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Casa costruita sul terreno del convivente: l’ex partner ha diritto al rimborso delle spese

Il convivente che abbia contribuito a costruire l’immobile sul suolo di proprietà esclusiva dell’ex partner, cessata la convivenza, può esperire l’azione di arricchimento senza causa

casa in costruzioneDurante la convivenza, uno dei partner partecipa alla costruzione della casa sul terreno di proprietà esclusiva dell’altro. La coppia vive nell’immobile per qualche tempo e poi la relazione cessa. A questo punto, il soggetto non titolare del diritto di proprietà agisce in giudizio contro l’altro per ottenere la rifusione degli esborsi effettuati.

Quale azione esperire?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 16 febbraio 2022 n. 5086 (testo in calce), risponde all’interrogativo. In particolare, i giudici di legittimità affermano la non applicabilità della regola prevista in materia di accessione (art. 936 c.c.), in base alla quale il proprietario del fondo può decidere di mantenere l’opera realizzata sul suo terreno corrispondendo un’indennità all’autore. Il convivente non può considerarsi terzo – come, invece, prevede la citata disposizione – dal momento che è tale solo il soggetto che non abbia con il proprietario alcun rapporto giuridico, reale o personale, che gli attribuisca la facoltà di costruire sul suolo. Quindi, l’art. 936 c.c. non si applica nell'ipotesi in cui le opere siano state realizzate dal convivente che abbia impiegato denaro e tempo libero per la costruzione dell'abitazione comune e non a vantaggio esclusivo del partner. L’ex compagno può agire in giudizio esperendo l’azione di arricchimento senza causa purché le somme erogate non rientrino nella disciplina delle obbligazioni naturali. Egli ha «diritto a recuperare il denaro che ha versato e ad essere indennizzato per le energie lavorative impiegate volontariamente, per quella determinata finalità, in applicazione e nei limiti del principio dell'indebito arricchimento».
Viceversa, ricorre la figura dell’obbligazione naturale – ed è esclusa la ripetizione di quanto versato – allorché le somme erogate abbiano come effetto esclusivo l'arricchimento del partner e sia ravvisabile un rapporto di proporzionalità tra tali somme e i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dai conviventi.

Sommario

  1. La vicenda
  2. No all’applicazione dell’art. 936 c.c.: il convivente non può considerarsi terzo
  3. Matrimonio: opere realizzate sul fondo del coniuge
  4. Convivenza: costruzione della casa sul terreno di proprietà dell’altro convivente
  5. Arricchimento senza causa e obbligazione naturale nella convivenza di fatto
  6. Conclusioni: il principio di diritto

1. La vicenda

Una donna conveniva in giudizio il suo ex convivente al fine di ottenere il rilascio dell’immobile di sua proprietà occupato dal convenuto. Questi, in via riconvenzionale, domandava il pagamento delle migliorie apportate alla casa durante il periodo di convivenza more uxorio. Il tribunale accoglieva la riconvenzionale dopo aver accertato i lavori effettuati dal convenuto e condannava l’erede universale dell’attrice – medio tempore subentrato del processo – al pagamento di un indennizzo pari a circa 57 mila euro. In sede di gravame, il giudice di merito faceva applicazione del principio di cui all’art. 936 c.c. e, ritenendo errata la quantificazione operata in primo grado, disponeva il pagamento di un’indennità pari a 19 mila euro a favore dell’ex convivente. Inoltre, quantificava in circa 21 mila euro l’indennizzo dovuto dall’uomo per l’occupazione abusiva dell’immobile – in virtù del valore locativo dello stesso – e lo condannava al rilascio. Si giunge così in Cassazione.

2. No all’applicazione dell’art. 936 c.c.: il convivente non può considerarsi terzo

Il ricorrente lamenta l’erronea applicazione dell’art. 936 c.c. La disposizione riguarda le opere fatte sul terreno altrui con materiali di un terzo e prevede due ipotesi. Infatti, il proprietario del fondo ha diritto:

  • di tenere le opere realizzate dal terzo, in tal caso deve corrispondere a questi il valore dei materiali e il prezzo della mano d'opera oppure l'aumento di valore recato al fondo;
  • oppure può obbligare il terzo a rimuovere le opere, oltre al risarcimento del danno.

Nel caso di specie, le opere sono state effettuate dal ricorrente in pieno accordo con la sua compagna di allora, proprietaria del terreno su cui sorge il rustico. La norma in discorso, invece, trova applicazione solo nel caso in cui l’autore delle opere sia un terzo, vale a dire un soggetto con il quale il titolare del fondo non abbia alcun legame giuridico o personale che giustifichi la realizzazione delle opere (Cass. 5072/1993; Cass. 895/1997; Cass. 11835/2003; Cass. 12550/2009). Ad esempio, non può essere considerato terzo chi abbia eseguito l'opera in base ad un contratto concluso con il proprietario dell'immobile (fatte salve le ipotesi di invalidità o risoluzione - Cass. 956/1995; Cass. 895/1997).

3. Matrimonio: opere realizzate sul fondo del coniuge

Nel suo percorso argomentativo, la Corte ricorda incidenter tantum che il principio dell’accessione (ex art. 934 c.c.) risulta applicabile anche nell’ipotesi in cui le parti siano legate da un rapporto di coniugio e siano in regime di comunione legale.

In caso di matrimonio, qualora il coniuge abbia costruito opere sul fondo di proprietà esclusiva dell’altro, il primo non acquista alcun diritto sulla costruzione appartenente al secondo e detta costruzione non finisce in comunione. Il coniuge non proprietario può solo chiedere la ripetizione delle somme erogate purché ne provi l’esborso. Infatti, la tutela del coniuge-non proprietario del suolo opera sul piano obbligatorio consistente nel diritto di ripetere dall’altro coniuge le spese affrontate per la costruzione (Cass. 20508/2010).

Per completezza espositiva si ricorda che l’acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario (art. 934 c.c.) mentre gli acquisti ai quali è applicabile la comunione legale (art. 177 c. 1 c.c.) hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale. Pertanto, «la costruzione realizzata in costanza di matrimonio e in regime di comunione legale, da entrambi i coniugi, sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest’ultimo» (Cass. 7060/2004). È pur vero che l’art. 934 c.c. ammette delle deroghe, ma non può considerarsi tale il disposto dell’art. 177, lett. a) c.c. che disciplina, in via generale, gli acquisti del singolo coniuge in regime di comunione legale.

Torniamo ora alla fattispecie in esame.

4. Convivenza: costruzione della casa sul terreno di proprietà dell’altro convivente

La problematica affrontata dai supremi giudici riguarda la qualificazione giuridica dell’azione che deve esperire l’ex convivente (non proprietario del suolo) che abbia contribuito, con il proprio lavoro e con il proprio contributo economico, a costruire l’immobile sul fondo del compagno. Le prestazioni personali o economiche dell’ex convivente vanno a vantaggio del proprietario esclusivo del fondo; quest’ultimo acquista anche la proprietà della costruzione in virtù del principio di accessione (superficies solo cedit). Quindi, al partner non resta altra possibilità che esperire l’azione di arricchimento senza causa. Tale azione ha natura sussidiaria e può essere esercitata solo laddove il danneggiato non possa esperire un'altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito (art. 2042 c.c.). Nel caso in esame, non è utilizzabile il rimedio previsto dall’art. 936 c.c., pertanto, opera la disciplina dell’ingiusto arricchimento. Infatti, è avvenuto uno spostamento patrimoniale, non giustificato da alcun titolo.

L’arricchimento senza causa rientra tra “gli altri fatti” idonei a costituire fonte di obbligazione (art. 1173 c.c.). Nel nostro ordinamento, ogni spostamento di ricchezza deve essere giustificato così come ogni arricchimento deve dipendere dalla realizzazione di un interesse meritevole di tutela (Cass. 11330/2009). L’azione di arricchimento senza causa ha come presupposti:

  • l’arricchimento di una parte (in questo caso, la ex compagna che si giova dell’immobile costruito dal suo ex convivente);
  • la diminuzione patrimoniale dell’altra parte (l’ex convivente ha realizzato l’opera con le proprie sostanze e, quindi, ha subito un depauperamento nella propria sfera patrimoniale),
  • la mancanza di una causa giustificativa.

Non può parlarsi di ingiusto arricchimento (iniusta locupletatio) «qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale».

Nell’ambito di un rapporto more uxorio, si può parlare di ingiustizia dell’arricchimento quando le prestazioni a vantaggio di uno dei due esulino dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza e travalichino i limiti di proporzionalità e adeguatezza. Il contenuto di tali obbligazioni va valutato alla luce delle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto.

5. Arricchimento senza causa e obbligazione naturale nella convivenza di fatto

Nei rapporti di convivenza, solitamente, il conferimento del denaro e la prestazione del lavoro avvengono su base volontaria. Nella fattispecie in esame, la costruzione dell’immobile si inseriva all’interno del progetto di vita della coppia che ha coabitato nella casa a tal fine edificata per alcuni anni. Come abbiamo visto, in virtù del principio dell’accessione, il fabbricato è rientrato nella proprietà esclusiva del convivente titolare del suolo e va escluso l’animusdonandi da parte dell’altro, in quanto la realizzazione dell’opera faceva parte del comune progetto familiare.
Quando la convivenza cessa, il convivente non proprietario del bene ha diritto:

  • di recuperare le somme spese
  • e di essere indennizzato per il lavoro (volontariamente) svolto nei limiti di quanto previsto dall’azione di indebito arricchimento.

Secondo gli ermellini: «i contributi, in lavoro o in natura, volontariamente prestati dal partner di una relazione personale per la realizzazione della casa comunque non sono prestati a vantaggio esclusivo dell'altro partner e pertanto non sono sottratti alla operatività del principio della ripetizione di indebito».

Prima di applicare le norme sull’arricchimento senza causa, occorre indagare l’entità degli esborsi e dei conferimenti per valutare se sia applicabile la disciplina delle obbligazioni naturali. Nell’ambito del rapporto more uxorio, si può parlare di obbligazione naturale solo nel caso in cui

  • le somme erogate abbiano come effetto esclusivo l'arricchimento del partner,
  • sia ravvisabile un rapporto di proporzionalità tra tali somme e i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dai conviventi (Cass. 3713/2003).

Viceversa, non si rientra nell’ambito delle obbligazioni naturali qualora gli esborsi superino la soglia di proporzionalità ed adeguatezza in relazione ai mezzi dei rispettivi partner e superino il normale contributo alle spese ordinarie della convivenza (Cass. 1266/2016).

6. Conclusioni: il principio di diritto

La Suprema Corte cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte d'appello in diversa composizione che dovrà attenersi al seguente principio di diritto:

  • «L'art. 936 c.c. trova applicazione soltanto quando l'autore delle opere sia realmente terzo, ossia non abbia con il proprietario del fondo alcun rapporto giuridico di natura reale o personale che gli attribuisca la facoltà di costruire sul suolo. La norma non si applica nell'ipotesi in cui le opere siano state realizzate dal convivente o da chi sia legato ad una relazione sentimentale con il proprietario del suolo ed abbia impiegato denaro e tempo libero per la costruzione dell'abitazione comune e non a vantaggio esclusivo del convivente»

CASSAZIONE CIVILE, N. 5086/2022>> SCARICA IL PDF

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