dottrina e la giurisprudenza lo intendono senza ombra di dubbio, in senso ampio, con riferimento al trasferimento dei diritti reali in generale; il legislatore, infatti, usa l’espressione prestazione con riferimento senza dubbio anche ai contratti ad effetti reali (basti pensare che la vendita è il tipo contratto a “prestazioni” corrispettive).

3) Quanto all’argomento basato sull’articolo 1376, si è detto che esso pone un principio generale, suscettibile come tale di eccezioni; inoltre si è evidenziato che il nostro ordinamento conosce alcune ipotesi di acquisto della proprietà immobiliare senza consenso, in cui però è fatta salva la possibilità di rifiuto da parte dell’acquirente (il legato ad esempio si acquista senza accettazione, ma è poi possibile rifiutarlo; la donazione obnuzionale si acquista con le nozze, senza bisogno di accettazione).

4) Infine, nessun dato testuale né teorico supporta la tesi secondo cui il diritto dovrebbe essere nuovo (certo non il 1411 comma 2, il quale, alludendo al diritto che “il terzo acquista contro il promittente” allude non al fatto che l’acquisto ha ad oggetto un diritto obbligatorio e quindi non tutelabile erga omnes, ma solo al fatto che l’acquisto avviene in virtù di un passaggio diretto dal promittente al terzo, senza passare anche per la sfera giuridica dello stipulante).

Tesi intermedie

Infine, non mancano autori che hanno sostenuto una tesi intermedia, nel senso che il contratto a favore di terzo con effetto reale sarebbe possibile solo quando l’effetto, quale che esso sia, sia privo di qualsiasi onere o svantaggio per il titolare, come accade nella servitù.

E, infine, c’è chi ha sostenuto che il contratto a favore di terzo ad effetti reali sarebbe ammissibile sempre, però necessiterebbe dell’accettazione del terzo per la produzione degli effetti, deviando così dalla regola generale. Questa tesi, che sembra avere poco senso perché non ha alcun aggancio normativo, trova in realtà conferma nell’opinione espressa da altri autori. Ad esempio anche Maiorca sostiene che nessun onere, neanche di tipo accessorio, può derivare per il terzo, ma solo prima della sua accettazione espressa (implicitamente sostenendo che gli oneri possano derivare dopo). E consentirebbe di contemperare equamente le opposte esigenze dello stipulante e del terzo.

La trascrizione

Infine, ci sarebbe da risolvere il problema della trascrizione. Dal punto di vista pratico si osserva che chiunque può sottoscrivere e presentare la nota in conservatoria, quindi sia le parti che il terzo; dalla norma sui legati (articolo 2648 comma 4) si ricava inoltre che può trascriversi il legato presentando un estratto del testamento, quindi senza presentare l’atto di adesione del legatario; e quindi la stessa cosa varrà per l’acquisto del terzo, che potrà essere trascritto presentando il contratto, anche se non risulti l’accettazione dello stipulante.

Ci si domanda inoltre se debba trascriversi anche l’adesione del terzo, onde evitare che dopo la sia adesione possa essere revocato il contratto da parte dello stipulante e trascritta la revoca. La teoria negativa sostiene che tale trascrizione non è necessaria; la legge infatti non l’ ha prevista dal momento che l’atto di adesione rende irrevocabile l’atto e la revoca sarebbe quindi inoperante; l’eventuale trascrizione, quindi sarebbe inefficace. In contrario si è detto che per una maggior tutela del terzo e per rendere inoperante sia l’eventuale rifiuto del terzo, sia la revoca, e risolvere eventuali conflitti con terzi, sarebbe necessario trascrivere l’adesione annotandola a margine della nota, applicando analogicamente l’articolo 2668 (indicazione della mancata condizione risolutiva).

L’acquisto del diritto

Il problema

E’ discusso il momento in cui avviene l’acquisto da parte del terzo, ciò che può essere rilevante a vari fini (ad esempio stabilire su chi ricada la responsabilità per rovina di edificio prima dell’accettazione del terzo; oppure per stabilire se la vendita del bene ad un estraneo effettuata dallo stipulante prima dell’adesione del terzo sia valida – e possa considerarsi magari come revoca tacita – oppure no).

La tesi dell’acquisto immediato

Secondo la dottrina prevalente il terzo acquista il diritto a partire dalla stipulazione salvo patto contrario. In tal senso va letta la seconda parte dell’articolo 1411 comma 2, ai senso del quale il terzo acquista il diritto “per effetto della stipulazione”.

Nel patto contrario, come abbiamo detto, può essere previsto che il terzo acquisti il diritto in un momento diverso dalla stipula, oppure al momento in cui emette la dichiarazione di voler profittare. Si tratterebbe quindi di un acquisto immediato, anche se provvisorio perché soggetto alla revoca o al rifiuto dello stipulante.

L’accettazione (o adesione) del terzo quindi, non sarebbe necessaria se non per rendere definitivi gli effetti a suo favore.

La tesi dell’acquisto sottoposto alla condizione dell’accettazione

Parte della dottrina (Damascello) e una parte minoritaria della giurisprudenza affermano che il terzo acquisterebbe il diritto a partire dal momento della sua adesione, la quale funzionerebbe da condicio iuris dell’acquisto.

La tesi dell’acquisto immediato sembra inaccettabile non tanto per ragioni teoriche, quanto per ragioni pratiche. Se dal punto di vista teorico può sostenersi una qualsiasi delle due opinioni, dal punto di vista pratico non si vede perché il legislatore avrebbe permesso che qualcuno possa intestare beni a terzi o stipulare contratti obbligatori (somministrazioni, locazioni, ecc.), non solo prescindendo da una loro formale accettazione, ma addirittura a loro insaputa.

Ma anche dal punto di vista testuale c’è da notare che il codice usa diversi termini, sparsi qua e là nell’articolo 1411 e nei seguenti, che sembrano fare riferimento espresso ad un acquisto operante al momento dell’adesione, e non prima.

1) Anzitutto sembra infatti poco conciliabile con un acquisto immediato del diritto il potere di revoca da parte dello stipulante.

2) D’altronde l’espressione dell’articolo 1411 “il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione” non necessariamente deve essere intesa nel senso che l’acquisto abbia effetto dalla data della stipulazione, bensì nel senso che esso abbia la sua fonte nella stipulazione. In altre parole l’articolo 1411 va letto nel senso che il diritto si acquista con l’accettazione (con effetto retroattivo a partire dalla stipula) ma prima di tale momento lo stipulante può revocare la stipulazione.

3) Tale tesi sarebbe ulteriormente confermata dal termine rifiuto usato dall’articolo 1411 comma 3. Il rifiuto è infatti l’atto con cui si impedisce che un diritto ancora non acquistato entri nel proprio patrimonio, mentre la rinuncia è atto abdicativo, con cui il terzo dismette un diritto acquistato che è, quindi, già presente nel suo patrimonio.

4) Infine, l’articolo 1411 dice che in caso di rifiuto o di revoca il diritto “rimane” in testa allo stipulante, facendo chiaro riferimento al fatto che tale diritto non è mai uscito dal suo patrimonio.

L’interesse dello stipulante

L’articolo 1411 dice che il contratto a favore di terzo è valido qualora lo stipulante vi abbia interesse. Ci si domanda cosa si intenda per interesse. Premesso che la questione non riveste una enorme importanza pratica (non sono infatti rinvenibili sentenze che abbiano mai dichiarato la nullità di un contratto a favore di terzo per mancanza di interesse dello stipulante), possono individuarsi tra teorie.

a) Certamente sembra da escludere la teoria secondo cui l’interesse in questione sarebbe riferibile all’interesse meritevole di tutela previsto dall’articolo 1322; se così fosse la norma sarebbe, oltre che mal formulata, anche inutile, perché nessuno potrebbe dubitare che il contratto a favore di terzo debba comunque essere meritevole di tutela secondo le regole generali dell’ordinamento giuridico.

b) Altri hanno sostenuto – anche sulla base della Relazione al codice - che l’interesse in questione sarebbe l’interesse che ogni creditore ha ad avere la prestazione, così come dispone l’articolo 1174. Può anche trattarsi di un interesse morale, o di un capriccio, o di un interesse solo supposto tale; al legislatore non può interessare infatti il motivo per cui il contratto è concluso, che rimane nella sfera interna del contraente. Quindi l’interesse che spinge lo stipulante a fare il contratto per il terzo è irrilevante per la legge e rimane nella sfera dei motivi.

Ma la tesi non sembra convincente. Dal punto di vista pratico, intesa in tal senso la norma sarebbe inutile perché l’interesse richiesto non sarebbe diverso dall’interesse che si richiede per qualunque contraente nel momento in cui stipula il contratto; sarebbe cioè un inutile duplicato dell’articolo 1174. Ma anche dal punto di vista teorico la tesi non regge perché l’interesse di cui parla l’articolo 1174 è l’interesse del creditore; l’articolo 1411 invece parla di interesse riferendosi allo stipulante, ma nel contratto a favore di terzo il ruolo di creditore è rivestito dal terzo.

Occorre quindi cercare altre strade.

c) Sembra preferibile l’opinione secondo cui l’interesse in questione è da riferirsi ad un rapporto valido tra stipulante e terzo;.la norma richiede cioè l’esistenza di un valido motivo per attribuire al terzo la prestazione, o, come sostengono altri, una causa che giustifichi l’attribuzione patrimoniale.

Con la conseguenza che se tale interesse manca il contratto è nullo. Ad esempio se Tizio (debitore verso Primo della somma di 100) stipula con Caio un contratto per attribuire 100 a Primo, il contratto sarà nullo se il debito si rivela inesistente e la somma dovrà essere versata a Tizio.

La designazione del terzo

La designazione successiva

Il terzo può anche essere indeterminato (ma determinabile) o un soggetto futuro.

Si discute se la designazione del terzo possa essere effettuata successivamente alla stipula magari con un atto unilaterale come il testamento.

Da notare che l’articolo 1920 prevede la possibilità nell’assicurazione a favore del terzo di nominare quest’ultimo successivamente alla conclusione del contratto.

La tesi positiva

Parte della dottrina sostiene la tesi negativa; l’articolo 1411 dice infatti che il terzo acquista il diritto per effetto della stipulazione, sembrando alludere ad un acquisto immediato; è ovvio che se il terzo fosse designato successivamente l’acquisto non sarebbe immediato e non partirebbe dalla stipula, bensì dalla nomina.

Un ostacolo alla designazione successiva viene poi dal fatto che nel contratto a favore di terzo l’acquisto si produce solo in capo al terzo, e non (come avviene invece nel contratto per persona da nominare) immediatamente in capo allo stipulante. Il che, secondo questa teoria porterebbe una conseguenza inammissibile, cioè che la prestazione rimarrebbe sospesa a tempo indefinito.

Infine, si è detto che un contratto del genere sarebbe nullo per violazione del patto successorio tutte le volte che la designazione del terzo debba essere effettuata con un testamento.

L’articolo 1920 rappresenterebbe quindi un’eccezione alla regola generale.

La tesi negativa

Ma in contrario può anzitutto osservarsi che l’espressione “acquista il diritto per effetto della stipulazione” non è incompatibile con una designazione successiva; l’acquisto, infatti, operando retroattivamente, avverrebbe pur sempre in virtù della stipula. Tra l’altro lo stesso articolo fa salvo il patto contrario, e la norma viene intesa nel senso che le parti possono convenire che l’acquisto avvenga in un momento diverso (e quindi anche a partire dalla nomina del terzo).

Depone poi a favore della tesi positiva non solo la mancanza di un’espressa indicazione in senso contrario (e quindi deve ritenersi che le parti, nella loro autonomia privata, possano pattuire qualsiasi effetto che non sia illecito e che sia tecnicamente e giuridicamente compatibile con il contratto da esse stipulato) ma anche l’articolo 1412, il quale dice “se la prestazione al terzo deve essere fatta al terzo dopo la morte dello stipulante”; è ovvio cioè, che questa norma sottintende un acquisto in capo al terzo che non è immediato, ma successivo alla stipula; e non c’è ragione di ritenere che la nomina debba necessariamente essere contemporanea.

Quanto all’articolo 1920, poi, non si vede perché dovrebbe costituire un’accezione alla regola e non l’espressione di un principio generale.

Quanto al fatto che la prestazione rimarrebbe sospesa senza che si possa individuare il titolare del diritto non ci sono ostacoli ad ammettere una conseguenza del genere, posto che un fenomeno del genere si configura in tutti i casi in cui al contratto sia apposta una condizione sospensiva.

Infine, il fatto che in linea teorica la designazione del terzo per testamento sia idonea a integrare gli estremi di un patto successorio non è motivo sufficiente per poterne inferire come conseguenza la nullità; l’esistenza di un patto successorio, infatti, va provata volta per volta e non può essere presunta in astratto.

E’ quindi possibile designare successivamente il terzo, purché, ovviamente la clausola a favore del terzo sia inserita nel contratto originariamente concluso; non è invece possibile stipulare un contratto normale (una locazione, un mutuo, un contratto d’opera) e poi trasferire gli effetti di questo contratto su un terzo, perché in tal caso si avrebbe una cessione del contratto.

Casistica

Un caso interessante riguardava il contratto con cui A trasferiva a B un bene, e costui si impegnava a versare il prezzo ad A o ad altra persona che costui si riservava di nominare. Il promittente, richiesto della prestazione dal terzo nominato si difese sostenendo che si trattava di un contratto per persona da nominare e che la prestazione doveva andare ad A (di cui nel frattempo B era diventato erede), non essendo stata fatta la nomina nel termine dei tre giorni che la legge prevedeva. La giurisprudenza ha ritenuto che si trattava di un contratto a favore di terzo.

E’ stata ritenuta valida, inoltre, la stipulazione tra un comune e l’Enel per erogare il servizio a tutti gli abitanti della zona.

Per la giurisprudenza non è invece valida la pattuizione tra la P.A. e un albergo col quale viene attribuita alla prima la disponibilità delle stanze per destinarle a ricovero degli abitanti di una zona terremotata (Cass. 10940/1992).

Il problema della recettizietà

Il problema

Il codice non dice che i contraenti devono dare notizia della stipulazione al terzo. In dottrina e giurisprudenza, allora, la questione è se, nonostante il silenzio del codice, il terzo debba essere messo a conoscenza della stipula a suo favore, sembrando poco logico che costui possa rimanere all’oscuro del patto per un tempo infinito.

La tesi negativa

Alcuni autori (Majello, Giampiccolo) sostengono che il contratto a favore di terzo non sia un atto recettizio e motivano questa soluzione con più argomenti.

Anzitutto l’argomento testuale: la legge non ha previsto espressamente che la stipula del contratto vada comunicata al terzo e questo è indice di una volontà ben precisa. Né è possibile dedurre la recettizietà in via interpretativa, perché, al contrario, ci sono chiari indizi del fatto che il codice lo ha strutturato con un atto non recettizio (lo si deduce infatti dal fatto che la revoca può essere effettuata in ogni momento).

Inoltre sono recettizi solo gli atti che recano pregiudizio al destinatario; qui, invece, non essendo stabilito alcun termine per il rifiuto (che quindi può essere effettuato in qualsiasi tempo) nessun pregiudizio può essere arrecato al terzo a causa della mancata comunicazione. Senza contare, si aggiunge, che l’acquisto di un diritto non è, come abbiamo già detto, un atto che può essere considerato pregiudizievole.

Anche un altro argomento, poi, è stato addotto a sostegno di questa tesi. L’articolo 1334 dice che recettizi sono solo gli atti unilaterali, e non i contratti come in questo caso.

La tesi positiva

Prevale però, e giustamente, la tesi positiva. Anche se il terzo può rifiutare in qualsiasi tempo, infatti, vari sono i pregiudizi che in teoria possono essere recati al terzo; dal momento che costui acquista il diritto a partire dal momento della stipula, infatti, potrebbe rispondere dei danni arrecati ai sensi dell’articolo 2053 senza essere venuto a conoscenza dell’acquisto; oppure potrebbe essere costretto a pagare anni di tasse arretrate all’improvviso. Dal punto di vista teorico, poi, va detto che sono recettizi non gli atti pregiudizievoli per il destinatario, bensì, come sostiene Santoro-Passarelli, gli atti rivolti ad un destinatario determinato. Lo conferma l’articolo 1236 che prevede la recettizietà della remissione del debito, pur essendola remissione un atto senza dubbio favorevole.

Ma la tesi della recettizietà non si concilia con la tesi prevalente secondo cui il contratto a favore di terzi produce effetti indipendentemente dalla conoscenza del terzo. A noi sembra, invece, che, se ha ragione la tesi dominante, secondo cui l’acquisto in capo al terzo è automatico e prescinde dalla sua adesione, allora non siamo in presenza di un atto recettizio. Tuttavia è assurda sul piano pratico l’idea che un terzo possa acquistare un diritto e essere all’oscuro della vicenda. Ci sembra quindi che un onere di informazione a carico della parti e in particolare dello stipulante, può nascere in virtù della regola della correttezza e della buona fede, ma senza poter enunciare regole generali. Ci sembra, cioè, che si possa stipulare un’assicurazione a favore di terzo senza porre l’assicurato a conoscenza del contratto se non al momento del sinistro; oppure che si possa stipulare un contratto con un giardiniere affinché curi il giardino di un amico di nascosto e senza oneri a suo carico. Ciò che invece non si può fare – a meno di non violare il principio della correttezza e della buona fede - è stipulare contratti che portino, anche se solo minimamente, svantaggi per il terzo; non si può cioè intestare l’auto ad un terzo che è all’oscuro della vicenda o un immobile con tutte le conseguenze pregiudizievoli che ne derivano senza informare l’interessato; in questi casi, dunque, può forse ritenersi che le eventuali conseguenze negative ricadranno sullo stipulante.

La dichiarazione di voler profittare

Natura giuridica

La dichiarazione di adesione del terzo (che il codice denomina “dichiarazione di voler profittare”) è considerata da parte della dottrina un atto giuridico in senso stretto, perché gli effetti che la legge ricollega ad essa sono meri effetti legali e consistono nell’estinguere il potere di revoca e di consumare il potere di rifiuto da parte del terzo; sarebbe inoltre irrilevante la volontà dell’effetto prodotto.

Ma questa spiegazione è poco comprensibile. La consumazione del potere di rifiuto, e l’estinzione del potere di revoca, implicano infatti una valutazione attenta delle conseguenze dell’atto e per questo possono essere considerate senz’altro un atto di regolamentazione dei propri interessi. Del resto se fosse un atto negoziale sarebbe inimpugnabile per vizi della volontà; ma una conseguenza così grave per il terzo non troverebbe alcuna giustificazione. Si tratta quindi di un negozio giuridico, che richiede tutti i requisiti di capacità propri dei negozi giuridici.

Forma

Nonostante il codice nulla dica al riguardo si ritiene che l’adesione possa essere anche tacita e manifestata per facta concludentia

Altri autori invece sostengono che l’adesione dovrebbe necessariamente espressa. Si tratterebbe infatti di un atto unilaterale recettizio e quindi sarebbe necessaria la comunicazione ai contraenti. Questa interpretazione è autorizzata anche dalla lettera della norma, dal momento che l’articolo 1411 utilizza il termine “dichiarazione”, che mal si attaglia ai comportamenti.

A noi pare che debba preferirsi l’opinione secondo cui si tratta di un atto a forma libera; a parte infatti il silenzio del codice, che parla solo di dichiarazione di voler profittare (e nulla esclude che la dichiarazione possa essere effettuata anche a soggetto che non siano parti) non ci sembra sia possibile che un terzo acquisti un immobile (e abbiamo detto che l’acquisto, secondo la dottrina prevalente, è immediato), lo trasferisca a un terzo (il che significa che senz’altro ha intenzione di profittare) e successivamente possa poi rifiutare l’acquisto, o magari vederselo revocare dallo stipulante.

Il rifiuto

Il terzo può rifiutare il diritto, risolvendo in tal modo l’acquisto a suo favore. Si tratta secondo l’opinione prevalente non di un rifiuto in senso tecnico ma di una vera e propria rinuncia.

Non è previsto dalla legge un termine entro il quale il terzo possa rifiutare. Secondo alcuni autori si applicherebbe quindi l’ordinario termine di prescrizione decennale dei diritti.

Ma in senso contrario si è rilevato che la possibilità di rinunciare ad un bene non è un diritto bensì una facoltà e per questo motivo sarebbe imprescrittibile. Del resto, secondo questa opinione, l’imprescrittibilità del diritto ben si spiega con la non recettizietà del contratto a favore di terzo; dal momento che anche per lungo tempo il terzo potrebbe ignorare l’acquisto in suo favore, deve ritenersi che possa rinunciare al diritto in qualunque tempo.

Tuttavia è forse preferibile l’opinione contraria, per due ragioni: anzitutto per analogia con il termine decennale di prescrizione del legato.

In secondo luogo perché qui può perlomeno dubitarsi che si tratti effettivamente di una facoltà; le facoltà imprescrittibili, infatti, sono solo quelle connesse ed accessorie ad un diritto soggettivo; il potere di rinuncia di cui all’articolo 1411, invece, non è connesso al diritto di proprietà acquistato dal terzo, ma è concesso dalla legge per rimediare alla situazione creatasi con il contratto contro la volontà del terzo. In altre parole, il diritto di rinunciare ad una proprietà è senz’altro un facoltà, imprescrittibile perché connessa con il diritto soggettivo di proprietà; ma la rinuncia di cui all’articolo 1411 non sembra che sia concessa al terzo per effetto dell’acquisto della proprietà (tra l’altro se così fosse sarebbe stato anche inutile precisarlo espressamente) bensì come facoltà autonoma. Si tratta quindi di un diritto e non di una facoltà.

La revoca dello stipulante

Il potere di revoca dello stipulante è senz’altro soggetto a prescrizione decennale. Si tratta di un atto unilaterale, trasmissibile agli eredi, che ha effetto retroattivo – almeno secondo l’opinione prevalente – perché risolve il contratto stipulato con effetti ex tunc.

La possibilità di revoca, che può apparire strana in un contratto che ha già prodotto i suoi effetti, si spiega con due ragioni: anzitutto per il fatto che è solo l’interesse dello stipulante a giustificare il contratto; in secondo luogo per il fatto che il contratto a favore di terzo non ha carattere recettizio e quindi si perfeziona anche prima della conoscenza che il terzo abbia della pattuizione a suo favore.

La dottrina prevalente considera ammissibile la rinuncia al potere di revoca, unilaterale o contrattuale che sia. Lo dimostra l’articolo 1412, anche se con riferimento all’ipotesi particolare in cui la prestazione al terzo debba essere effettuata dopo la morte dello stipulante.

Nulla dispone il legislatore per quanto riguarda la forma della revoca, ma può forse ritenersi operante il principio di simmetria dei negozi accessori, per cui dovrà essere utilizzata la stessa forma propria del contratto che le parti hanno concluso.

Si ritiene che la revoca possa anche essere parziale.

Il problema della collazione

E’ frequente che il contratto a favore di terzo sia utilizzato da un soggetto per effettuare una donazione ad un terzo, evitando il doppio passaggio di proprietà. In tal caso, ovviamente, abbiamo una donazione indiretta che è soggetta a collazione (articolo 737).

Il problema sorge per stabilire se l’oggetto della collazione sia il denaro oppure il bene acquistato. Cioè ci si domanda, qualora il donatario sia anche erede dello stipulante, se costui debba conferire il bene oppure il denaro impiegato per acquistarlo, ciò che non è affatto indifferente dal punto di vista quantitativo qualora l’immobile, dopo anni, valga una somma molto superiore al denaro speso ai tempi dell’acquisto.

La teoria preferibile è quella secondo cui ciò che è stato donato è l’immobile, e sarà questo l’oggetto del conferimento.

Contratto a favore di terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante

L’articolo 1412 disciplina un’ipotesi particolare di contratto a favore di terzo. Esso dispone che se la prestazione deve essere effettuata al terzo dopo la morte dello stipulante questi può revocare il beneficio anche con una disposizione testamentaria e anche se il terzo abbia dichiarato di volerne profittare, salvo che, in quest’ultimo caso, il terzo abbia rinunciato per iscritto al potere di revoca.

Se il terzo premuore allo stipulante la prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del terzo salvo che il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente.

Quanto alla natura giuridica la dottrina discute se si tratti di un negozio mortis causa o inter vivos.

La tesi prevalente sostiene che si tratti di un negozio inter vivos. Prima di tutto perché la stipulazione opera immediatamente, e ciò è dimostrato dal fatto che la prestazione deve essere effettuata agli eredi del terzo se questi premuore allo stipulante; è chiaro allora che il diritto è nella sfera del terzo già da prima della morte dello stipulante, perché non potrebbe trasferirsi un diritto che non si sia acquistato.

Tuttavia anche la teoria contraria vanta autorevoli sostenitori (Betti, Mirabelli, Ferri) e si basa su argomenti di un certo rilievo. Lo stipulante, infatti, vincola un bene per il tempo successivo alla sua morte, ciò che è tipico dei negozi mortis causa. Inoltre la legge prevede che lo stipulante possa revocare in ogni tempo il beneficio, fino al momento del testamento, e anche questa è una caratteristica degli atti di ultima volontà.

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