Famiglia, minori e successioni

Padre in "pressing" sulla figlia per ragioni di credo religioso: la CEDU lo blocca

Pronunciandosi su un caso “italiano” in cui si discuteva della legittimità delle decisioni assunte dalle autorità giudiziarie italiane che avevano impedito ad un uomo - che dopo la separazione, si era convertito ai Testimoni di Geova – di coinvolgere la propria figlia nelle iniziative religiose, venendo tuttavia impedito dai tribunali cui nel frattempo la ex moglie si era rivolta, la Corte EDU sez. I, 19 maggio 2022 (n. 54032/18), ha escluso, sebbene a maggioranza (cinque voti contro due), che vi fosse stata una violazione dell'articolo 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con l'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), letto alla luce dell'articolo 9 (libertà di religione) della Convenzione EDU. Il caso, come anticipato, era stato originato da una controversia tra il ricorrente e la ex compagna, madre della figlia nata dalla loro relazione, avente ad oggetto l'educazione religiosa della ragazza. Il ricorrente era diventato un Testimone di Geova dopo la rottura della relazione. A seguito di un procedimento promosso dalla madre davanti al tribunale, al ricorrente era stato ordinato di astenersi dal coinvolgere attivamente la figlia nelle sue attività religiose. La Corte ha ritenuto che non vi fosse stata alcuna discriminazione tra il ricorrente e la madre basata sulla religione nelle decisioni che avevano determinato il tribunale ad adottare l’ordinanza inibitoria. Le decisioni avevano esclusivamente lo scopo di risolvere la controversia, puntando soprattutto sull'interesse del minore a crescere in un ambiente aperto e sereno, conciliando per quanto possibile i diritti e il credo religioso di entrambi i genitori.

Il caso

Il caso, deciso il 19 maggio u.s., traeva origine dal ricorso (n. 54032/18) contro l’Italia, presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione e.d.u., da un nostro connazionale, T.C., residente a Follonica.

Il signor TC aveva iniziato una relazione con una donna, S.G., nel 2004 con la quale aveva avuto una figlia nel 2006. Dopo la rottura della loro relazione nel 2008, i genitori avevano avuto disaccordi riguardo all'affidamento della figlia ed all'organizzazione delle visite. La questione era stata portata all’attenzione dei giudici e, nel marzo 2014, era stato concesso l'affido condiviso. I genitori avevano raggiunto un accordo che prevedeva che la bambina dovesse risiedere presso la casa della madre, trascorrendo almeno 12 giorni al mese con il padre.

Nel corso di tale procedimento l’ex compagna aveva sostenuto che l’uomo, il quale nel frattempo era diventato un adepto dei Testimoni di Geova, era solito portare la figlia alle funzioni religiose, senza il consenso della madre. Si era anche lamentata del fatto che l’ex compagno stava impedendo alla bambina di andare alla festa di classe e che era solito portarla con sé quando distribuiva riviste religiose per strada. I giudici non avevano deciso su tale questione, chiedendo ai servizi sociali di valutare l'impatto sulla minore delle attività religiose di entrambi i genitori.

Nel gennaio 2015, il Tribunale aveva ordinato al ricorrente di astenersi dal coinvolgere la figlia nelle sue attività religiose.

Il tribunale, basando la sua decisione su una perizia, e concentrandosi principalmente sull'interesse superiore del minore, riteneva che gli intensi sforzi del ricorrente per coinvolgere sua figlia nelle proprie attività religiose erano destabilizzanti e stressanti per la ragazza.

Nel motivare la decisione, i giudici avevano anche tenuto conto del fatto che il ricorrente avesse cercato di nascondere alla madre la partecipazione della figlia alle attività religiose. Nel febbraio 2016 la Corte d'Appello di Firenze respingeva il ricorso dell’uomo.

Tuttavia, chiariva che il provvedimento emesso in primo grado non significava che egli non potesse parlare delle sue convinzioni religiose con la figlia, ma solo che doveva astenersi dal coinvolgere attivamente la figlia nelle sue attività religiose. La Corte di Cassazione respingeva il ricorso proposto contro tale decisione nel maggio 2018.

Il ricorso e le norme violate

Rivolgendosi alla Corte di Strasburgo, basandosi, in particolare sull'articolo 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con l'articolo 8(diritto al rispetto della vita privata e familiare), letto alla luce dell'articolo 9 (libertà di religione), il ricorrente si era lamentato delle decisioni dei giudici nazionali che gli avevano ordinato di astenersi dal coinvolgere attivamente sua figlia nelle proprie attività religiose, sostenendo di essere stato trattato in modo diverso dalla sua ex compagna solo perché lui era un Testimone di Geova.

Aveva sottolineato in particolare che le decisioni erano state sbilanciate a sfavore della sua religione, dando l'impressione che fosse pericolosa e da evitare, mentre il credo e le pratiche religiose della madre non erano state approfondite.

Basandosi anche sull'articolo 6 § 1 (diritto a un equo processo), si era lamentato del fatto che gli era stato negato un equo processo in che i giudici italiani non si pronunciati sul suo ricorso in via d'urgenza.

Il ricorso veniva depositato dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo il 12 novembre 2018.

La decisione della Corte di Strasburgo

La Corte EDU ha ritenuto che le censure del ricorrente dovessero essere esaminate ai sensi dell'articolo 14 in combinato disposto con l'art. 8 della Convenzione, come interpretato ed applicato alla luce dell'art. 9 della Convenzione.

Ha respinto il resto delle sue domande in quanto irricevibili.

In primo luogo, la Corte ha ritenuto che l'ordinanza del tribunale fosse stata finalizzata alla risoluzione del conflitto che era sorto a causa delle opinioni divergenti dei genitori su come educare la figlia. Le decisioni che avevano condotto all'ingiunzione del tribunale avevano tentato di conciliare i diritti di ciascuna delle parti in causa, concentrandosi soprattutto sull'interesse della mino-re a crescere in un ambiente aperto e sereno. In effetti, l'unico scopo dell'ordinanza era stato quello di preservare la libertà di scelta della minore, prendendo in esame le opinioni educative del padre.

In ogni caso, l'ordinanza non aveva vietato al ricorrente di utilizzare i principi educativi di cui disponeva in relazione alla figlia, né gli aveva impedito di prendere parte alle attività dei Testimoni di Geova a titolo personale.

Né tantomeno la sua custodia o i diritti di visita erano stati limitati.

Inoltre, poiché le decisioni non sono definitive e possono essere revocate in qualsiasi momento, il ricorrente ben potrebbe chiedere il riesame della decisione emessa a gennaio 2015. La Corte ha pertanto ritenuto che non vi fosse stata alcuna disparità di trattamento tra il ricorrente e la madre basata sulla religione nell’adozione delle decisioni da parte dei giudici nazionali, in merito alla controversia e non vi era stata alcuna violazione dell'articolo 14 in combinato di-sposto con l'articolo 8, letto alla luce dell'articolo 9.

Si segnala, peraltro, che i giudici Péter Paczolay e Gilberto Felici hanno espresso un comune parere dissenziente, mentre il giudice Raffaele Sabato ha espresso un parere concorde.

Tali pareri sono allegati alla sentenza.

I precedenti ed i possibili impatti pratico-operativi

Di particolare interesse il caso esaminato dalla sentenza emessa dalla Corte di Strasburgo nel caso in esame, che ha visto sul banco degli imputati il nostro Paese, stavolta per presente discriminazioni che sarebbero state adottate nei confronti di un Testimone di Geova nel corso di una controversia con l’ex compagna vertente sulle modalità educative della loro figlia.

L’uomo, per quanto emerge dalla decisione, era andato in “pressing” sulla figlia, coinvolgendola attivamente nelle sue attività religiose e portandola pure con sé quando distribuiva materiale religioso per strada, ed impedendole pure di andare alle feste danzanti organizzate dai compagni di classe.

I giudici italiani si erano prontamente attivati sull’istanza della madre, inibendo all’uomo un coinvolgimento così asfissiante della minore, così preservandone il superiore interesse, senza peraltro limitarne il credo religioso né ponendo in essere alcun atteggiamento discriminatorio verso l’uomo solo perché adepto dei Testimoni di Geova.

Per Strasburgo le decisioni dei giudici italiani meritano ampia condivisione, in quanto ispirate al “best interest of the child” e certamente non discriminatorie verso il credo religioso dell’uomo, essendo invece finalizzate solo a risolvere la controversia tra i genitori circa l’educazione della figlia.

La questione è particolarmente rilevante ed investe temi di estremo interesse.

Il quadro normativo nel nostro ordinamento è governato, a livello interno, dagli articoli 3, 19 e 30 Cost. [(i quali, rispettivamente, stabiliscono che “Tutti i cittadini hanno uguale dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. ..." (art. 3); “Chiunque ha il diritto di professare liberamente il proprio credo religioso in qualsiasi forma, individualmente o insieme ad altri, e di promuoverlo e celebrare funzioni in pubblico o in privato, purché non offensive della morale pubblica” (art. 19); “È dove-re e diritto dei genitori sostenere, crescere ed educare i propri figli, anche se nati fuori dal matrimonio. ..." (art. 30)] nonché dagli articoli 316, 337-bis e 337-ter, cod. civ. [(i quali, rispettivamente, stabiliscono che “Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che viene esercitata di comune accordo, tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. ...In caso di contrasto su materie di particolare rilievo ciascuno dei genitori può rivolgersi al giudice senza alcuna formalità, indicando i provvedimenti che ritiene più opportuni.

Il giudice, sentiti i genitori e disposta l'audizione del minore... suggerisce le decisioni che ritiene più utili nell'interesse del minore e del nucleo familiare...” (art. 316); “In caso di separazione... e nei procedimenti riguardanti figli nati fuori dal matrimonio si applicano le disposizioni del presente capo” (art. 337 bis); “Il figlio minore ha diritto a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, a ricevere cure, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi...

Per realizzare la finalità indicata al primo comma, nel procedimento di cui all'articolo 337 bis, il giudice adotta le disposizioni relative ai figli con esclusivo riferimento al loro interesse morale e materiale....Adotta ogni altra disposizione relativa alla prole...

La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori.

Le decisioni di maggiore interesse per i figli in materia di istruzione, educazione, salute e scelta del luogo di residenza abituale del minore sono prese di comune accordo, tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è lasciata al giudice.

Nei limiti delle decisioni in materia di ordinaria amministrazione, il giudice può decidere che i genitori esercitino separatamente la potestà genitoriale…” (art. 337-ter)].

Le decisioni assunte ai sensi degli articoli 330, 333 e 337 del codice civile sono adottate in via non contenziosa (volontaria giurisdizione).

Non sono definitive e possono quindi essere revocate in qualsiasi momento. Ciascuna parte interessata può proporre ricorso (reclamo) alla Corte d'Appello per il riesame della decisione. A livello sovranazionale, poi, rilevano in particolare la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989 (art. 14), cui si aggiungono alcune parti rilevanti del rapporto interinale del Relatore Speciale sulla libertà di religione o di credo sull'eliminazione di ogni forma di intolleranza religiosa, presentato alla 70a Sessione dell'Assemblea Generale (UN Doc. A/70/286, 5 agosto 2015).

Interessante, poi, al fine di chiarire le ragioni dell’approdo cui è pervenuta la Corte EDU, è operare un rapido excursus della relativa giurisprudenza.

La Corte, tenuto conto delle particolari circostanze del caso, ed essendo padrona della qualificazione da attribuire in diritto ai fatti di causa (Radomilja e altri c. Croazia [GC], 20 marzo 2018, nn. 37685/10 e 22768/12, § 124), ha correttamente ritenuto che le doglianze dovessero essere esaminate ai sensi dell'articolo 14 in combinato disposto con l'articolo 8 della Convenzione, che è stato tuttavia interpretato e applica-to alla luce dell'articolo 9 della Convenzione (si veda Abdi Ibrahim c. Norvegia [GC], 10 dicembre 2021, n. 15379/16, §§ 141-142; Vojnity c. Ungheria, 12 febbraio 2013, n. 29617/07).

La Corte è solita in particolare ritenere che, per un genitore, educare il figlio in linea con le proprie convinzioni religiose o filosofiche può essere considerato un modo per "manifestare la propria religione o credo, nell'insegnamento, nella pratica e nell'osservanza". È chiaro che quando il bambino vive con il genitore, quest'ultimo può esercitare i diritti dell'articolo 9 nella vita quotidiana attraverso la modalità di godimento dei suoi diritti prevista dell'articolo 8 (Abdi Ibrahim, sopra citato, § 140). Orbene, la Corte EDU è solita ribadire che l'articolo 14 della Convenzione integra le altre disposizioni sostanziali della Convenzione e dei Protocolli.

Essa non ha esistenza autonoma in quanto produce effetti unicamente in relazione al “godimento dei diritti e delle libertà” tutelati da tali disposizioni.

Benché l'applicazione dell'art. 14 non presupponga una violazione di tali disposizioni – e in tal senso è autonoma – non può esserci spazio per la sua applicazione se i fatti controversi non rientrino nell'ambito di una o più di queste ultime. E’ opinione della Corte, poi, che il reciproco godimento da parte di genitore e figli della reciproca compagnia costituisce un elemento fondamentale della “vita familiare” ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione, anche se il rapporto tra i genitori si è interrotto (si veda Ilya Lyapin c. Russia, 30 giugno 2020, n. 70879/11, § 44).

Nel caso di specie, il rapporto del padre con la figlia era stato limitato dalle decisioni delle autorità nazionali.

Pertanto, le stesse costituivano indubbiamente un'ingerenza nel diritto del padre al rispetto della vita familiare ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione.

La Corte sottolinea che le modalità pratiche per l'esercizio della potestà genitoriale sui minori definite dai tribunali nazionali non possono, in quanto tali, violare la libertà di un ricorrente di manifestare la propria religione (Deschomets c. Francia (dec.), 16 maggio 2006, n. 31956 /02).

Ha inoltre spesso sottolineato l'obiettivo prioritario di tener conto dell'interesse superiore dei minori, che consiste nel conciliare le scelte educative di ciascun genitore e nel cerca-re di trovare un equilibrio soddisfacente tra le concezioni individuali dei genitori, precludendo qualsiasi giudizio di valore e, ove necessario, stabilendo norme minime sulle pratiche religiose personali (F.L. c. Francia (dec.), 3 novembre 2005, n. 61162/00).

Ai fini dell'articolo 14, poi, una disparità di trattamento è discriminatoria se “non ha una giustificazione oggettiva e ragionevole”, ovvero se non persegue un “obiettivo legittimo” o se non sussiste un “ragionevole rapporto di proporzionalità ” tra i mezzi impiegati e lo scopo che si cerca di realizzare.

Gli Stati contraenti godono di un certo margine di discrezionalità nel valutare se e in quale misura differenze in situazioni altrimenti simili giustifichino un trattamento diverso.

La portata di questo margine varierà a seconda delle circostanze, dell'oggetto e del suo contesto (si veda, tra le tante, Molla Sali c. Grecia [GC], 19 dicembre 2018, n. 20452/14, §§ 135-136; Vojnity c. Ungheria, sopra citata; Palau-Martinez c. Francia, 16 dicembre 2003, n. 64927/01, § 39).

Al riguardo, la Corte ha osservato che la vicenda qui esaminata si discosta dal caso Palau-Martinez c. Francia (sopra citata), in cui era stata accertata una violazione dell'articolo 8 in combinato disposto con l'articolo 14 a causa del fatto che i diritti di soggiorno erano stati determinati sulla base delle convinzioni religiose dei ricorrenti (si veda anche, a contrario, Cosac c. Romania (dec.), 23 settembre 2014, n. 28129/05; Deschomets c. Francia (dec.), sopra citata; e F.L. c. .Francia (dec.), sopra citata) e da Vojnity c. Ungheria, sopra citata, dove la Corte aveva invece ritenuto che non vi fosse un ragionevole rapporto di proporzionalità tra un divieto totale dei diritti di visita del ricorrente sulla base delle sue convinzioni religiose e l'obiettivo perseguito, ovvero la tutela dell'interesse superiore del minore.

Quanto, poi, alla contestata violazione dell’art. 8 della Convenzione EDU, la Corte è solita ricordare che, sebbene l'articolo 8 non contenga requisiti procedurali espliciti, il processo decisionale implicato nelle misure di interferenza deve essere equo e tale da garantire il dovuto rispetto de-gli interessi tutelati dall'articolo 8 (si veda: W. c. Regno Unito, 8 luglio 1987, n. 9749/82, § 64; Cincimino c. Italia, 28 aprile 2016, n. 68884/13, § 64).

A questo proposito, la Corte può prendere in considerazione la durata del processo decisionale dell'autorità locale e qualsiasi pro-cedimento giudiziario correlato (si veda W. C. Regno Unito, sopra citata, § 65).

Il rispetto effettivo della vita familiare richiede che i rapporti futuri tra genitore e figlio siano determinati unicamente alla luce di tutte le considerazioni pertinenti, e non dal mero trascorrere del tempo (cfr. Ignaccolo-Zenide c. Romania, 25 gennaio 2000, n. 31679/96, § 102; D'Alconzo c. Italia, 23 febbraio 2017, n. 64297/12, § 64; Barnea e Caldararu c. Italia, 22 giugno 2017, n. 37931/15, § 86).

In caso contrario, vi sarebbe il mancato rispetto della loro vita familiare e l'ingerenza risultante dalla decisione non potrebbe essere considerata "necessaria" ai sensi dell'articolo 8. Al riguardo, la Corte ha inoltre chiarito che nelle cause relative al rapporto di un genitore con il figlio vi è il dovere di agire con tempestività ed esercitare una diligenza eccezionale, in vista del rischio che il trascorrere del tempo possa comportare una decisione “in fatto” della questione (v., mutatis mutandis: Kautzor c. Germania, 22 marzo 2012, n. 23338/09, § 81; nell'ambito dei diritti di contatto, Endrizzi c. Italia, 23 marzo 2017, n. 71660/14, § 48 e Improta c. Italia, 4 maggio 2017, n. 66396/14, § 45).

Violazioni, queste, che la Corte EDU ha correttamente escluso nella vicenda qui commentata.

Di particolare rilievo, infine, l’opinione concorrente del giudice in rappresentanza dell’Italia, Raffaele Sabato, che ha avvertito la necessità di caratterizzare chiaramente il caso anche ai sensi dell'articolo 9 della Convenzione, in particolare su due questioni di rilievo: da un lato, focalizzando l’attenzione sul ruolo dell'accordo genitoriale nelle scelte religiose riguardanti i propri figli in considerazione del fatto che i figli hanno un proprio diritto alla libertà di religione e, dall’altro, di tener conto del c.d. principio di continuità o “status quo”.

Con particolare riferimento a quest’ultimo, il giudice Sabato ha ricordato, che in sostanza, i giudici italiani hanno applicato il criterio descritto come quello della “continuità” o dello “status quo”.

Il concetto di “continuità” è esplicitato in una delle decisioni interne (si veda il § 16 della sentenza).

Il giudizio della maggioranza, ad avviso del nostro rappresentante in seno alla Corte EDU, non ha colto l'occasione, avallando questa prova di “continuità” o “status quo”, di chiarire che – come dimostra la lettera-tura – essa corrisponde ad una pratica diffusa dai tribunali della famiglia in tutta Europa nel trattare con i genitori che non sono d'accordo sulle nuove scelte religiose compiute da un genitore che desidera coinvolgere i figli nella stessa scelta (Cfr. Géraldine Maugain, “The Judge, family law and religion”, in La Semaine Juridique, 31(1-2), LexisNexis, 14 gennaio 2019).

Vale la pena ricordare che il principio trova fondamento nel diritto internazionale (art. 20 CRC) in quanto con-cerne la diversa situazione dei minori “privati temporaneamente o permanentemente del [loro] ambiente familiare, o nel cui proprio interesse non può essere consentito rimanere in quell'ambiente”. In questi casi, «nel considerare le soluzioni, si tenga debito conto dell'opportunità di una continuità nell'educazione del figlio e del suo ambiente... religioso...».

Anche questo test, per il giudice Sabato, potrebbe ispirare una nuova interpretazione da parte della Corte dell'articolo 9 in casi simili in futuro.

Naturalmente, è necessario prendere in considerazione gli altri test esistenti in questo settore.

Esistono altri test che meritano uguale attenzione e possono essere appropriati, "in linea con [la] convinzione condivisa che la libertà religiosa sia un principio importante che a sua volta comporta una presunzione di rispetto", sebbene "qualche forma di giudizio ... sia inevitabile" (v. SE Mumford, "The Judicial Resolution of Disputes Involving Children and Re-ligion", in International and Comparative Law Quarterly, 1998, vol. 47, pag. 117-148) I tribunali nazionali, conclude tuttavia il giudice Sabato, sono i più adatti a valutare i delicati interessi coinvolti e la Corte deve esercitare la sua vigilanza in un'autentica sussidiarietà.

Esito del ricorso:

Respinto

Precedenti giurisprudenziali:

Corte e.d.u., Radomilja e altri c. Croazia [GC], 20 marzo 2018

Corte e.d.u., Abdi Ibrahim c. Norvegia [GC], 10 dicembre 2021

Corte e.d.u., Vojnity c. Ungheria, 12 febbraio 2013

Corte e.d.u., Ilya Lyapin c. Russia, 30 giugno 2020

Corte e.d.u., Deschomets c. Francia (dec.), 16 maggio 2006

Corte e.d.u., F.L. c. Francia (dec.), 3 novembre 2005

Corte e.d.u., Molla Sali c. Grecia [GC], 19 dicembre 2018

Corte e.d.u., Palau-Martinez c. Francia, 16 dicembre 2003

Corte e.d.u., Cosac c. Romania (dec.), 23 settembre 2014

Corte e.d.u.,W. c. Regno Unito, 8 luglio 1987

Corte e.d.u., Cincimino c. Italia, 28 aprile 2016

Corte e.d.u., Ignaccolo-Zenide c. Romania, 25 gennaio 2000

Corte e.d.u., D'Alconzo c. Italia, 23 febbraio 2017

Corte e.d.u., Barnea e Caldararu c. Italia, 22 giugno 2017

Corte e.d.u., Endrizzi c. Italia, 23 marzo 2017

Corte e.d.u., Improta c. Italia, 4 maggio 2017

Riferimenti normativi:

Art. 8, Convenzione e.d.u.

Art. 9, Convenzione e.d.u.

Art. 14, Convenzione e.d.u.

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