SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 14 luglio 2015, n. 14642
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME' Giuseppe - Presidente -
Dott. PETTI Giovanni B. - Consigliere -
Dott. CHIARINI Maria Margherita - Consigliere -
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere -
Dott. SESTINI Danilo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 27566/2013 proposto da:
R.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 24, presso lo studio dell'avvocato GIACOBBE Giovanni, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato SALVATORE ARMENIO giusta procura speciale in calce al ricorso;
- ricorrente contro
FONDAZIONE MONTE TABOR in liquidazione e in concordato preventivo (già FONDAZIONE CENTRO SAN RAFFAELE DEL MONTE TABOR), in persona dei liquidatori Prof. PE.FR., Prof. RI.EM. e Dott. M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell'avvocato VINCENTI Marco, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo studio dell'avvocato GREGORIO IANNOTTA, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato TULLIA TORRESI giusta procura speciale in calce al controricorso;
- controricorrenti -
e contro
MILANO ASSICURAZIONI SPA, FONDIARIA SAI SPA, NUOVA TIRRENA SPA, CASA DI CURA (OMISSIS) SPA, S.G., D.S.A.;
- intimati -
avverso la sentenza n. 3229/2013 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 19/08/2013, R.G.N. 3294/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2015 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;
udito l'Avvocato GIOVANNI GIACOBBE;
udito l'Avvocato ANGELA DONATACCIO per delega;
udito l'Avvocato GREGORIO IANNOTTA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso p.q.r.
con particolare riferimento ai motivi n. 6 e 7.
Svolgimento del processo
R.S. agì nei confronti del prof. P.C., responsabile del laboratorio di elettrofisiologia presso l'Ospedale (OMISSIS), nonchè contro la Fondazione Centro San Raffaele del Monte Tabor, la Casa di Cura Privata (OMISSIS) s.p.a. e i medici S.G. e D.S.A., per essere risarcita dei danni conseguenti ad un intervento cui si era sottoposta in data (OMISSIS), presso l'anzidetta Casa di Cura (nel corso del quale il P. era stato coadiuvato dallo S. e dal D.S.), al quale aveva fatto seguito un esame elettrofisiologico effettuato dal medesimo P., nel successivo mese di aprile, presso l'Ospedale (OMISSIS).
L'attrice dedusse che il P. avrebbe dovuto procedere ad ablazione (tramite erogazione di energia a radio frequenza) di una minuscola formazione muscolare che costituiva una via di conduzione elettrica secondaria ed anomala rispetto al nodo atrioventricolare e che alterava la regolarità della pulsazione cardiaca; aggiunse che l'intervento non aveva avuto esito positivo e che - per di più - era stato danneggiato irrimediabilmente proprio il nodo atrioventricolare deputato alla fisiologica conduzione elettrica al muscolo cardiaco, ma che - ciononostante - nel corso del successivo controllo effettuato nell'(OMISSIS), il P. l'aveva rassicurata sul fatto che non esistevano più problemi.
Nel giudizio si costituirono tutti i convenuti e vennero chiamate in causa - dalla Casa di Cura (OMISSIS), ai fini dell'eventuale manleva- la Milano Assicurazioni s.p.a, la Fondiaria Assicurazioni s.p.a. e la Nuova Tirrena s.p.a.
Il Tribunale di Milano accertò la responsabilità del P. e della Casa di Cura (OMISSIS) (condannandoli, in solido, al pagamento di poco più di 138.000,00 Euro, oltre accessori e spese), dichiarò le compagnie assicuratrici tenute a manlevare la Casa di Cura e rigettò la domanda nei confronti degli altri convenuti.
Disposta nuova C.T.U. medico-legale, la Corte di Appello di Milano ha riformato la sentenza, escludendo ogni responsabilità contrattuale del P. e della Casa di Cura e condannando la R. a restituire alle compagnie assicuratrici quanto da esse versato in esecuzione della sentenza di primo grado.
Ricorre per cassazione la R., affidandosi a sette motivi;
resistono, a mezzo di distinti controricorsi, il P. e la Fondazione Monte Tabor in liquidazione e in concordato preventivo, mentre gli altri intimati non svolgono attività difensiva. Sia la R. che il P. hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo ("violazione e falsa applicazione di legge: artt. 275, 352, 112, 101 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; omessa motivazione circa un fatto controverso decisivo"), la R. deduce la nullità della sentenza perchè emessa senza fissazione dell'udienza di discussione orale, benchè la ricorrente ne avesse fatto richiesta in sede di precisazione delle conclusioni, ribadendola nella memoria di replica mediante rinvio alle predette conclusioni.
1.1. La censura è infondata giacchè l'omessa fissazione, nel giudizio d'appello, dell'udienza di discussione orale non comporta necessariamente la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa; atteso, infatti, che l'art. 360 c.p.c., n. 4, nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato "error in procedendo", per configurare una lesione del diritto di difesa non basta affermare genericamente che la mancata discussione ha impedito al ricorrente di esporre meglio la propria linea difensiva, ma è necessario indicare quali siano gli specifici aspetti che la discussione avrebbe consentito di evidenziare o di approfondire, colmando lacune e integrando gli argomenti ed i rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi (cfr. Cass. n. 18618/2003).
2. Col secondo motivo (che deduce errores in procedendo in relazione agli artt. 342 e 112 c.p.c., e omessa motivazione), la ricorrente si duole che la Corte non abbia preso in considerazione l'eccezione di inammissibilità dell'appello per carenza di specificità dei relativi motivi.
2.1. Anche questo motivo è infondato in quanto l'atto di appello del P. (che si esamina a fronte della deduzione di un error in procedendo) contiene, oltre a specifiche censure in rito, doglianze di merito che, sebbene circoscritte al tema dell'esclusione del nesso di causa fra l'intervento di ablazione e il blocco nel nodo atrioventricolare, risultano sufficientemente specifiche e contengono, oltre a quella volitiva, una parte argomentativi volta a confutare le ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata.
Appaiono così rispettati i criteri individuati dalla giurisprudenza di legittimità che, senza richiedere un particolare rigore di forme (cfr. Cass. n. 6978/2013), ritiene soddisfatto il requisito della specificità quando, secondo una verifica da effettuarsi in concreto, l'atto di impugnazione consenta di individuare le ragioni del gravame e le statuizioni impugnate, sì da consentire al giudice di comprendere con certezza il contenuto delle censure e alle controparti di svolgere senza alcun pregiudizio la propria attività difensiva (ex multis, Cass. n. 22502/2014 e Cass. n. 22781/2014).
3. Il terzo motivo (che deduce error in procedendo per violazione dell'art. 345 c.p.c., e omessa motivazione) censura la sentenza per non avere tenuto conto di un'ulteriore ragione di inammissibilità dell'appello, dovuta al fatto che, con esso, era stato introdotto un tema di indagine totalmente nuovo; la R. evidenzia che, "abbandonata la tesi di una preesistente patologia della paziente, in ordine alla quale si era svolto il contraddittorio nel corso del giudizio di primo grado, il prof. P. aveva introdotto nel processo fatti del tutto nuovi ed eventuali, proponendo l'ipotesi che la patologia dedotta dall'attrice si sarebbe verificata a distanza di quattro anni dal primo intervento ... e sarebbe stata riconducibile a ragioni diverse dal primo intervento, ovvero ad eventuali malattie virali, miocardite o varicella, e non più ad una preesistente patologia".
3.1. Premesso che anche in questo caso la deduzione di un error in procedendo consente l'esame diretto degli atti processuali interessati, deve rilevarsi che, nella comparsa di risposta depositata in primo grado, il P. aveva affermato che, nel corso dell'intervento di ablazione, aveva accertato che il normale sistema di conduzione (quello del nodo AV) non era integro e, considerato il rischio che l'ablazione totale della via secondaria dirottasse la conduzione lungo il sistema di conduzione non integro, desistette dall'ablazione; aveva aggiunto che nella relazione esplicativa rilasciata all'esito della successiva visita effettuata il (OMISSIS), aveva dato atto che "la conduzione lungo il nodo A.V. era fortemente depressa" e che "la capacità conduttiva del nodo A.V. era inferiore rispetto a quella della via accessoria"; aveva affermato - altresì - che "il blocco del nodo atri-ventricolare non è, necessariamente ed esclusivamente, riconducibile ... ad un' errata esecuzione della procedura ablativa della via secondaria, compiuta dal prof. P., ma è, più verosimilmente, ricollegabile ad una preesistente, non diagnosticabile malattia".
Con l'atto di appello, il P. aveva sottolineato che "durante la procedura si documentò solamente un ritardo della conduzione AV e non un blocco AV totale" e che dunque "non esiste nessun nesso di causa-effetto tra la procedura iniziale (effettuata quattro anni prima) e l'insorgenza del blocco AV completo (osservato solo quattro anni dopo la procedura)", tanto più che non si poteva escludere che il blocco AV totale fosse stato provocato da una banale infezione virale.
La censura è infondata: per quanto faccia indubbiamente registrare uno spostamento di accento delle difese (dall'ipotesi di patologie preesistenti interessanti il nodo atrioventricolare a quella di fattori patologici successivi capaci di determinare il blocco), la strategia difensiva è rimasta complessivamente immutata, nel senso della esclusione di un nesso causale fra l'intervento di parziale ablazione e la patologia che rese necessario il successivo impianto del pace maker.
4. Col quarto motivo (che deduce "violazione e falsa applicazione di legge: art. 210 c.p.c., comma 1, anche in riferimento all'art. 116, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; omessa e/o insufficiente motivazione su fatto controverso in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5"), la R. evidenzia che la sentenza impugnata ha omesso di considerare che il giudice di prime cure aveva ordinato un'esibizione documentale (di "tracciati poligrafici afferenti alle pratiche sanitarie di cui l'attrice fu oggetto presso la Casa di Cura (OMISSIS) e presso l'Ospedale (OMISSIS)"), cui i convenuti non avevano ottemperato, e si duole che, nel rigettare le censure da essa mosse con l'appello incidentale, la Corte abbia sostenuto che la R. non aveva rinnovato la richiesta istruttoria e che, per altro verso, la richiesta non poteva essere accolta "stante l'evidente funzione di supplenza che l'evasione di un ordine di tal fatta avrebbe avuto in relazione all'onere della prova incombente sulla R. medesima".
4.1. La censura, benchè prospettata in relazione a tre distinti vizi ex art. 360 c.p.c., lamenta - nella sostanza - che non siano state tratte le dovute conseguenze - ex art. 116 c.p.c - dalla mancata osservanza dell'ordine di esibizione emesso dal giudice di primo grado, introducendo pertanto una doglianza di tipo motivazionale.
Sennonché, dovendosi applicare il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c., n. 5 (in quanto la sentenza è stata pubblicata nell'agosto 2013), difettano le condizioni (come individuate da Cass., S.U. n. 8053/2014) per scrutinare la censura, dato che la Corte si è comunque pronunciata sulla questione e la "riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione" (come da S.U. citata) non consente la valutazione della sufficienza della motivazione adottata dal giudice di appello.
Il motivo è dunque inammissibile.
5. Egualmente inammissibile è il quinto motivo ("violazione e falsa applicazione di legge: art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4; omessa motivazione su fatto controverso in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5"), che censura la sentenza per non avere esaminato l'istanza con cui la R. aveva richiesto l'ammissione ("solo in quanto occorrer possa") di una prova per testi.
Dall'esame dell'articolato istruttorie trascritto in ricorso, non emerge infatti la decisività dei capitoli di prova, dal momento che essi ripropongono circostanze già ampiamente risultanti aliunde, senza introdurre elementi di sostanziale novità.
6. Il sesto motivo deduce "violazione e falsa applicazione di legge:
art. 2909 c.c., art. 324 c.p.c., art. 329 c.p.c. e segg., con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; insufficiente e/o contraddittoria motivazione su fatto controverso: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5": ribadendo quanto dedotto in sede di gravame, la R. evidenzia che la sentenza del Tribunale di Milano presentava "due distinti capi della decisione, determinativi della responsabilità del prof. P., autonomi l'uno dall'altro" e che, "non avendo il prof. P. impugnato il capo di decisione configurante il titolo di responsabilità conseguente alla mancata informativa", detto capo "deve ritenersi coperto da giudicato".
6.1. Al riguardo, la Corte di merito ha affermato che, "una volta ritenuto insussistente qualsiasi profilo di colpa professionale, l'omessa informazione sui rischi connessi all'attività medica, e segnatamente sui rischi connessi all'intervento chirurgico, intanto assurge a fonte autonoma di responsabilità in quanto sia stata accompagnata dalla specifica allegazione da parte del danneggiato del suo probabile rifiuto all'intervento ove lo stesso fosse stato informato delle sue conseguenze pregiudizievoli, fattispecie questa del tutto esclusa nel caso di specie, stante l'acclarata volontà della R. di sottoporsi ad ulteriore intervento ablativo ove fosse risultata l'inefficacia di quello precedentemente subito".
6.2. Le censure sono fondate.
La sentenza di primo grado - che deve essere esaminata, sul punto, essendo lamentato un error in procedendo attinente al giudicato - rileva espressamente (a pag. 10) che la responsabilità del P. a affermata "sia in ragione della carente prestazione professionale, sia per la violazione dell'obbligo contrattuale di fornire una piena informativa sui rischi dell'intervento".
A fronte di un'affermazione di responsabilità riferita a due diversi titoli, il P. si è limitato ad impugnare la statuizione di responsabilità fondata sulla "carente prestazione professionale", con la conseguenza che si è formato il giudicato quanto alla responsabilità da inadempimento dell'obbligo informativo e di acquisizione del consenso informato.
Nè può ritenersi, come sembra fare il giudice di appello, che l'impugnazione in ordine alla affermata carenza della prestazione professionale finisca con il ridondare sulla violazione dell'obbligo informativo, in quanto una siffatta affermazione urta contro la pacifica distinzione, nell'ambito della prestazione medica, del profilo relativo all'informazione (e all'acquisizione del consenso) da quello concernente l'esecuzione dell'intervento.
Va infatti ribadito che - come sottolineato da Corte Costituzionale n. 438/2008
- il consenso del paziente svolge (ex artt. 2, 13 e 32 Cost.) una funzione di sintesi tra due diritti fondamentali della persona, quello all'autodeterminazione e quello alla salute, e che - secondo l'orientamento costante di questa Corte (cfr. Cass., S.U. n. 26972/2008 e Cass. n. 2847/2010)- l'inadempimento da parte del sanitario dell'obbligo di richiedere al paziente l'espressione del consenso informato costituisce - in ogni caso - violazione del diritto inviolabile alla autodeterminazione.
Ciò comporta che la responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo di acquisire il consenso informato discende dal solo fatto della sua condotta omissiva, a prescindere dalla circostanza che il trattamento sia stato eseguito correttamente o meno (fermo restando che la corretta esecuzione influenzerà la liquidazione del danno, che - ovviamente - dovrà essere rapportato alla sola lesione del diritto all'autodeterminazione); sotto tale profilo, infatti, ciò che rileva è che, a causa del deficit di informazione, il paziente non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, consumandosi, nei suoi confronti, una lesione di quella dignità che connota l'esistenza nei momenti cruciali della sofferenza, fisica e psichica (cfr.
Cass. n. 16543/2011).
6.3. Nè è corretto sostenere che, per poter ritenere integrato l'inadempimento dell'obbligo informativo, occorre che il danneggiato alleghi, oltre alla mancata informazione, anche il suo probabile rifiuto all'intervento (in caso di avvenuta adeguata informazione):
infatti, secondo gli ordinari criteri applicabili in ambito di responsabilità contrattuale, anche per l'inadempimento del debito informativo è sufficiente che il danneggiato alleghi l'inadempimento, mentre la tesi prospettata dalla sentenza impugnata inserisce nella fattispecie un ulteriore onere di allegazione a carico del creditore, di cui non vi è traccia nella giurisprudenza - costituzionale e di legittimità - nè nelle norme di riferimento.
Erroneamente il giudice di appello richiama Cass. n. 2847/2010
, giacché il principio mutuato da tale pronuncia non concerne il danno conseguente alla mera violazione del diritto all'autodeterminazione, bensì il diverso danno (alla salute) costituito dalle complicanze non imprevedibili di un intervento correttamente eseguito, rispetto al quale questa Corte ha subordinato il risarcimento alla prova, da offrirsi dal paziente anche a mezzo di presunzioni, che egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento ove fosse stato adeguatamente informato.
Va, al contrario, ribadito che, a fronte dell'asimmetria esistente fra le conoscenze del paziente e quelle dell'operatore sanitario, quest'ultimo è tenuto in ogni caso all'adempimento dell'obbligo di informazione, prima del quale non può presumersi alcuna adesione consapevole al piano d'intervento e neppure alcuna accettazione dei possibili esiti.
6.4. Deve dunque essere affermato l'avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado in punto di inadempimento - da parte del P. - dell'obbligo di acquisire il consenso informato della R. in occasione dell'intervento del (OMISSIS), escludendosi qualunque rilevanza ostativa all'avvenuta impugnazione in punto di responsabilità per l'esecuzione dell'intervento, giacché i profili attinenti alla violazione del diritto all'autodeterminazione sono del tutto autonomi rispetto agli addebiti di colpa professionale incidenti sul diritto alla salute (cfr. Cass. n. 11950/2013 e Cass. n. 2854/2015).
Il motivo va pertanto accolto, con rinvio alla Corte di merito, che dovrà procedere alla valutazione dei riflessi risarcitori dell'avvenuto passaggio in giudicato della statuizione concernente il difetto di informazione, valutazione che dovrà tener conto dei principi sopra richiamati e - altresì - del criterio generale secondo cui il risarcimento del danno non patrimoniale postula il positivo riscontro dei requisiti della gravita della lesione e della serietà del danno (cfr.
Cass., S.U. n. 26972/2008 e Cass. n. 2847/2010 e Cass. n. 11950/2013).
7. Col settimo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 2236, 1218 e 2697 c.c. e "insufficiente e/o contraddittoria motivazione"), la R. si duole che non siano stati correttamente applicati i criteri sul riparto degli oneri probatori in ambito di responsabilità medica laddove la Corte ha affermato che l'attrice non aveva adempiuto all'onere di provare che le lesioni erano conseguite all'operato del P. e dei suoi ausiliari: assume che - al contrario - "sarebbe spettato al P. di fornire la prova di avere esattamente adempiuto la prestazione dovuta e che la patologia da cui la R. è risultata affetta a seguito dell'intervento sarebbe dovuta a situazioni non imputabili all'operatore".
7.1. Al riguardo, la Corte di Appello ha osservato che "il primo giudice non ha fatto buon governo del principio ... secondo cui spetta al danneggiato allegare e provare la determinazione delle lesioni subite oltre la loro causalità con l'operato dei medici, mentre quest'ultimi sono tenuti a dare, per altro verso, la prova di avere operato secondo la buona arte e di non essere incorsi in errori di sorta"; ciò premesso, ha affermato che "non risulta che R. S. abbia adempiuto al proprio onere probatorio, non avendo provato che le lesioni di cui ella è attuale portatrice - lesioni sostanziatesi nelle conseguenze a lei derivate dall'istallazione di un pace maker nell'anno 2000 - siano state conseguenza dell'errata condotta del personale sanitario autore dell'intervento ablativo presso la Casa di Cura (OMISSIS)" e del successivo controllo effettuato presso l'Ospedale (OMISSIS); più specificamente, la Corte ha rilevato che "il blocco del nodo atrio-ventricolare, causa dell'istallazione del pace maker - è stato riscontrato sulla paziente a distanza di molto tempo dall'intervento di ablazione" e "non può essere in alcun modo messo in diretta relazione con l'intervento di ablazione, non potendo ragionevolmente essere ritenuto una complicanza dell'intervento stesso"; ha del pari rilevato che non è risultato provato "che, per effetto dell'intervento ablativo, si sia determinato un peggioramento delle condizioni di salute della R.".
7.2. Il motivo è fondato.
Il nucleo centrale della sentenza impugnata è il seguente: "non risulta che R.S. abbia adempiuto al proprio onere probatorio, non avendo provato che le lesioni di cui è attuale portatrice ... siano state conseguenza dell'errata condotta del personale sanitario"; corollario di tale affermazione è che "la R. avrebbe dovuto allegare - oltre che dimostrare - che durante l'intervento si sia realizzato un evento prodromico al blocco stesso.
A tal riguardo, R.S. ha prospettato l'ipotesi che, in conseguenza del danneggiamento del nodo AV realizzato nel corso dell'intervento di ablazione e riscontrato in sede di studio elettrofisiologico - si sia determinato il successivo blocco AV - diagnosticato per la prima volta - e neanche in via totale - nel dicembre 1999 ... L'assunto è rimasto del tutto privo di riscontro".
7.3. Un'impostazione siffatta dell'apparato argomentativo della sentenza integra errata applicazione dei principi sul riparto dell'onere probatorio elaborati da questa Corte in tema di responsabilità medica.
Debbono prendersi le mosse dall'arresto di Cass., S.U. n. 577/2008, secondo cui "in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante".
In riferimento al nesso causale, le S.U. hanno precisato che "l'inadempimento rilevante nell'ambito dell'azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni così dette di comportamento non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno. Ciò comporta che l'allegazione del creditore non può attenere ad un inadempimento, qualunque esso sia, ma ad un inadempimento, per così dire, qualificato, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno" (cfr. anche
Cass. n. 15993/2011 e Cass. n. 27855/2013).
Pertanto, ferma restando la prova del contratto e del danno da parte del creditore, l'inadempimento e la sua efficienza causale nella produzione del danno sono introdotti dal danneggiato solo a livello di mera allegazione, in quanto il nesso causale va ovviamente accertato - in concreto - in relazione alla prestazione effettivamente resa ed alla prova che della stessa abbia fornito il debitore (la cui maggiore vicinanza alla prova è tanto più marcata quanto più l'esecuzione della prestazione consista nell'applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore, come nel caso in cui questi eserciti una professione protetta).
7.4. La sentenza impugnata non si è uniformata a tali principi.
Anzitutto - come si è visto - la Corte di merito ha ritenuto che dovesse essere l'attrice a provare che "durante l'intervento chirurgico si sia realizzato un evento prodromico al blocco stesso" e che la lesione del nodo atriale sia stata conseguenza dell'errata condotta del personale sanitario.
La corretta applicazione dei principi in tema di riparto dell'onere probatorio comportava invece - che la R. dovesse, per un verso, provare che vi era stata una prestazione sanitaria da parte dei convenuti e che ella era risultata portatrice di una lesione (al nodo atriale) e, per altro verso, limitarsi ad allegare un inadempimento eziologicamente rilevante dell'operatore sanitario (ciò che ha fatto deducendo che la lesione era stata causata dallo stesso P. per errore nell'esecuzione dell'intervento di ablazione transcatetere mediante radiofrequenza).
Atteso che l'inadempimento dedotto era astrattamente idoneo a provocare la lesione del nodo atriale, competeva alle parti convenute provare che - al contrario - vi era stato un esatto adempimento della prestazione sanitaria, ossia che nel corso di questa non era stato commesso alcun errore e non era stato provocato alcun danno al nodo atriale.
7.5. Più specificamente, deve considerarsi che la sentenza impugnata ha ritenuto di dover escludere la responsabilità del P. sulla base di due considerazioni: anzitutto il lasso di tempo intercorso fra l'intervento di ablazione e le prime manifestazioni del blocco atrioventricolare e, in secondo luogo, l'assenza di prove circa il danneggiamento del nodo AV nel corso dell'intervento di parziale ablazione.
Sennonché la prova che si richiedeva era altra: poiché la R. non aveva dedotto una derivazione immediata del blocco dall'intervento, ma un indebolimento che era gradualmente esitato nel blocco, il P. era tenuto a dimostrare che non vi era stato indebolimento del nodo al momento della parziale ablazione del 1996;
si richiedeva, dunque, la prova positiva della invarianza della condizione del nodo rispetto al momento precedente l'intervento, che avrebbe potuto essere offerta o con la dimostrazione che all'esito dell'ablazione non residuava alcun indebolimento o che tale indebolimento era preesistente o - ancora - che l'intervento era stato compiuto con modalità tali da escludere qualunque possibile interferenza col nodo AV; prove - tutte - che incombevano al P., secondo lo stesso criterio adottato dalla citata
S.U. n. 577/2008 (laddove - nella diversa, ma sovrapponibile ipotesi di infezione asseritamente causata da emotrasfusione - ha richiesto alla parte medica di dimostrare che l'infezione preesisteva o che la sacca utilizzata per la trasfusione era esente da virus).
7.6. La sentenza va pertanto cassata anche in relazione ai profili interessati dall'ultimo motivo, con rinvio alla Corte territoriale, che si uniformerà al seguente principio di diritto: "in ambito di c.d. colpa medica, non sussiste a carico del creditore danneggiato l'onere di provare il nesso causale in concreto, essendo egli tenuto solo all'allegazione di un inadempimento che sia - in astratto - eziologicamente atto a provocare il danno, cosicchè, dedotta dall'attore una condotta idonea a porsi in relazione causale con l'insorgenza o l'aggravamento di una patologia provata dal danneggiato, grava poi sul sanitario convenuto dimostrare che tale condotta non vi è proprio stata ovvero provare - positivamente ed in concreto - che, pur esistendo in tutto o in parte l'inadempimento allegato, non sussiste alcun nesso causale tra lo stesso e la patologia, così neutralizzando l'inferenza prospettata dal creditore".
8. La Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite.
P.Q.M.
la Corte, rigettati gli altri motivi, accoglie il sesto e il settimo, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 12 marzo 2015.
Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2015