La riforma della disciplina della proroga delle intercettazioni in G.U.
Con la L. 31 marzo 2025, n. 47 “Modifiche alla disciplina in materia di durata delle operazioni di intercettazione”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 83 del 9 aprile 2025, il legislatore ha riformato l’art. 267c.p.p., precisando i presupposti del decreto motivato del GIP che proroga la durata degli ascolti dopo i primi 45 giorni. Secondo taluni, la nuova norma determinerebbe una ulteriore “stretta” al ricorso a mezzo di ricerca della prova, depotenziandone la portata investigativa, perché non terrebbe conto, tra l’altro, che solo se gli ascolti si protraggono per un tempo sufficiente è possibile apprezzare il significato del linguaggio criptico normalmente adoperato nelle conversazioni captate. In senso diametralmente opposto, è stato sostenuto che il nuovo intervento normativo mirerebbe soltanto a garantire che il mezzo di ricerca della prova sia disposto soltanto quando è assolutamente indispensabile, imponendo una adeguata motivazione della proroga. La riforma non si applica quando si procede per reati di criminalità organizzata, alla cui disciplina sono ricondotte ormai anche le principali fattispecie di delitti contro la pubblica amministrazione.
Una nuova riforma della disciplina delle intercettazioni
Con la L. 31 marzo 2025, n. 47, “Modifiche alla disciplina in materia di durata delle operazioni di intercettazione”, il legislatore ha provveduto ad una nuova riforma della disciplina delle intercettazioni, consistente nella precisazione dei presupposti del decreto motivato del GIP che proroga la durata degli ascolti dopo i primi 45 giorni.
La riforma dell’
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art. 267 c.p.p. ha suscitato notevoli discussioni durante il percorso di formazione, con opinioni nettamente contrapposte.
Taluni hanno ravvisato in essa un’ulteriore “stretta” al ricorso a mezzo di ricerca della prova, criticando l’eccessiva limitazione dei tempi di effettuazione delle operazioni, di gran lunga inferiore rispetto ai termini delle indagini preliminari, che indebolirebbe la portata dello strumento investigativo e impedirebbe di apprezzare il reale tenore delle captazioni. Solo se l’intercettazione si protrae per un certo lasso temporale è possibile apprezzare il significato del linguaggio, spesso criptico, adoperato da coloro che sono ascoltati, cogliendo la reale portata delle espressioni impiegate e l’effettiva natura delle attività svolte dagli interlocutori.
È stato anche osservato che “Sotto il profilo della valutazione di proporzionalità, il diritto alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni, garantito dall'
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art. 15 Cost., sembra già adeguatamente tutelato dalla legge attraverso … plurimi presupposti e la garanzia del controllo giurisdizionale” (G.L. Gatta, Durata massima delle intercettazioni (45 giorni). Note a caldo sulla legge Zanettin, in www.sistemapenale.it, 24/3/2025).
In senso totalmente opposto, è stato sostenuto che il nuovo intervento normativo mira soltanto ad assicurare che il mezzo di ricerca della prova sia disposto solo quando è assolutamente indispensabile. La norma impone che il provvedimento di proroga delle intercettazioni, che incide su un diritto di rilievo costituzionale, sia motivato adeguatamente, in particolare sulla base di elementi specifici e sopravvenuti, perché, se dopo un certo periodo di tempo, il mezzo non ha portato a risultati concreti, non deve essere reiterato (in sostanza, in attesa del compimento di un reato, più che della prova di esso).
Il decreto di proroga delle intercettazioni
L’
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art. 267, comma 3, c.p.p. prevede che il decreto del pubblico ministero che dispone le intercettazioni indica le modalità e la durata delle operazioni. Tale durata non può superare i 15 giorni. Il giudice per le indagini preliminari, peraltro, con decreto motivato, può prorogare la durata delle operazioni per periodi successivi di 15 giorni, “qualora permangano i presupposti indicati al comma primo”.
La norma, dunque, permette la proroga delle intercettazioni solo previo riscontro della persistenza delle condizioni che le legittimano. Tale riscontro deve risultare dal provvedimento di proroga che, pertanto, deve essere “motivato”.
L’
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art. 267 c.p.p., pertanto, inserisce nell’oggetto di controllo del giudice anche il rispetto del termine di durata delle captazioni per assicurare il contenimento nei limiti temporali strettamente necessari l’esecuzione di un’attività di indagine invasiva ed incidente sul diritto alla riservatezza nelle comunicazioni personali.
Nella prassi, la motivazione della proroga delle operazioni è notevolmente più sintetica rispetto a quella dell’autorizzazione.
Tale consuetudine ha trovato l’avallo della giurisprudenza di legittimità.
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, infatti, l’obbligo della motivazione del decreto di proroga delle intercettazioni telefoniche, dovendo avere ad oggetto la persistente attualità delle condizioni di legittimità del provvedimento genetico del mezzo di ricerca della prova, presenta aspetti di minore specificità e ben può risolversi nel dare atto della constatata plausibilità delle ragioni esposte (Cass. pen., Sez. VI, n. 10686 del 28/1/2003, in CED Cass. n. 225351; Cass. pen., Sez. VI, n. 2114 del 12/9/1996, in CED Cass. n. 206313 - 01).
In particolare, si afferma che la motivazione dei decreti di proroga può essere ispirata a criteri di minore specificità rispetto alle motivazioni del decreto di autorizzazione, potendosi anche risolvere nel dare atto dellaplausibilità delle ragioni esposte nella richiesta del pubblico ministero (
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Cass. pen., Sez. VI, n. 22524 del 1/7/2020, in CED Cass. n. 279564 – 01).
Questo indirizzo giurisprudenziale sembra essere sorto in tema di reati di criminalità organizzata. Per questi reati, l’
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art. 13 del
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D.L. n. 152/1991, conv. in L. n. 2023/1991, prevede che l’autorizzazione allo svolgimento di intercettazioni e la proroga delle stesse presupponga la “necessità” del mezzo di ricerca della prova, oltre che la sussistenza di sufficienti indizi di reato. In tale ambito, pertanto, la proroga delle intercettazionipuò effettivamente essere ispirata a criteri di minore specificità. Questo orientamento, tuttavia, è applicato dalla giurisprudenza anche fuori dalle ipotesi in cui si procede per reati di criminalità organizzata (cfr., tra le altre,
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Cass. pen., Sez. III, n. 4212 del 19/12/2023, dep. 2024).
La dottrina non ha mancato di criticare l’orientamento che, anche nell’ipotesi di cui all’
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art. 267, comma 3, c.p.p., giustifica una minore specificità della motivazione del decreto di proroga perchè, trattandosi di uno strumento incidente sulla libertà di comunicazione, “l’essenza della proroga non può meritare incurvature del diritto alla motivazione” (P. Maggio, V. Virga, Le richieste e i provvedimenti di autorizzazione, in P. Maggio (a cura di), La nuova disciplina delle intercettazioni, Torino, 2023, 122). A tal proposito si auspicava già da tempo l’intervento del legislatore per la fissazione di criteri specifici in relazione alle modalità e alla durata delle operazioni, al fine di consentire al giudice di controllare la legittimità delle stesse in rapporto al caso concreto, superando un controllo, come quello attuale, di natura strettamente formale (A. Vele, Le intercettazioni nel sistema processuale penale. Tra garanzie e prospettive di riforma, Padova, 2011, 130).
La riforma dell’art. 267, comma 3, c.p.p.
Con l’art. 1 della L. n. 47/2025, all’
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art. 267, comma 3, c.p.p. è stato aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le intercettazioni non possono avere una durata complessiva superiore a quarantacinque giorni, salvo che l’assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione».
Dopo la riforma dell’
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art. 267, comma 3, c.p.p., il decreto di proroga deve ancora essere motivato con la permanenza dei presupposti del provvedimento autorizzativo. Occorre, quindi, che il giudice spieghi nel provvedimento perché permangono la gravità indiziaria di un reato che rientra nel catalogo dell'
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art. 266 c.p.p. e l'assoluta indispensabilità del mezzo di ricerca della prova ai fini della prosecuzione delle indagini.
Dopo la seconda proroga, cioè dopo quarantacinque giorni dall’inizio degli ascolti, tuttavia, la prosecuzione delle operazioni può essere autorizzata solo se giustificata “dall'emergere di elementi specifici e concreti”.
Il decreto di proroga, cioè, deve indicare gli elementi specifici e concretiemersi – cioè, nuovi o ulteriori rispetto a quelli valutati in sede di autorizzazione - che giustificano la prosecuzione degli ascolti.
Tali elementi, inoltre, devono essere oggetto di “espressa motivazione”.
La nuova norma, pertanto, impone necessariamente di rimeditare il consolidato orientamento giurisprudenziale dapprima illustrato. Per autorizzare la prosecuzione degli ascolti dopo i primi 45 giorni, dunque a partire dalla terza proroga, non basta una motivazione minima che si risolva, come era possibile in precedenza, nella mera affermazione della plausibilità delle ragioni esposte nella richiesta del pubblico ministero, ma occorre indicare espressamente i nuovi elementi che legittimano la continuazione delle operazioni.
La nuova disposizione, d’altra parte, si applica solo quando si procedere per reati diversi da quelli che non rientrano nell’area operativa dell’
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art. 13 del
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D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla
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L. 12 luglio 1991, n. 203, come espressamente prevede l’art. 1, comma 2, della L. n. 47/2025. In questo caso, come è già stato indicato, la proroga presuppone che l’intercettazione sia “necessaria per lo svolgimento delle indagini” e che sussistano “sufficienti indizi” in relazione ad un delitto di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono
Gli elementi “specifici e concreti”
Il concetto di concretezza degli elementi che possono giustificare la proroga induce ad escludere il rilievo di fatti che hanno carattere meramente congetturale od ipotetico.
Più difficile è cogliere il significato da attribuirsi alla specificità degli stessi, ancorché sembra corretto ritenere che tale attributo vada colto dalla relazione sussistente tra l’elemento emerso e l’ipotesi delittuosa che giustifica il ricorso al mezzo di ricerca della prova.
Appare corretto ritenere, poi, che i nuovi elementi non debbano necessariamente risultare dagli esiti delle precedenti intercettazioni, potendo provenire anche da altri mezzi investigativi in atto. Tale seconda opzione sembra più in linea con l'
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art. 267, comma 1, c.p.p., che fonda l'autorizzazione allo svolgimento di intercettazioni sull'assoluta indispensabilità del mezzo di ricerca della prova “ai fini della prosecuzione delle indagini”, condizione che lascia un margine operativo più ampio all’investigatore (P. Fimiani, Sulla proposta di legge C. 2084 in materia di "Modifiche alla disciplina in materia di durata delle operazioni di intercettazione, in Sistema penale 28/11/2024).
La tesi alternativa determinerebbe la costituzione di un doppio standard probatorio giustificativo del proseguimento degli ascolti: le prime due proroghe potrebbero fondarsi anche su elementi non emersi dagli ascolti, mentre quelle eventualmente successive dovrebbero essere fondate solo sugli esiti intercettazioni. Questa soluzione potrebbe portare a situazioni irragionevoli. È stato fatto l’esempio della prova dichiarativa, raccolta in prossimità della scadenza del termine dei 45 giorni, da cui risulti l’imminente consegna di una partita di stupefacente, la quale, seguendo l’opzione restrittiva, non potrebbe giustificare la proroga delle operazioni di ascolto, trattandosi di elemento raccolto al di fuori delle intercettazioni (P. Fimiani, Sulla proposta di legge C. 2084, cit.).
Non sembra chegli elementi specifici che giustificano la proroga delle intercettazioni dopo i primi 45 giorni debbano essere necessariamente pertinenti alla particolare utenza oggetto di captazione o alla singola intercettazione tra presenti da prorogare (cioè al singolo “RIT”, posto che, ormai, per esigenze pratiche ogni decreto riguarda una utenza o una ambientale). Si deve trattare di elementi specifici perché relativi alla gravità indiziaria del reato che ha permesso le intercettazioni, i quali dimostrano l’indispensabilità del mezzo di ricerca della prova che è stato disposto. Ai fini della proroga, pertanto, appare possibile anche una valutazione d’insieme delle intercettazioni in corso che dimostri l’assoluta indispensabilità della continuazione di tutti gli ascolti precedentemente autorizzati ovvero di una parte di essi alla luce degli elementi concreti e specifici emersi.
La formulazione della disposizione, infine, induce anche a chiedersi se, ai fini della prosecuzione delle intercettazioni dopo i primi 45 giorni, sia sufficiente che gli elementi “specifici e concreti” emergano in un qualsiasi momentoricompresonel periodo precedente a detto termine ovvero, se sia anche necessario che, durante il singolo arco temporale in cui si sviluppa ciascuna successiva proroga (ogni 15 giorni), emergano elementi “specifici e concreti” con carattere di novità rispetto ai precedenti.
È stato sostenuto che la ratio sottesa alla nuova disciplina dovrebbe condurre a ritenere corretta la seconda lettura (così P. Fimiani, Sulla proposta di legge C. 2084, cit.). Questa interpretazione che, peraltro, non pare obbligata dalla lettera della norma (la proroga deve essere “… giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti …”, senza l’indicazione del momento in cui ciò deve avvenire), potrebbe incidere sull’efficacia delle indagini.
Proroga delle operazioni e motivazione per relationem
Nella prassi degli uffici giudiziari, la proroga delle intercettazioni è un decreto motivato per relationem. Il decreto del GIP fa riferimento alla richiesta di proroga del pubblico ministero ovvero all'informativa sottesa alla stessa.
Non pare che la nuova norma in esame, secondo cui l’assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore deve essere giustificata dall’emergere di “elementi specifici e concreti”, che devono essere oggetto di “espressa motivazione” escluda la possibilità di continuare ad utilizzare la motivazione per relationem. Anche una motivazione redatta secondo tale modalità, infatti, può ritenersi “espressa”.
La motivazione per relationem, infatti, costituisce una mera tecnica di redazione del provvedimento ed è uno strumento molto utile per il giudice in quanto consente l’utilizzo adeguato e razionale del suo tempo.
La nuova norma, tuttavia, obbliga a maggior ragione al rispetto rigoroso dei principi elaborati dalla giurisprudenza in tema di motivazione per relationem; si tratta delle regole individuate dalla giurisprudenza di legittimità e riassunte chiaramente nella sentenza
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Cass. pen., Sez. Un., n. 17 del 21/6/2000, P.
La motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando:
1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione;
2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione;
3) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica e, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione (cfr.
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Cass. pen., Sez. IV, n. 4181 del 14/11/2007; Cass. pen., Sez. III, n. 2125 del 27/11/2002).
Il rinvio all’informativa di polizia o alla richiesta del pubblico ministero, pertanto, integra una motivazione che rispetta l’
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art. 15 Cost. e l’
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art. 267 c.p.p. solo se abbia comportato il necessario vaglio critico da parte del giudice. Il giudicante deve mostrare di aver preso in esame e fatto proprio l’atto richiamato.
In occasione della proroga, quindi, il giudice deve dimostrare di aver vagliato gli elementi “specifici e concreti” emersi che giustificano la continuazione degli ascolti, dimostrando l’assoluta indispensabilità del mezzo di ricerca della prova in atto.
Gli elementi di valutazione a disposizione del GIP
Va peraltro osservato che il giudice potrebbe non avere a disposizione gli elementi per esprimere una valutazione completa circa la permanenza dei presupposti per le intercettazioni.
Il GIP, in occasione della richiesta di proroga, potrebbe ritrovare negli atti la trascrizione sommaria solo di talune conversazioni reputate utili dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria oppure la mera elencazione dei contatti telefonici tra l’indagato o la persona le cui conversazioni si ipotizza utili all’inchiesta e l’utilizzatore dell’utenza, anche perché le conversazioni registrate potrebbero non essere state ancora trascritte sommariamente ex
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art. 268, comma 2, c.p.p. o essere state trascritte soltanto in minima parte.
In simili situazioni, a maggior ragione in forza della nuova norma, qualora il GIP non possa effettuare un completo vaglio dell’assoluta indispensabilità del mezzo di ricerca della prova, deve rigettare il provvedimento richiesto.
La decorrenza dei termini di durata
Il termine di durata delle intercettazioni, entro il quale deve essere avanzata la richiesta di proroga, decorre dal giorno dell’inizio effettivo delle operazioni e non da quello in cui viene emesso il provvedimento che le autorizza (
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Cass. pen., Sez. I, n. 31828 del 20/6/2018, dep. 2019, in CED Cass. n. 276719 – 01;
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Cass. pen., Sez. VI, n. 22501 del 18/3/2011). Il termine comprende anche il primo giorno in cui l’attività di intercettazione ha avuto concreta esecuzione (
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Cass. pen., Sez. V, n. 21047 del 11/3/2011).
Le modalità e la durata delle operazioni, previamente autorizzate, sono rimesse al pubblico ministero, salva la possibilità di proroga del termine da parte del giudice, che solo in tale specifica ipotesi indica l’ulteriore periodo di protrazione dell'attività di ricerca della prova. Il termine di durata delle intercettazioni può legittimamente essere sospeso, per ragioni contingenti, funzionali alle indagini e concretamente apprezzabili, per poi riprendere la sua decorrenza dal momento in cui, venuta meno la causa di sospensione, venga riattivata la captazione delle conversazioni, senza la necessità di una nuova autorizzazione, ove permangano i presupposti previsti dalla legge (
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Cass. pen., Sez. VI, n. 11682 del 18/11/2010). Il pubblico ministero deve comunicare al GIP in occasione della richiesta di proroga le eventuali sospensioni.
L’area operativa della riforma
La nuova norma interviene sull’
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art. 267, comma 3, c.p.p., cioè sulla disciplina delle intercettazioni disposte quando si procede per reati comuni. Essa fa espressamente salvo, considerandolo derogatorio, il regime speciale della durata delle operazioni di intercettazione previsto dall’
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art. 13 del
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D.L. n. 152/1991 convertito dalla
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L. 12 luglio 1991, n. 203 per i reati di criminalità organizzata o di minaccia con il mezzo del telefono.
Al riguardo, va osservato che l'ambito di applicazione dell'art. 13 cit. è stato successivamente esteso:
- ai procedimenti per delitti di terrorismo di cui agli
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articoli 270-ter e
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280-bis c.p., nonché all'
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articolo 407, comma 2, lett. a), n. 4 c.p.p. (
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art. 3
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D.L. n. 374/2001);
- ai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'
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articolo 4 del codice di procedura penale (
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art. 6 del
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D.Lgs. n. 216/2017);
- ai procedimenti per i delitti, consumati o tentati, di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti (
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art. 452-quaterdecies c.p.) e sequestro di persona a scopo di estorsione (
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art. 630 c.p.), ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall'
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articolo 416-bis c.p. (forza di intimidazione del vincolo associativo e condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano) o per agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso (
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art. 1, comma 1,
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D.L. n. 105/2023, conv. con
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L. n. 137/2023, norma definita di carattere interpretativo a partire da
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Cass. pen., Sez. II, n. 47643 del 28/9/2023 e, da ultimo, da
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Cass. pen., Sez. V, n. 7086 del 20/11/2024, dep. 2025; prima,
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Cass. pen., Sez. VI, n. 41458 del 17/10/2024);
- ai procedimenti per i delitti di accesso abusivo a sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico (
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art. 615-ter, comma 3, c.p.); di danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici pubblici o di interesse pubblico (
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art. 635-ter c.p.); di danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblico interesse (635-quinquies c.p.); nonché, quando i fatti sono commessi in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità, in relazione ai procedimenti per i delitti legati ad attività di intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche (
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artt. 617-quater,
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617-quinquies e
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617-sexies c.p.), in base al comma 3-bis dello stesso articolo 13, inserito dall'
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art. 19, comma 1, della
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L. n. 90/2024, che rinvia al comma 4-bis dell’
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art. 371-bis c.p.p., nel quale si fa riferimento al coordinamento del Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo anche per tali reati.
È solo il caso si segnalare che i delitti illustrati sono quelli per i quali si ricorre maggiormente alle intercettazioni.
Va anche segnalato che, approvando la nuova norma, la Camera ha votato un ordine del giorno che preannuncia un ulteriore allargamento dell’area operativa dell’art. 13 cit., dal momento che impegna il Governo "ad adottare le opportune iniziative normative al fine di estendere ai delitti di violenza sessuale e di violenza di genere, stalking, revenge porn, e pedopornografia il regime della proroga prevista dall'
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articolo 13 del
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D.L. n. 152/1991" (Ordine del giorno n. 9/02084/001, del 19/3/2025).
Considerato che, sul piano numerico, la maggior parte dei decreti di intercettazioni sono emessi in procedimenti relativi a reati che rientrano nella disciplina della criminalità organizzata, la nuova norma potrebbe avere una limitata area operativa.
Nondimeno l’impatto sull’efficacia delle indagini della disposizione illustrata potrebbe non essere trascurabile, soprattutto sulle inchieste che concernono reati particolarmente gravi come l’omicidio, qualora non maturato nell’ambito della criminalità organizzata, o il traffico di stupefacenti, ove posto in essere al di fuori di contesti associativi.